Da pugili o ex, da tecnici, o anche solo da appassionati, non è stato bello assistere alle prestazioni dei nostri boxeur alle ultime Olimpiadi. Poi, come se non bastasse, ci si ritrova costretti a dover subire un “dopo” a tratti imbarazzante. Tuttavia il mese appena trascorso ci porta a considerare e ad assistere a rivoluzioni materiali e a possibili scenari da “tsunami” che, una volta raschiato il fondo del barile, non possono far altro che portar giovamento al movimento pugilistico italiano. Nel frattempo però – come se non bastasse – pare che, non sazi della figuraccia, i nostri illustri esponenti non demordano nel portare avanti ridicole scenate da telenovela, dimenticando come di consueto e con ricorrente facilità la situazione della pancia del pugilato nel nostro bel paese. Sto parlando della quotidianità che le migliaia di atleti, tecnici e appassionati sono costretti a vivere da decenni. Ora, sinceramente, considerato che la pazienza ha un limite, procediamo con ordine e ripassiamo per bene cos'è successo.
Partiamo dal caso forse più palesemente paradossale. Irma Testa. Una favola partenopea dai tratti se vogliamo tipicamente “savianeschi”, una storia che al pugilato italiano non poteva che far bene. La ragazza non è solo la grandissima atleta che grazie a strameritati successi tra le sedici corde conquista una straordinaria qualificazione Olimpica, ma anche quel personaggio che è stato capace di abbattere il disagio di quartieri troppo lasciati a se stessi per salire sulle ali del sogno. Una favola da pugilato vero, quasi d’altri tempi e d’altri luoghi. È una brava ragazza Irma Testa, è determinata e sicura di sé, non ha troppi grilli per la testa, sa quello che vuole. Combatte in maniera elegante e con quella tipica impostazione che tra i dilettanti, e quindi alle Olimpiadi, porta risultati. I suoi obbiettivi sono chiari e pare non farsi per nulla distrarre, nemmeno dalle innumerevoli riconoscenze che comporta “essere la prima donna pugile italiana a partecipare alle Olimpiadi”. Non accusa l'effetto inebriante delle tante interviste e apparizioni televisive anche perché questa donna è prima di tutto una ragazza che ha coronato un sogno immenso. Infatti, tra le ragazze è la più giovane del torneo. Mantiene alta la sua determinazione, sì, ma anche la sua tenerezza quasi da bambina. Per esempio quando, appena arrivata a Rio, non riesce a trattenersi dal pubblicare immediatamente su internet le immagini in diretta dalla spiaggia, il tutto commentato con quel sincero “qui è tutto bellissimo, mamma mia, non resisto, è troppo bello”. Come non lasciarsi entusiasmare da tanta sincera emozione tra i veleni dello sport moderno?
L’entusiasmo è alle stelle e la ragazza, o meglio la ragazzina, sul ring ci sa fare. Passa il primo turno tra gli applausi. E già tra gli esperti conduttori delle dirette su Radio Uno si comincia a straparlare del turno successivo come di una “finale anticipata”. Già, perché dal momento che nell'altro ottavo di finale è stata inspiegabilmente eliminata l'indiscussa regina della categoria, Katie Taylor, lo scontro contro la Mossely secondo le belle penne o le belle vocine della stampa sportiva italiana – la stessa che ha relegato la boxe a un livello più basso del golf, con tutto il rispetto per il golf e gli “atleti” che lo praticano – il quarto di finale Testa-Mossely avrebbe dovuto trasformarsi per chissà quale proprietà transitiva una finale anticipata. Una bella responsabilità per Irma Testa, l’atleta più giovane del torneo e di conseguenza la più inesperta.
Ma lo sport non è fatto solo di tifosi, cari giornalisti. Lo sport è fatto di atleti, di tifosi, e di persone che sono pagate per esprimere opinioni obbiettive e competenti e questi, cari signori, dovreste essere voi.
Testa-Mossely, quarto di finale olimpico. La prima ripresa è persa nettamente. E Irma lo sa. Non è stupida. Ma ha ancora tanto tempo per rifarsi. La seconda ripresa va ancora peggio. Ma la ragazzina torna all'angolo determinata come non mai, il match è a metà, si può ancora ribaltare tutto. Non a caso il suo modello è Frida Kahlo. La terza ripresa è un disastro. La Mossely è un gradino sopra, non c’è che dire. È più esperta. E più preparata, sa benissimo dove si trova. Alle Olimpiadi. Anche Irma sa bene dove si trova, e ha capito che il suo sogno è sfumato. Tre riprese a zero non si recuperano se non con un knock out, ma la ragazzina sa bene che il suo pugilato non è da knock out. Torna all’angolo quindi spaesata, la mascella che trema di rabbia e magone, a stento trattiene le lacrime e sembra chiedere al suo angolo: “Che devo fare, che cosa posso fare!?”.
Sa di aver perso. Sa che due minuti dopo la curva della sua olimpiade avrebbe flesso sulla direzione del ritorno. E ugualmente mortificata prova a tirare fuori tutta la rabbia e la determinazione che ha in corpo e con lo stesso sguardo di “chi sa” si ributta nella bagarre dell’ultimo round. D’altra parte, quelli, saranno per forza di cose i suoi due ultimi minuti di gloria.
Il match finisce, Irma Testa torna all'angolo con lo stesso identico e maturo amaro in bocca di chi sinceramente e onestamente ha realizzato di non avercela fatta. Sa di aver perso. Non è stupida la ragazzina. All’angolo, gli stessi tecnici che non le hanno saputo spiegare come arginare la Mossely per quattro riprese, pare la stiano consolando. Poi l’inquadratura si sposta.
Verdetto inequivocabile. 4 - 0 Mossely, 40 – 36, la decisione unanime dei giudici è giusta e cristallina in favore della bravissima francese.
E qui comincia la vergogna. La ragazzina che ha reso orgogliosa Torre Annunziata alza il braccio sinistro al cielo in un “no” perentorio e comincia ad aggirarsi indignata per il ring.
Che cos’è successo in quei trenta secondi che sono trascorsi dalla fine del match al verdetto? Come fa una ragazza intelligente che tutti hanno visto e giudicato come chiaramente consapevole della sonora sconfitta, a cambiare idea così radicalmente e stupidamente in trenta secondi?
“È solo una bambina,” hanno detto in tanti. Eh no. La “bambina” tanto entusiasta di essere alle Olimpiadi e che “non resiste” di fronte alla meraviglia della spiaggia di Copacabana, non può essersi trasformata tanto rapidamente in una persona talmente presuntuosa e immatura da non riuscire a essere nemmeno capace di godersi gli ultimi gloriosi momenti in cui avrebbe potuto dignitosamente calpestare quel ring su cui ogni pugile del mondo avrebbe pagato oro anche solo per salire.
Nei giorni successivi, il “dopo” non fa altro che aumentare lo sdegno. “La ragazza non smette di piangere per via del verdetto ingiusto e si rifiuta di tornare a Casa Italia (la cittadella olimpica riservata agli atleti italiani) e ha preferito rimanere rinchiusa in appartamento” (ammazza beata lei, l’appartamento…).
“Irma Testa non esclude l'addio al pugilato dopo la cocente delusione di Rio”. Ma non era lei quella che “il pugilato è tutta la mia vita”?
Ricorda un po’ la reazione di un’altra atleta italiana. Una di quelle di fronte a cui sicuramente bisogna togliersi il cappello. Sto parlando della nostra portabandiera (guarda caso) Federica Pellegrini, una delle più grandi nuotatrici di tutti i tempi. Altra atleta da copertina, da gossip e showbiz, che però dimostra, e molto sportivamente “decide”, di non accettare il passare degli anni. E allora, persa la “sua gara”, i 200 stile libero, piagnucola, si fa fotografare e immortalare pensierosa al balcone della residenza a Rio (O dell’appartamento?), sbatacchia per bene i piedi per terra e si rifiuta di partecipare alla gara dei 100 metri.
Voglio dire. Stiamo scherzando!? Con centinaia di atlete e campionesse che sgomitano per essere al tuo posto, cara portabandiera!? Quale tipo di immagine ed esempio staresti dando!!??
E di nuovo le belle penne, le belle vocine e le belle faccine, a ricamare il tutto con i loro bei commenti da tifosi. Mestiere per cui, (ancora una volta) non sono pagati.
Verrebbe da chiedersi, tornando a Irma Testa e senza sollevare troppi complottismi da bar, non è che in quei trenta secondi all’angolo sia stata sfruttata l’emotività della ragazza per fare in modo che le polemiche di pochi giorni prima potessero avere un seguito? Non è che la ragazza possa essere stata usata per reggere il moccio del broncio di qualche altro illustre deluso?
Arriviamo infatti al sodo e parliamo dei nostri senatori.
Se c’è un qualcosa di poco cristallino nel cammino olimpico di Clemente Russo alle Olimpiadi di Rio (oltre al suo arcinoto stile pugilistico poco “francese”…) è la sua vittoria al primo turno. Ma non siamo cattivi. Il nostro Tatanka ha vinto quel match, seppur per un pelo e con un avversario tutto fuorché proibitivo. A Cesare quel che è di Cesare e a Tatanka quel che è di Tatanka. Tanto di tempo per diventar cattivi tra qualche riga ce n’è.
Tralasciando la prestazione di Manfredonia, o quello che avrebbe voluto rappresentare, spendiamo due righe su Mangiacapre.
Ecco, se vogliamo parlare di scandali che ci hanno interessato, riguardiamoci il match di Mangiacapre. Ha vinto talmente bene e nettamente che è uscito dal ring con la faccia spaccata. Con uno zigomo fratturato. Non una roba da nulla, dal momento che Mangiacapre non combatte tra i massimi professionisti. Poi va beh, “è stata una testata”, come no: quando c’è di mezzo un pugile italiano che le prende o si ferisce è sempre stata una testata!
Se si parla sempre e solo di testate, perà, va poi a finire che nessuno ci crede più. Non sarebbe meglio focalizzare l’attenzione sul fatto che i nostri pugili sono gli unici che salgono sul ring e non si mettono in guardia come tutti gli altri “cristiani”? E quelle movenze sul tronco… avete mai messo una pera su un tavolo e fatta oscillare? Ecco quella è la guardia alla Russo meravigliosamente interpretata da Mangiacapre: peccato solo che in questo modo, e lo capisce anche un bambino piccolo, con le mani a reggere i maroni finisce poi che la testa va a sbattere da qualche parte…
Ma torniamo a Tatanka. Che è lo specchio della deriva del pugilato italiano e dello sport italiano in generale. Perché lo ripeto, la pazienza è finita.
Esattamente cinque giorni prima della sconfitta di Irma Testa, Russo fa un bel match contro Tishenko. Vince la prima ripresa, forse, a seconda delle interpretazioni. Ma perde. Nettamente. E cosa fa il senatore? L’esempio per tanti ragazzini che si appassionano alla boxe, dal momento che si è deciso di puntare proprio su di lui come atleta immagine? Come modello? Come esempio? A Russo non basta esprimere un concetto di pugilato arrogante, strafottente e irrispettoso nei confronti dell'avversario, elemento deleterio per chi si avvicina alla nobile arte. No. Tatanka scende dal ring, delira come un ubriaco fuori dal bar, da dello stupido a Oliva (https://www.youtube.com/watch?v=NuB3DkUY4G0 –che tra l’altro era stato forse l’unico ad avere espresso un giudizio amorevole e competente sul pugile di Marcianise) e annuncia il passaggio al professionismo regalandoci forse l’unica immagine positiva e genuina della sua carriera nell’esatto momento in cui lancia la sfida a Deontellài Uailledèrre (che sarebbe Deontay Wilder – https://www.youtube.com/watch?v=Mqt6tW2a2Kc) in una bellissima e strettissima cadenza napoletana. Stiamo parlando dell'attuale terrore dei pesi massimi tra i professionisti, il pugile sconfitto alle Olimpiadi di Pechino dallo stesso Russo.
“Se non tengo le mani basse i colpi non mi partono”. La legge Russo/Mangiacapre. Allora non lamentarti se le prendi e perdi. Non lamentarti se la gente ti da contro e non ti ritiene un buon esempio di Boxe o di comportamento. Non lamentarti se ti viene detto che la boxe si fa in un altro modo.
Nessuno mette in discussione l'efficacia della boxe di Russo che tra i tanti, tantissimi difetti rimane comunque un talento. Lo dice il suo record, un palmares che non si costruisce da solo (http://news.boxeringweb.net/rubriche/storie-di-boxe-dario-torromeo/39129-la-boxe-di-russo-cos%C3%AC-non-va-bene-ma-va-rispettato.html).
E lo dico anche io, che preferisco fidarmi delle opinioni dei tanti pugili amici che “lo hanno provato”, che ci hanno fatto i guanti, di loro sì, che c’è da fidarsi. Pugili professionisti e pugili dilettanti, tutti di altissimo livello, e tutti impressionati dal suo colpo d'occhio, dalla sua rapidità e dalla sua velocità. Tuttavia Tatanka ha affermato qualche tempo fa che non vinceva i match APB perché il regolamento Aiba non gli permetteva di fare i guanti con i professionisti. Regola peraltro uguale per tutti gli atleti partecipanti. Tuttavia, nel delirio organizzativo federale italiano, dove “occhio non vede cuore non duole”, Clemente Russo i guanti con i professionisti li faceva, li fa e probabilmente continuerà a farli, soprattutto se dopo il grande fratello vip dovesse ritornare a combattere. Naturalmente non contro Uailledèrre che immagino abbia altri obbiettivi ben più prestigiosi, oltre a essere momentaneamente infortunato (https://www.facebook.com/clementerusso/videos/10157376463455427/?pnref=story).
Ma il punto è un altro. Ed è questo che ci deve insegnare questo madornale quanto ridicolo fallimento olimpico, insieme con l’inaccettabile debacle mediatica che ne è seguita e che continua a infangare questo sport anche quando si pensava che non esistesse più al mondo abbastanza fango a disposizione.
Un fallimento isterico, patetico e soprattutto maleducato.
La deriva sta alla radice. La deriva consiste in una miriade di atleti e di addetti ai lavori abituati, e non per colpa loro, a un ambiente parecchio strano. Uno sport abbandonato a se stesso, concepito come elitario e per superuomini. Ora, e su questo sbagliandomi avevo scommesso il contrario, anche “per superdonne” (http://www.redstarpress.it/index.php/hellnation-libri/product/view/7/61). Un circolo esoterico. Un metodo che nel pratico si traduce in un tragitto che parte dagli sfigati alla base (cioè la manovalanza, ovvero le società e quindi il futuro della boxe) e si sviluppa verso l’alto, su, e ancora più su, fino all’incarnazione del consueto e ricorrente concetto tipicamente italiano dell’intoccabilità.
Dall’altra parte, un ambiente stritolato da un sistema che per decenni ha distrutto uno sport lasciandolo nell’indifferenza più totale in pasto a derive mediatiche. Tra il silenzio e il bene placito di chi aveva i mezzi per proteggerlo, rendendolo più accogliente, meno desolante. Ma probabilmente ha avuto di meglio da fare (https://dartortorromeo.com/2016/09/01/i-23-milioni-della-fpi-i-tagli-coni-12-milioni-tutti-i-soldi-del-pugilato/).
Ma nonostante tutto, e soprattutto tutto in un colpo, in vista del centenario della federazione... Il boom. Trovare facce da copertina. Dove di copertine non ne sono esistite da anni, se non per brutti fatti di cronaca. “Io ci metto la faccia”, il motto federale suona quasi come una presa per il culo. Ogni tanto servirebbe metterci anche i pugni. E metterli bene. Metterci la faccia a prescindere, nella boxe, non è propriamente un consiglio troppo intelligente (né tanto meno uno slogan geniale).
Il problema è la vittoria facile e nell’abituarcisi. Il pugilato in Italia è fatto di favoritismi da un lato, e di concezioni tradizionali tecnico-tattiche obsolete dall'altro.
Nel primo caso è inutile perdere tempo. Le cose stanno così. Lo sanno tutti. E il pugilato fa sempre più schifo a chi lo viene a vedere, a chi lo insegna e purtroppo… anche a chi lo pratica. Prendere botte gratis. Sacrifici per mesi e mesi. Un match vinto. Magari stravinto. Davanti a una platea di pochi appassionati. Di solito in età avanzata. E il verdetto che ti abbatte. Il muro di gomma. Lo specchio da scalare.
Tutto molto semplice. Lamentarsi è inutile e poco sportivo ma poi… succede che un atleta su tre il lunedì successivo in palestra non ci torna.
In Francia (e non a Cuba o nelle mecche della boxe) succede de questo: http://www.europe1.fr/sport/jo-le-boom-des-inscriptions-dans-les-clubs-de-boxe-en-france-2828851
In Italia questo: https://dartortorromeo.com/2015/06/14/lo-sport-italiano-e-nelle-mani-dei-gruppi-militari/
Dal punto di vista tecnico-tattico continuiamo a vederlo. Ora (per fortuna!) a livello internazionale viene valutata la tecnica, l’eleganza, l’efficacia sì, ma della nobile arte, non delle pure e semplici botte! Voglio dire, siamo sul ring o al pub in mezzo a una rissa con gli sgabelli e le bottiglie!? E qui sta il punto cruciale.
I verdetti e le competenze arbitrali quanto quelle di giudizio, oltre al loro compito materiale dovrebbero servire anche a questo. A indirizzare uno sport perché sia al passo coi tempi.
Se si persevera nel premiare quello che a me piace definire il “pugilato degli anni Trenta”, vale a dire quello “maschio”, quello che premiava a prescindere il massacro e “l’ottuso”, quello che per esempio distrusse la figura di un campione come Johann Trollmann in nome del concetto fascista/nazista di “Faustkampf”, si rimane a cento anni fa.
Continuiamo pure a valutare il “cuore”, l' “aggressività”, la “voglia di vincere”, le “mani ad elicottero” come le chiamo io. E avremmo sempre più pugili scarsi e rissaioli e vinceremo sempre meno. Godremo della distruzione estetica della nobile arte e del valore educativo del pugilato.
Tante volte si è assistito alle timide richieste di spiegazioni da parte di tecnici spazientiti, magari ai corsi di aggiornamento o alle assemblee federali. Persone che con discrezione si avvicinano ai guru federali nazionali e badando bene di non farsi sentire, per educazione… magari provano ad esprimere un certo disappunto. A volte l’indifferenza è glaciale. Altre volte a fare in modo che tutti i presenti si accorgano della discussione sul tema spinoso non è certo la discrezione delle maniere usate dal piccolo tecnico quanto la perentorietà della risposta che rimbomba per la stanza semivuota.
“Ehnnò! Emmò m'avete rotto er cazzo con sti cazzo de verdetti! Ma non lo vedete che rubano pure alle Olimpiadi!? E ogni vorta che me venite a rompe er cazzo con sti cazzo de verdetti de li ragazzi vostri! Se rubano li verdetti alle Olimpiadi li potranno rubà pure a voi, no!?”.
Bene se questo è un ragionamento logico siamo messi bene. E il risultato è sotto gli occhi di tutti. Voglio confidare sulla natura ironica di un certo tipo di risposta. Resta il fatto che fin dall’inizio, in Italia, la vittoria è facile per alcuni, impossibile per altri. Non lamentiamoci se poi chi sta da un lato della barricata non riesce ad accettare la sconfitta.
In conclusione proporrei una soluzione al problema: i settori tecnici che per anni hanno fallito… a casa!
Il cerchio degli intoccabili si è rotto.
Largo a chi ama questo sport.
Giuni Ligabue (Bologna – Modena)