Ancora una volta abbiamo assistito, come in ogni occasione in cui ci sia il minimo problema di ordine pubblico intorno ad una partita giocata nel nostro paese, ad un unanime coro di lamento e condanna condito dal comportamento allarmistico, ma non sarebbe esagerato dire terroristico, dei media, specie nelle ore immediatamente successive ai fatti. Una linea di condotta ormai solidamente affermata, scontata come le telefonate dei parenti il giorno del tuo compleanno.
Se guardiamo ai fatti, quello che è stato spacciato come un assalto con finalità omicide al pullman della squadra bianconera sembra più avere i toni di una contestazione forte ma goliardica. Si può certamente discutere sul fatto di coinvolgere i giocatori in queste dinamiche di rivalità che per natura riguardano più che altro le tifoserie. Ma quello di Torino è uno dei derby più caldi d'Italia, e la Juve, anche a causa della sua storia di superpotenza del calcio italiano, non è certo nuova a subire contestazioni un po' accese. Nei video si vedono sostanzialmente persone che si avvicinano al pullman per dargli degli schiaffi o dei calci sulle fiancate, e molte altre che si limitano a gestacci e sfottò. Nessun serio tentativo di bloccare il pullman e procedere ad un assalto più efficace. Il bilancio è di un vetro rotto, cosa non sufficiente a comportare rischi per l'incolumità di nessuno in quanto il pullman ha il doppio vetro. Più che altro una situazione in cui si “mette pressione” alla squadra avversaria per “farle sentire” la partita: sicuramente si può pensare che sia una modalità sbagliata di viversi il pre-partita, ma falsificare la realtà non depone mai a favore dell'attendibilità delle proprie opinioni. Ancora più vergognosa la gestione della notizia del “bombone” esploso in Curva Primavera: il fatto in sé non è certo il massimo della correttezza e del coraggio, va detto. Ma nelle ore successive i media, con la solita bava alla bocca, scrivevano (perché se lo auguravano?) che tra i vari feriti ce n'era uno molto grave, in codice rosso, forse in fin di vita. Il giorno dopo non c'era più traccia di questa notizia, si parlava di 11 feriti lievi, ma intanto la notizia-choc aveva svolto la sua funzione, quella di poter tuonare nuovamente contro gli ultras ed augurarsi dalle poltrone dei salotti televisivi di poter finalmente vedere un calcio “libero da questi delinquenti” e in cui “le famiglie possano tornare a riempire gli stadi”.
Sui motivi per cui gli stadi si sono svuotati si potrebbe scrivere, e scriveremo, moltissimo. Ma riguardo a questa questione la prima risposta che viene in mente è che gli episodi di violenza c'entrano veramente poco o nulla con l'abbandono degli stadi da parte della “gente normale”. Basta tornare con la memoria agli anni “gloriosi”, gli '80 e i '90 in particolare: il calcio italiano era al top da molti punti di vista, a partire da quello del livello tecnico, per arrivare a quello degli stadi stracolmi di persone di ogni tipo, colori, voci e...scontri! Ogni domenica in vari stadi di tutte le categorie del campionato si svolgevano violenti scontri tra numerosissimi gruppi ultras, molto più di quanto accada oggi. Fatti come quelli del derby di Torino probabilmente non sarebbero neanche finiti sul giornale. Ripeto che sulla violenza dentro e fuori gli stadi ognuno può avere l'opinione che vuole. Ma ci sono dei dati storici oggettivi che confutano alcuni stereotipi molto in voga tra i commentatori sportivi mainstream, e uno di questi è che nonostante livelli altissimi di scontro gli stadi hanno continuato ad essere pieni in tutti quegli anni. Questo anche perché, salvo eccezioni straordinarie, questo tipo di scontro difficilmente coinvolge chi non vuole prendervi parte: ogni padre di famiglia minimamente scaltro sapeva che giro fare per evitare casini, in quale parcheggio era meglio non lasciare la macchina e altre piccole cose di buon senso; ma a rinunciare ad andare alla partita, magari col figlioletto piccolo, non ci pensava proprio.
Poi arrivò la pay-tv, e dopo ancora il caro-biglietti. La rosa dei motivi che hanno allontanato la gente dagli spalti è in realtà ampia: espedienti burocratico-repressivi come biglietti nominali e tessera del tifoso, orari-spezzatino, scandali vari tra scommesse e doping, alcune grandi curve in cui i gruppi ultras sono diventati comitati d'affari privi di scrupoli (e quindi a pieno titolo parte del problema), e chi più ne ha più ne metta. Ma il nodo centrale, specie in risposta al banale “la gente non va più allo stadio per colpa degli ultras”, sta nel binomio tra pay-tv e caro-biglietti, e la questione è rudemente economica: il biglietto per una singola partita costa ormai quanto l'abbonamento mensile alla pay-tv per l'intero pacchetto calcio, campionati esteri e coppe compresi. E non siamo certo in un periodo storico in cui all' “uomo medio” alla fine del mese avanzano tutti questi soldi. In serie A è ormai difficilissimo vedere una partita allo stadio, nel settore più economico, spendendo meno di 20 euro per una partita di basso profilo, o meno di 40-50 per un big-match. Sono un sacco di soldi. Ovviamente ci sono gli abbonamenti, ma per sottoscriverli è necessario sottoporsi all'auto-schedatura della tessera del tifoso (salvo rare eccezioni di fidelity card che aggirano il problema), e comunque sono lievitati di prezzo anch'essi.
Risulta veramente insopportabile la retorica sulle “famiglie”: queste non andrebbero più allo stadio per timore di qualche momento di tensione o perché per 4 biglietti spendi tra i 100 e i 200 euro? Mentre per stare tutti e 4 davanti alla tv con 30 euro ti vedi le 4-5 partite che la tua squadra gioca in un mese? Il punto non è che si vuole eliminare la violenza dagli stadi, ma che si vogliono eliminare le classi popolari dagli stadi, in favore di un pubblico ricco, educato, seduto e silenzioso. E allora anche il derby di Torino (una delle partite più belle di quest'anno, sia in campo che come atmosfera) diventerà un'enorme rottura di coglioni, come è ormai quasi tutto il nostro campionato.
Matthias Moretti