Per una serie di eventi e di considerazioni personali, ci eravamo ripromessi di seguire con un certo distacco questi campionati Europei, evitando nel nostro piccolo di foraggiare sia tutto il carrozzone mainstream che si portano dietro i grandi eventi, sia quelle ondate di italico fervore che si levano sempre in occasioni simili. Ovviamente, come vale per tutti i buoni propositi, anche questo è stato disatteso in breve tempo e la nostra attenzione si è riversata sulle notizie e le suggestioni che stanno provenendo dalla Francia. Non soltanto per quella febbre che sale ogni volta che rotola un pallone e c'è in palio un trofeo importante, ma anche e soprattutto per quella che, riutilizzando una definizione che ha trovato molta (troppa) fortuna l'anno scorso in un altro contesto come quello di Milano del Primo Maggio, si è rivelata essere una macabra “pornografia della violenza”. Perché, con buona pace di tutti quei giornalisti che nel 2016 hanno scoperto l'hooliganismo e si stanno stracciando le vesti, quello che è successo a Marsiglia, a Lille a Nizza, non è poi tanto diverso da quello che, ad esempio, successe a Charleroi negli Europei del 2000, oppure a Cagliari durante i mondiali del '90, a dimostrazione che ormai non contano tanto (o almeno non solo) i fatti, ma il modo in cui questi vengono narrati.
Volenti o nolenti, già da un po' di anni all'interno del mondo delle gradinate europee le gerarchie stanno cambiando, con tante tifoserie dell'est che stanno vivendo proprio adesso la loro golden-age, decise a scalare posizioni, a scapito di avversari ben più blasonati di cui vogliono ottenere lo scalpo, costi quel che costi, e proprio questo tipo di eventi ha sempre rappresentato l'appuntamento per ridefinire certi equilibri e allo stesso tempo saldare vecchi conti in sospeso. Al limite, gli stessi professionisti dell'informazione, sportiva e non, che dopo una settimana di competizione si sono già distinti per la quantità di pronostici e analisi errate, che oggi esprimono tutto questo stupore, avrebbero potuto perdere un po' di tempo per fare delle ricerche in merito per non farsi cogliere totalmente alla sprovvista e proporre le loro solite ricette. Non volendo anche noi scivolare nel giustizialismo, quello che ci meraviglia è proprio lo stupore di chi si stupisce. Continuando a non voler vedere complotti e macchinazioni (sebbene in chi scrive determinate prese di posizione, soprattutto quelle di alcuni membri delle istituzioni russe a netta difesa dei propri supporters, abbiano fatto pensare male), l'astio e l'odio che si respira nelle strade di questo Europeo sono nient'altro che il risultato del clima avvelenato che si respira in tutto il continente quotidianamente.
Basta dare uno sguardo alle partecipanti per capire di cosa stiamo parlando: la Russia e l'Ucraina informalmente in guerra tra loro, l'Ungheria che costruisce i muri (naturalmente solo per le persone e mai per le merci), l'Austria tentata di farlo, la Slovacchia e la Polonia in cui l'euroscetticismo fa sempre più rima con xenofobia e cripto-fascismo, la Germania del grande capitale europeo che ha letteralmente dissanguato la Grecia e si appresta a farlo con altri stati, la Turchia del sultano Erdogan, degli accordi sottobanco con l'ISIS e della persecuzione ai curdi e ingenerale a tutti gli oppositori politici (e viene da pensare menomale che non c'è Israele!). Roba che la famosa dichiarazione di Lenin sulla natura reazionaria degli eventuali Stati Uniti d'Europa al giorno d'oggi risulta quasi come un eufemismo.
Cosa pensavano lor signori, che sarebbe bastato un pallone (con gli sponsor, le tv coi loro lauti introiti, ovviamente...) a riunire un continente che fa delle divisioni, dei muri, dei pregiudizi e delle lotte tra poveri il proprio tratto distintivo? Che sarebbe bastata qualche giocata di Cristiano Ronaldo o di Ibrahimovic a colmare quel deficit etico, culturale, sociale e politico che forse non si era mai sentito così intensamente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi? Ovviamente no, e non ci stiamo a far passare l'ipocrisia per inguaribile ottimismo.
La stessa ipocrisia che consente a Hollande di appellarsi alla responsabilità dei cittadini per non compromettere la riuscita di un evento a cui gli stessi cittadini difficilmente potranno assistere visti i costi dei biglietti, mentre lo stesso presidente, con molta poca responsabilità nei confronti del suo mandato, sta di fatto affossando anni e anni di conquiste sociali. A ben vedere la marcia di avvicinamento a questa competizione potrebbe riassumere la parabola della stessa UE: da quel misto di soddisfazione, speranza e gioia iniziali, così contagioso quanto immotivato (al punto da tributargli un inspiegabile Premio Nobel per la pace non più tardi di quattro anni fa), alla paura. Non solo quella per il terrorismo e per il diverso in senso lato, ma anche quella per il futuro di fronte a una macelleria sociale senza precedenti, almeno in epoca contemporanea, in cui proprio lo spauracchio del terrorismo islamico ha contribuito a permettere una drastica contrazione dei diritti sociali, svelando il volto del capitalismo reale in quest'epoca senza competitor globali e dove non c'è più l'interesse a conquistare l'appoggio o comunque la benevolenza della popolazione, che almeno in questo caso ha risposto attraverso scioperi e appelli al sabotaggio della competizione.
Tutto sommato, a noi piace pensare che, anche alla luce della storia di un paese disseminato di rotture radicali, comunque il paese transalpino contenga al suo interno una qualche magia; che la Francia sia allo stesso tempo una terra del possibile e dell'assurdo, in cui anche i disinteressati al calcio si riscoprono tifosi della nazionale e dove anche i pompieri del movimento si mettono a tifare attivamente rivolta. Perché a voi probabilmente no, ma a gran parte dell'opinione pubblica, a causa del colpevole silenzio dei media (evidentemente gli hooligans fanno più notizia ed è più facile stigmatizzarli...) è sfuggito il fatto che in Francia, in contemporanea a quelle di calcio, si sta giocando una partita molto più importante ed è quella che si sta svolgendo nelle piazze. Ci riferiamo a chi da circa tre mesi sta combattendo la “Loi travail”, ribattendo colpo su colpo alle cariche criminali delle polizia, cercando di assestare una spallata ben calibrata non solo al governo transalpino, ma anche alla ristrutturazione dell'Unione Europea in chiave neoliberista, provando a restituire quel protagonismo di cui adesso le piazze hanno disperatamente bisogno per non soccombere ineluttabilmente ai tecnocrazia, ed è proprio questa la partita che proveremo a seguire noi.
Se è vero che da che mondo e mondo in queste competizioni siamo portati a tifare per le compagini più deboli, quelle con poche possibilità di sovvertire il pronostico, tutti noi abbiamo trovato la squadra per cui parteggiare in questa competizione, con la consapevolezza che anche in questo caso ci sarà una linea di separazione tra chi si ritroverà a fare il tifo dalla tv, stando ben attento a che questi eventi restino sempre oltre il confine a distanza di sicurezza e chi, proprio come succede nel calcio popolare, anche alla luce del fallimento del ciclo di lotte analogo, quello contro il Jobs Act nel nostro paese, decide di rompere i simulacri e di autorganizzarsi, perché anche in vista del prossimo autunno non basterà tifare rivolta, ma toccherà mettere direttamente gli scarpini da gioco.
Giuseppe Ranieri
Matthias Moretti