Pubblichiamo questo contributo da parte di un amico e grande appassionato. Nell’arco di qualche giorno pubblicheremo un nostro editoriale di risposta ai punti critici, tutti reali e meritevoli di riflessione, sollevati in queste righe. Perché, nello sport come nella vita, senza autocritica è impossibile una reale crescita.
In genere parte così : - Siamo l’alternativa a Sky, siamo contro il calcio moderno.
Se provi ad approfondire, si va un po’ più nel vago, se insinui che qualunque società di calcio dilettantistica, ma non solo, qualunque società a salire dalla terza categoria fin quasi a lambire la serie B è di fatto, suo malgrado, alternativa a Sky, cominciano i problemi. Insomma, so bene di risultare parecchio “impopolare”, ma se ti viene voglia di capire da qualcuno che lo fa, cosa ci sia dietro la definizione “calcio popolare” il rischio è di capirci poco, oppure, nella peggiore delle ipotesi di rimanerci proprio male. Io, “militando” per un bel po’ in una di queste compagini, ancora non mi sono fatto un’idea chiara di cosa si voglia fare, e ancora meno di come lo si voglia fare.
Per esempio, in cosa si sostanzia la differenza tra una squadra di calcio popolare ed una di amici che si iscrivono ad un campionato, amatoriale o di categoria? Entrambe si autofinanziano, entrambe perlopiù non hanno e non vogliono sponsor. Questi sono due dei capisaldi del calcio popolare, ma di fatto non ne sono prerogativa esclusiva. Tra le due la differenza sta che nella squadra di amici nessuno pensa di erigersi a paladino di qualcosa o di alternativo ad un sistema. Diversi anni prima di fare parte di una squadra di calcio popolare ho a mia volta giocato anche in una di queste squadre di amici, e le due discriminanti per farne parte erano l’antifascismo e l’antilazialità. Per esperienza posso dire che in quella, riguardo al primo punto (sul secondo qualche strappo lo si è fatto) c’era parecchio più rigore.
Quindi, fatte salve le sacrosante premesse di disgusto e rifiuto per il calcio attuale, quali strade si è deciso di percorrere e quali sono i programmi, gli obiettivi, attraverso quali strategie questi si vogliono raggiungere, quali sono i traguardi intermedi? Il calcio popolare non sa, ed ha finora eluso la domanda, se per esempio il suo scopo sia il raggiungimento di una superlega di squadre popolari o invece se l’obiettivo sia dimostrare anche attraverso i risultati di potersi dimostrare vincente e superiore nei campionati federali. Alcuni vanno in una direzione altri in quella opposta, pur rimanendo sotto l’ombrello della stessa comune definizione. Inoltre, partendo da un rifiuto generalizzato per gli sponsor, che diventa più labile quando i successi sportivi fanno si che si passi in categorie dove lo sforzo economico diventa maggiore, una delle apparenti prerogative pare essere quello che viene definito azionariato popolare. Questo è declinato differentemente nelle diverse realtà, ma possiamo dire che rappresenti un comune denominatore; perlopiù si fa anche affidamento su attività commerciali “vicine”, per affinità territoriali o ideologiche, vuoi per donazioni in denaro, vuoi per acquisto di materiale tecnico, senza che comunque questo preveda in genere l’apparizione di messaggi pubblicitari sulle divise.
Ma chi sostiene economicamente la squadra, proprio attraverso l’azionariato popolare, cosa rappresenta per questa? Ha la possibilità di entrare a far parte dei meccanismi decisionali? In alcuni casi sì, almeno teoricamente o forse utopicamente diverse realtà prevedono che il potere decisionale sia esercitato da una assemblea dei soci, salvo che poi ci si rende conto che la gestione attraverso questo strumento risulta faticosa, dispersiva e poco efficace. Ecco quindi comparire livelli “altri” e ‘informali” che statutariamente non esistono, ma che poi fungono da motori effettivi delle società. Questi possono avere varie forme, possono prevedere incontri effettivi al di fuori dei momenti assembleari come anche arrivare a neutralizzare ed invalidare decisioni deliberate dalle varie assemblee attraverso agili strumenti social, gruppi ristretti su facebook, whatsapp o il preferibile telegram che fa tanto popolare in quanto russo (e criptato).
Ma quale provenienza hanno generalmente gli attivisti di questo calcio popolare? Si suddividono perlopiù in due grandi filoni: (ex) ultras e frequentatori di curve da una parte e militanti politici dall’altra, con contaminazioni più o meno profonde e variabili a seconda delle squadre. Mai, o quasi mai qualcuno ha una cultura sportiva profonda, quantomeno per ciò che riguarda la gestione di una società sportiva, con l’eccezione importante, dove questo accade, delle persone impegnate nella più longeva storia delle palestre popolari. Il risultato è quello di un discreto caos organizzativo, superato comunque da un indiscutibile entusiasmo. Il punto è che per quanto sono riuscito a vedere dall’interno di una, e dalla più o meno approfondita conoscenza di alcune altre realtà, tutte le società del calcio popolare presentano delle opacità, in termini diversi, a volte su troppo impulsivi endorsment politici che rischiano di compromettere nel giro di poche convulse settimane un lavoro capillare che dura da anni, a volte non riuscendo a gestire coerentemente lati di sedicente “mentalità” e scelte in direzione tribunal legalitarie, altre volte rimanendo schiacciati da dinamiche ambientali equivoche e pericolose. Tutto questo accade in una non condivisione ed una mancanza di schiettezza ai limiti dell’omertoso, con il precipitato della ricaduta nella risaputa inadeguatezza della stragrande maggioranza delle magnifiche imprese dell’antagonismo nostrano. E lo dico senza la presunzione di potermene tirare fuori.
Marco Acciari – Roma