Ci risiamo. Ancora una volta ci ritroviamo a masticare rabbia non solo per un omicidio fascista, ma, come se non bastasse, per la narrazione che fin dai primi istanti fissa i paletti entro cui si dovrà far muovere l'indignazione popolare. O almeno, di quella parte di persone che si indigna invece di brindare.
“Ultrà aggredisce e uccide un richiedente asilo”.
Eccoli. Di nuovo. Il micidiale mix prodotto da un direttore di giornale che sa bene quale gioco deve fare, sommato alla superficialità da servo rampante di un redattore x. Ed è subito verità. Abbiamo i responsabili. Praticamente all'unanimità. Possiamo archiviare rapidamente il caso con un po' di lacrime istituzionali a comando e continuare come se nulla fosse.
Gli ultrà, sempre loro. Quel mondo avvolto in una nebbia ai limiti del fantasy, di persone che sostanzialmente nella vita non fanno altro, non hanno un lavoro o comunque delle occupazioni, non hanno amici e affetti, simpatie e antipatie, “giri”, frequentazioni, ma soprattutto idee. Belle o orribili. Che generano, ovviamente, comportamenti. Tra l'altro lo sanno benissimo lor signori, anche perché a dir poco ovvio, che tra gli ultrà ci sono operai e criminali, professionisti e disoccupati, persone violente e miti, fascisti e antifascisti, più o meno militanti. Dire ultrà per qualificare un omicida razzista è come dire cameriere per descrivere uno che ha vinto alla lotteria. Come dire, le cose possono anche coincidere, ma è il nesso causa-effetto che tende a sfuggire. E loro provano subdolamente a costruirlo. La sanno benissimo la verità, così come la sa la persona media a cui è diretto il messaggio mediatico, se solo ci pensasse un attimo. Già, se solo ci pensasse.
Quel nesso che invece appare chiaro quando si ascoltano, martellate quotidianamente, le ondate di vomito razzista dispensate dai Salvini, i Borghezio, le Santanchè di turno, e peggio ancora sui social dagli esponenti locali meno noti della Lega, spesso autentici nazisti. Quando si assiste alle parate militaresche di Casapound, anch'esse ben tollerate ai piani alti dei Ministeri. Quando si sperimenta che è sufficiente opporsi alla presenza di questa feccia per le strade per essere manganellati e arrestati.
Ma quando qualcuno, ispirato da tutte queste parole d'odio, passa all'azione, parte il fuoco di sbarramento dei custodi del sistema. E si sa che nella frenesia mediatica dei nostri giorni conta tanto il primo messaggio, la prima lettura, quella che dai a caldo. Nei giorni e nelle settimane, in fondo alle homepage, forse leggeremo anche che il tipo è un fascista e ha agito di conseguenza. Ma, quando contava, è stato l'Ultrà. Quando potevano titolare “Il mandante è Salvini” e non lo hanno fatto, per l'ennesima volta.
E poi fa sempre gioco per tenerti sotto scacco. Metti che all'inizio del campionato parte qualche rivendicazione, sulle curve divise, il caro biglietti o qualsiasi altra questione. Allora il solito insopportabile giochino potrà ripartire: “Ma cosa vogliono ancora questi, quest'estate hanno rovinato gli Europei in combutta coi black bloc e l'Isis e poi hanno pure ammazzato il negretto a Fermo”.
Intanto la cruda verità è che qua da noi, ancora una volta, un maledetto fascista ha tolto la vita a una persona. E già piovono le attenuanti, i distinguo, i depistaggi: la colpa è di un ultrà (“degli” ultrà) mentre i razzisti in doppiopetto hanno tutto il diritto di parlare in pubblico, anzi ancor più di prima perché il tema li riguarda e si fa grande audience. Quando andrebbero solo zittiti perché hanno le mani sporche di sangue. Fortuna che il mondo reale è un po' diverso (anche se mai quanto vorremmo), e c'è chi, nelle strade, nelle curve, nelle scuole, nei posti di lavoro questi schifosi li combatte coi fatti, in modo organizzato o con slanci individuali. E non ha intenzione di smettere, anche se per due schiaffi dati rischia conseguenze penali ben più gravi di quelle di un omicida fascista “preterintenzionale”.
Matthias Moretti