Sono appena finiti gli Europei, e come da tradizione a settembre le Nazionali tornano in campo per iniziare le qualificazioni ai Mondiali. Dando un'occhiata ai gironi salta subito all'occhio una new entry dal nome che evoca ricordi nemmeno troppo lontani: il Kosovo. Una squadra tra l'altro niente male, non abbiamo a che fare esattamente con Gibilterra, Andorra o San Marino: diversi giocatori militano nei principali campionati di serie A e B europei, e infatti all'esordio la squadra in blu ha ottenuto un buon pareggio per 1-1 sul campo della Finlandia. Tra l'altro potenzialmente potrebbe ancora rafforzarsi molto se giocatori kosovari che militano nelle nazionali di Albania e Svizzera optassero, ora che possono, per militare nel paese d'origine: specialmente nella Svizzera giocano due campioncini come Xhaka e Shaqiri, per capirci. Ma del resto i Balcani sono da sempre fertile terra di calcio, e proprio la dissoluzione della Jugoslavia, che ha permesso la nascita di questo nuovo Stato, ci ha privato di una delle squadre nazionali più belle, tecniche e affascinanti di sempre.
Già, la dissoluzione della Jugoslavia, forse la più grande tragedia nella storia europea dal secondo dopoguerra. Una vicenda che a pensarci fa accapponare la pelle, uno sterminio vicendevole tra popolazioni accecate dal mostro del nazionalismo, che non ha fatto nient'altro che spianare la strada alla sottomissione politica ed economica di tutti quegli Stati all'Unione Europea, agli Stati Uniti, e giocoforza alle politiche liberiste. Oltre che, ovviamente, mettere in mano quei Paesi alle proprie stesse élites politico-criminali, sopravvissute più forti di prima alle guerre da esse stesse causate.
Del resto, la Jugoslavia era una potenza di tutto rispetto. Anche qualora non fosse più stata socialista, sarebbe comunque stata una realtà con cui fare i conti, che avrebbe potuto avere voce in capitolo, che forse non avrebbe regalato la propria sovranità politica ed economica agli squali dell'economia globale. L'ideale sarebbe stato proprio smembrarla in tanti piccoli Stati, ognuno troppo piccolo per poter essere realmente indipendente: una perfetta fucina di manodopera a basso costo da tenere schiacciata sotto il ricatto del debito. E gli squali hanno agito d'astuzia, ottenendo quello che volevano. Il mix era perfetto: comunismo appena crollato, Tito morto da una decina d'anni, élites nazionaliste scalpitanti alla ricerca del proprio posto al sole, clan criminali assetati di denaro e potere e in grado di formare veri e propri eserciti paralleli, grandi fasce di popolazione infuocate dall'illusione facile del nazionalismo, molti territori a popolazioni miste con sopra rivendicazioni incrociate. Non restava che foraggiare una o qualcuna delle parti in conflitto, gestire accuratamente le trame della politica internazionale, stare seduti insomma al tavolo a immaginare il futuro di quei territori mentre la terra jugoslava si imbeveva di sangue.
Ma torniamo al Kosovo: incastrato nelle montagne tra Serbia, Montenegro, Albania e Macedonia, con una popolazione a maggioranza albanese e musulmana (tranne nelle due province più a nord, a maggioranza serba e teatro dei principali scontri), durante il socialismo era una provincia autonoma all'interno della Repubblica Serba. Nel '95, al termine della prima guerra, rimane di fatto in quello status all'interno della “nuova” Jugoslavia formata da Serbia e Montenegro, e si riaccendono le rivendicazioni indipendentiste, già forti negli anni '80, con manifestazioni e scontri specie dal '97 in poi. Per le potenze occidentali, USA e Germania su tutte, è un'ottima occasione per assestare un colpo alla Serbia di Milosevic e mettere ancor più i piedi nei Balcani, tramite la creazione di una sorta di Stato fantoccio. Vengono finanziati in modo sempre crescente il movimento e il partito indipendentista, e viene favorita, o meglio praticamente creata da zero, la nascita della guerriglia armata dell'UCK, l'Esercito di Liberazione del Kosovo. Sostanzialmente sono state messe delle armi in mano alla mafia kosovara, e le si è data dignità di esercito di liberazione nazionale. Del resto, non è un mistero che l'autodeterminazione dei popoli venga riconosciuta un po', diciamo così, a fasi alterne, ovvero quando combacia con le mire e gli interessi di chi conta davvero.
Durante il '98 crescono gli attacchi di queste bande narco-fasciste, con nascenti venature islamiste, contro obiettivi serbi sia civili che militari. La risposta di Belgrado non si fa attendere, e consiste in una vasta campagna repressiva condotta in Kosovo con esercito e paramilitari: gli scontri si moltiplicano, ma rispetto ai massacri di qualche anno prima è tutto molto più circoscritto, e, pur non mancando come sempre il coinvolgimento di civili, spesso si risolve in scontri tra bande armate.
Ma a questo punto USA ed Europa entrano in scena a gamba tesa, con una campagna mediatica e politica da bulldozer: in Kosovo è in atto uno sterminio etnico ad opera dei Serbi, Milosevic è “il nuovo Hitler”, il Kosovo è disseminato di campi di concentramento e di fosse comuni (spero non serva dire che di tutto ciò a posteriori non è mai stato dato riscontro, un po' come per le armi chimiche di Saddam). Bisogna intervenire subito. E così la NATO prende in mano la bandiera dell'indipendenza del Kosovo, dando a Milosevic un ultimatum curioso: o ritirate tutti gli uomini dal Kosovo, gli date l'indipendenza e accettate forze internazionali sul territorio serbo con pieno potere di fare ciò che vogliono, oppure vi bombardiamo. O vi lasciate invadere, oppure vi bombardiamo. Resta da capire dove fosse la scelta, ma insomma. Alla fine di marzo del '99 iniziano quasi tre mesi di bombardamenti, cui partecipa anche l'Italia governata dal centro-sinistra, che mettono completamente in ginocchio la Serbia, e non solo le aree degli scontri, ma tutta la Serbia: le bombe colpiscono industrie, raffinerie, strade, ponti, ferrovie, oltre ovviamente ai quartieri delle città e ai vari “errori collaterali”. (Poi viene da pensare che andare a produrre in Serbia pagando la gente 300 euro al mese risulta più facile se prima i tuoi governi l'hanno rasa al suolo coi bombardamenti, vero Fiat?)
Inizia così il processo che porterà all'indipendenza del Kosovo, ormai riconosciuta dalla stragrande maggioranza degli Stati. Kosovo che, come era più che prevedibile, è stato governato negli anni dagli ex-capi dell'UCK, personaggi che definire senza scrupoli è poco, tanto che i tribunali internazionali sono stati costretti a occuparsi anche di loro, sia in termini di crimini di guerra che di traffici di ogni sorta, armi, droga, organi, esseri umani. Non si è mai andati fino in fondo però, anche perché sarebbe stato un po' come ammettere di essersi serviti di una gang di criminali per ottenere i propri scopi geopolitici. E così di fatto è sempre la stessa élite a governare il giovane paese fin dalla nascita, mentre Milosevic, morto nel carcere dove ha passato gli ultimi anni di vita, è stato beffardamente assolto post-mortem. A prescindere dai giudizi sul personaggio, un chiaro esempio di che fine fa chi si ritrova seduto dal lato cattivo della storia.
E così adesso abbiamo nel cuore dell'Europa una gigantesca base militare americana a cielo aperto, ma anche un enorme porto franco per ogni sorta di traffico, e dulcis in fundo una delle più grosse fucine di foreign fighters dell'Isis, nipotini neanche tanto alla lontana dell'UCK di qualche anno fa. Un bel capolavoro insomma. E pur non avendo naturalmente nulla contro la popolazione kosovara né contro i suoi giocatori di calcio, questa new entry stavolta ci fa davvero poca simpatia.
Matthias Moretti