Per avvicinarci al festival dell'8-9 ottobre in ricordo di Valerio Marchi, pubblichiamo in questi giorni alcune sbobinature degli interventi fatti a Roma nel 2007, primo anniversario della sua scomparsa...cominciamo con Marco Philopat.
PHILOPAT: “Io ho scritto un articolo in questi giorni e l'ho voluto dedicare proprio a Valerio Marchi, perché secondo me se fosse stato ancora in vita, lui si sarebbe ricordato del cinquantesimo anniversario della rivolta di Genova, contro il Governo Tambroni e contro i fascisti, la famosa rivolta dei ragazzi con le magliette a strisce, quindi l'ho fatto dicendo “Visto che manca Valerio, spero di riuscire così a tappare un buco di questa scomparsa incredibile.” Una premessa su Valerio la volevo fare sul fatto che io, da quando sono piccolo, anche perché sono allievo di Primo Moroni che mi ha inculcato una teoria che lui ripeteva sempre e mi è rimasta impressa, che ci sono due università quella accademica normale e quella della strada che si equivalgono completamente, solo da un punto di vista si divaricano, perché se da una parte quella accademica c'è la faccenda meritocratica e gerarchica tipica dell'accademia, e quindi il grande professore è il vertice di una piramide, mentre invece nell'università della strada, soprattutto con coloro che capiscono che certe dinamiche, certi conflitti sia individuali che collettivi si basano sul rapporto fisico e dialettico, ma diretto, si capisce subito che non bisogna creare dei poteri, quando si tratta di condividere dei saperi.
Ecco in questo Valerio era plurilaureato all'università della strada. I ragazzi con le magliette a strisce rappresentano indubbiamente la prima volta in cui un simbolo, un costume che nasce così spontaneo dai giovani è unito direttamente alla rivolta di piazza. Ecco cos'è successo il 30 giugno di 50 anni fa: c'era un governo democristiano appena nato presieduto da Tambroni e che sta in piedi grazie a 14 voti dei deputati fascisti, questi ultimi avevano deciso che per fare pressione su un fascismo ormai uscito dalla storia nel 1960, di fare una grossa provocazione i missini di allora e fare un Convegno proprio a Genova città medaglia d'oro al valore della Resistenza. Nel giro di pochi giorni, ci fu un grosso tam tam e siccome questi ragazzi avevano voglia di caratterizzarsi in qualche maniera, decisero di andare a comprare delle magliette a strisce da 300lire l'uno ai primi grandi magazzini che c'erano, se le misero addosso e furono loro a guidare gli scontri, una cosa completamente fuori dall'organizzazione del PCI, e di chiunque altro. Riuscirono a fare gli scontri ed ebbero l'aiuto dei vecchi partigiani: dissero che c'erano delle armi e la polizia si spaventò in qualche maniera ed alla fine riuscirono a vincere perché il convegno non fu fatto; con grande rabbia dei fascisti, non è un caso che Fiore a distanza di 50 anni è voluto tornare a Genova per commemorare quei fatti ed anche questa volta giustamente ci sono stati degli scontri per cacciarlo via e terminare l'ennesima provocazione. Ma la cosa interessante del rapporto tra magliette a strisce e tutti gli studi di Valerio e il rapporto tra rivolta dello stile e rivolta reale nelle strade, è una cosa che a me ha colpito tantissimo quand'ero ragazzino e quand'ero punk, soprattutto perché questi ragazzi sapevano di scendere in piazza e di rischiare grosso, perché la situazione lì era davvero pesa, la polizia l'aveva giurata.”
PETRINI: “Quelli erano gli anni di piombo veri! All'inizio ci avevano raccontato che gli anni di piombo fossero gli Anni'70 ma se andiamo a vedere i resoconti, gli anni di piombo erano i '50 perchè lì si moriva in piazza.”
PH: “Infatti nel Luglio '60 poi soprattutto nelle altre manifestazioni a Roma, a Reggio Emilia e in Sicilia, moriranno undici compagni tutti giovanissimi, i famosi morti di Reggio Emilia avevano la maglietta a strisce per intenderci. Sapevano dunque di rischiare grosso, eppure sapevano che andare in piazza era il loro dovere, che ciò andasse fatto per non far sì che la storia si potesse ripetere. Ecco su questa cosa qui del dovere, che forse poi è andata via via sgretolandosi nel corso di cinquant'anni di sottoculture giovanili, Valerio aveva fatto delle riflessioni, che almeno a me personalmente mi avevano sempre stimolato e per questo sono arrivato qui a fare un ragionamento sulla magliette a strisce. Me le raccontò facendomele restare impresse Primo Moroni quando ero un giovane punk vestito di nero coi capelli verdi. Come tutti i punk e gli skin di quel periodo, un periodo di riflusso, il costume, l'abbigliamento e i concerti erano i pochi mezzi per esprimere la nostra rabbia, la nostra ribellione, di fronte al fatto che i nostri fratelli maggiori avevano quasi fatto la rivoluzione, in quel periodo non c'era più niente, qualsiasi cosa facevi di minimamente sovversivo ti mandavano in galera e non c'era davvero nulla e qualsiasi cosa come i vestiti poteva diventare uno strumento per noi. Primo ci raccontò questa storia, ci conoscevamo da pochissimo, lui era strepitoso a raccontare, le storie sembravano dei film hollywoodiani; in questo articolo qui, prendo spunto da una registrazione di Primo che ho ascoltato: “Andammo sulle barricate a fare a cazzotti coi celerini e i carabinieri che difendevano i fascisti. Eravamo giovani, generosi e intransigenti - ripeto: giovani, generosi, il concetto di generosità per buttarsi in prima linea per far sì che la storia non si ripeta; e intransigenti. “Portavamo i jeans e avevamo il mito dell'America e siccome i soldi in tasca erano pochi, ci vestimmo con delle magliette pagate 300lire ai Grandi Magazzini. Non ci interessava una vita passata solo lavorando - Qui siamo nel '60 e sono le prime volte che le culture giovanili si fanno vedere: non volevano passare la vita solo lavorando, venivano da 15-20 anni di ricostruzione ed il concetto del lavoro era ben radicato. Preferivamo lavorare meno, ma avere più tempo libero, però quando ci fu da protestare non ci tirammo certo indietro. - Ecco, avevano il mito dell'America, gli piacevano i Teddy boys, Elvis Presley, Marlon Brando, però quando si è trattato di difendere l'Italia dal ritorno del fascismo loro ci sono stati. Come mai nel giro di 50 anni questo senso del dovere che in qualche modo anche noi punk avevamo assorbito quando Primo ci faceva questi racconti è andato via via dilatandosi fino a quasi sparire. Questa è la domanda base che secondo me Valerio avrebbe posto a tutti noi. Un'altra premessa nel rapporto con Primo, era che queste magliette a strisce ci misero anche in contraddizione a noi punk, perché ovviamente quando sei giovane e vieni da una cultura di strada, pensi di poter cambiare il mondo e che i tuoi strumenti siano quelli più moderni, più innovativi e vaffanculo al resto. Noi eravamo punk e dicevamo “Never trust a hippie”: non avere mai fiducia in persone che hanno più di trent'anni.
Primo ci aveva da subito segato le gambe, sia facendoci vedere alle sue spalle una foto della Banda Bonnot che erano dei rapinatori di banca anarchici degli Anni '20 in Francia e ci fecero vedere che vestivano di nero come noi, vivevano in una Comune come noi che vivevamo tutti al Virus ed erano pure vegetariani come noi; e poi ci raccontò che nemmeno le magliette a strisce erano delle grandi novità, perché sempre restando nel campo di Milano, ci aveva fatto l'esempio della Volante Rossa che avevano preso dei giubbotti di pelle dell'aeronautica militare americana che giravano così e nella seconda metà degli anni '40 giravano così con questa divisa per farsi riconoscere e andare a prendere i fascisti che già in quel momento stavano rialzando la testa. Chiaramente ci raccontò poi dei capelloni beat, che inneggiavano al libero amore e usavano quei capelli per farsi riconoscere e dopo, ovviamente, anche dei famosi trench bianchi della “Banda Bellini” che poi dopo saranno importanti per me tanto da scriverci un libro. C'è quindi un filo rosso tra rivolta contro l'autorità costituita e quello che diventa il simbolo delle persone che decidono di scendere in piazza e che diventa fortissimo nei fatti di Genova, quindi io qui ragiono su cosa li mosse: non erano bandiere rosse ma magliette del discount, ma soprattutto perché dopo quelle giornate del 1960 non ci fu più niente di così dirompente nel rapporto tra simboli della rivolta e impegno politico.
A tanti anni di distanza, si potrebbe affermare che forse è colpa nostra che non siamo stati in grado di tramandare certi ricordi, così come riusciva a fare ad esempio Primo le tramandava a noi, però in realtà una delle cause più importanti resta il fatto che i ragazzi dalle magliette a strisce non furono così irrimediabilmente ostacolati dai quelli che si potrebbero definire i loro “rappresentanti istituzionali", come succede a noi, ad esempio a Milano già dal 1980-81 c'era il PSI, e il PCI che stavano già sparendo già allora e quindi i rappresentanti istituzionali non c'erano proprio. Nel 1960, non era affatto così. Ci furono delle esplicite prese di posizione sia dei parlamentari socialisti, che di quelli comunisti a favore di quelli che stavano organizzando la manifestazione a Genova, e siccome per fare quest'articolo ho letto un po' di libri, mi sono imbattuto nel testo di un comizio del 28 giugno, quindi due giorni prima della rivolta, neanche di un comunista, ma di un socialista, Sandro Pertini, che ad analizzarlo ad esso risulta una figura complicata, ma nel 1960 stava sicuramente da questa parte della barricata, quella dei ragazzi di strada. Lui salì sul palco davanti a 30.000 antifascisti veri dicendo (testuali parole): “Le autorità romane si sono impegnate a trovare quelle che ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Non c'è bisogno che si affannino, ve lo dirò io chi sono i sobillatori. Eccoli qui! Sono i fucilati della Benedetta, di Trabasco, sono i torturati della casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime e delle risate sadiche dei torturatori “- Dopo questo comizio, Pertini fu chiamato “U briettu", in dialetto genovese il fiammifero, colui che accese la fiamma della sollevazione popolare - “Io nego che i missini abbiano il diritto di tenere a Genova il loro congresso - un socialista, mentre adesso anche Rifondazione dice che i fascisti hanno in qualche modo diritto di fare i loro congressi - Ogni iniziativa, ogni atto, ogni manifestazione di quel movimento è una chiara esaltazione del neofascismo, si tratta del resto di un congresso qui comunicato non per discutere, ma per provocare e contrapporre un passato vergognoso ai valori politici e morali della Resistenza. Oggi i fascisti la fanno da padrona, sono di nuovo al governo, giungono addirittura a qualificare come un delitto l'esecuzione di Mussolini. Ebbene io mi vanto di aver ordinato la fucilazione di Mussolini - davanti a 30.000 persone disse questo - perché io e gli altri membri del CLN non abbiamo fatto altro che firmare una condanna a morte pronunciata dal popolo italiano vent'anni prima.” Pertini poi sappiamo tutti cosa è diventato, addirittura a metà degli anni '80 è andato a dare le medaglie al valore militare ai torturatori di Leonardo e dei compagni brigatisti di Padova, però in questa fase, nel 1960, indubbiamente fece “u briettu” il fiammifero e in qualche modo a me piacerebbe fare una sorta di fiction di un ragazzo giovanissimo che ascolta il comizio di Pertini e poi va a comprarsi una maglietta a strisce convinto che qualcuno l'avrebbe difeso. E non è un caso che comunque dopo i casini di Reggio Emilia, ma anche Bologna dove ci fu il rappresentante del PCI che venne caricato mentre faceva il suo comizio a favore dei ragazzi con le magliette a strisce e ci furono pure degli scontri; anche i dirigenti del PCI portarono avanti una critica e nei libri che ho letto e vi voglio citare perché sono bellissimi (il più bello è sicuramente “L'Estate dalle maglietta a strisce” di Diego Colombo uscito per Sedizioni del 2007 e poi “Il nemico interno” di Cesare Bermani, che raccoglie i racconti orali dei protagonisti, ma anche “Il tempo di Tambroni” di Annibale Paloscia) anche il PCI si fece delle menate assurde; sostenevano che la gioventù andava sotto una direzione che non era la loro e che stavano perdendo il rapporto con le masse popolari in rivolta . Erano preoccupati perchè la Federazione Giovanile avesse subito un crollo delle iscrizioni, erano passati dai 365.000 del 1956 ai 200.000 nel 1960, persero quasi la metà degli iscritti, ed erano molto sfiduciati. C'era chi accusava i giovani di aver subito l'influenza del clericalismo e dell'americanismo, però c'era qualcuno come Carlo Levi lo scrittore che diceva ai giovani: “Spingere con la forza, non tacere,dovete usare la vostra forza per protestare, sovvertire. Fatelo voi che siete giovani!” Carlo Levi che all'epoca aveva 60 anni, questo per dirvi la differenza che c'era, addirittura diceva “Questi fatti impongono un esame approfondito e un'elaborazione e la modificazione di programmi e di metodi; lo studio preciso di fini concreti nati dalla coscienza popolare - quindi com'erano vicini a questa situazione concreta - la fiducia rinata attraverso l'azione è un bene prezioso che non può essere deluso e dissipato.”
Poi dopo, in qualche maniera, veramente siamo rimasti in quattro gatti a essere amici e fratelli dei ragazzi di strada; negli anni'60 non era così, erano addirittura proprio i rappresentanti istituzionali che andavano a fare il loro dovere. Ma la cosa pazzesca l'abbiamo avuta 40 anni dopo, cioè in seguito al G8 di Genova è vedere che quei ragazzi con le magliette a strisce andarono in galera (circa 150) per due, tre anni, perché erano queste le pene all'epoca non come oggi che ne rischi 10-12. Ma la cosa più pazzesca è che tutto l'apparato del PCI mandò i suoi migliori avvocati a difenderli, mentre dopo il G8, quelli che dovrebbero essere i “Parlamentari nostri” non sono stati in grado nemmeno di fare una Commissione d'Inchiesta in merito. Na cosa pazzesca. Tra l'altro gli avvocati mandati dal PCI nel '60 erano Giovan Battista Lasagna, un vecchio capo partigiano che era anche un aiutante del costituzionalista Terracina, che era anche lui del PCI, nonché il capo del collegio di difesa, Umberto Terracini era del PCI ed era il miglior avvocato dell'apparato e scese apposta per difenderli. È questa la differenza che c'era. Ecco anche la difficoltà che abbiamo avuto noi tutti, Valerio per primo, di riuscire a stare vicini per primi ai movimenti insorgenti che nascono nelle periferie metropolitane”.