Nonostante uno dei mantra più classici dell'ex plenipotenziario della Fifa Joseph Blatter fosse che il calcio è semplicemente uno sport e che niente debba avere a che fare con la politica, sono tanti i casi che hanno smentito quest'assioma, anche adesso che lo scandalo della corruzione ha posto fine al dominio dello svizzero, ultimo in ordine quello che riguarda la questione della Crimea. L'importanza geo-strategica della piccola penisola situata nel Mar Nero non basterebbe una monografia per documentarla, basti sapere che sin dalla sua annessione alla Russia nel 1784 è da sempre stata vista come una delle principali porte per l'espansione commerciale e militare della Russia in Europa, un particolare così chiaro alle classi dirigenti dei secoli precedenti che anche Cavour nella sua opera di realpolitik, volta a conquistare appoggi alla causa italiana, inviò nel 1855 un contingente di soldati dell'allora Regno di Sardegna (o un po' meno prosaicamente: mandò a morire tra ferite di guerra e un'epidemia i bersaglieri piemontesi a Sebastopoli) in appoggio dell'Impero Ottomano che si ritrovava a contrastare proprio le mire espansionistiche russe e che per questo era supportato anche da Francia, Gran Bretagna e dall'Austria asburgica.
Anche la decisione di Nikita Chruščёv del 1954 di “regalarla” all'Ucraina (sempre all'interno della cornice dell'Unione Sovietica), sebbene con ogni probabilità non fu la più discussa e foriera di conseguenze, suscitò molte perplessità anche all'interno della stessa comunità crimeana, al punto che quando nel 2014 con la nuova annessione quasi senza colpo ferire della penisola alla Russia, in seguito al referendum di marzo, gran parte degli osservatori internazionali non imbevuti di “atlantismo radicale”, reputarono ciò la normale conseguenza dell'abbraccio dell'Ucraina alla NATO e all'UE. Quello che, con ogni probabilità, è meno conosciuto è il legame calcistico che lega la Crimea alla Russia.
Infatti, quando nell'allora Leningrado (ora San Pietroburgo) nel gennaio del 1912 venne fondata la Federazione Calcistica Sovietica, tale iniziativa fu presa dalle sezioni di Mosca, Leningrado e Sebastopoli, principale centro della penisola; in ragione di ciò e del fatto che durante il periodo di appartenenza della città all'Ucraina il divieto di far suonare l'inno della squadra (“Leggendaria Sebastopoli, città dei marinai russi”), che pure aveva vinto il primo campionato dell'Ucraina indipendente, non ha fatto altro che rinfocolare i sentimenti di appartenenza alla Russia dei suoi tifosi. Così, dopo la sistemazione de facto della cornice politica della Crimea, è toccata a quella calcistica che si è rivelata ben più complicata del previsto, nonostante l'ottimismo iniziale della Federazione russa, che forse un po' troppo impudentemente si era lasciata prendere la mano includendo la penisola nella carta della Russia durante il video di presentazione del simbolo dei Mondiali 2018, cosa che mandò su tutte le furie addirittura la FIFA.
Nei piani originari ci sarebbe dovuto essere soltanto il trasloco delle tre principali squadre (Sebastopoli, Tavria Simferopol e Zhemchuzhina Yalta) nel girone Sud della seconda divisione russa, vale a dire il gradino base del calcio professionistico, ma le successive pressioni della Federazione ucraina (che ritirò tutti i cartellini dei giocatori che avevano ancora passaporto ucraino, obbligandoli a rinunciare di fatto al loro lavoro) e l'atteggiamento forse eccessivamente pilatesco da parte della UEFA, che accogliendo le proteste ucraine, ma battendosi per la salvaguardia dello sport in Crimea, avallò di fatto le pretese di Kiev, fino a paventare la squalifica dei club russi dalle competizioni europee qualora questo disegno si fosse concretizzato.
Per sbloccare quest'impasse si è dovuto ricorrere alla creazione di una lega autonoma comprendente 8 squadre (TSK Simferopoli, SKChF Sebastopoli, Rubin Yalta, Bakhchisaray, Yevpatoriya, Kafa, Ocean Kerk e Berkut Evpatoria) e a una formula del tutto unica in Europa, quella della “Zona speciale” (che comunque non consentirà ai vincitori di disputere le competizioni internazionali), letteralmente “una zona aperta a tutti, una zona d'amicizia: ucraini, russi, stranieri, purché possano giocare e siano d'esempio ai ragazzini” come dichiarato da Aleksandr Krasil'nikov, presidente della Federazione di Calcio della Crimea. Nei giorni scorsi, invece è toccato alla nazionale muovere i primi passi grazie al finanziamento di alcuni imprenditori locali, come Yuri Vetokha, che è anche il presidente della Federcalcio della Crimea (Crimea Football Union). “Il capo della repubblica di Crimea ha chiesto un grosso aiuto per reperire i fondi per far nascere questa squadra e la la comunità imprenditoriale ha risposto presente a questa richiesta. – ha raccontato lo stesso Yuri Vetokha – In totale sono stati raccolti tra i due e i quattro milioni di rubli che sono stati interamente usati per acquistare il materiale agonistico e sportivo della squadra e per l’organizzazione del primo ritiro della nazionale”. In ogni caso, la FIFA ha fatto sapere che prima di poter affrontare partite ufficiali, la nazionale della Crimea (che scenderà in campo in rosso, nero e blu), dovrà aspettare l'autorizzazione della Federcalcio ucraina che con ogni probabilità non dovrebbe arrivare tanto facilmente- Pertanto la Crimea ha già fatto sapere che intende aderire alla CONIFA (Confederation of Independent Football Associations), la federazione internazionale, fondata nel 2013, alla quale sono affiliate le squadre di calcio delle nazioni e degli Stati senza un riconoscimento internazionale, delle minoranze etniche, dei popoli senza Stato, delle regioni e delle micronazioni non affiliate alla FIFA e che ha già visto due edizioni di questo speciale campionato: nel 2014 in Lapponia con il successo della Contea di Nizza e nel 2016 in Abkhazia, vinto dalla formazione di casa; d'altronde già nel 2006 aveva partecipato a un torneo simile a Cipro Nord, in un girone con Tibet, Tagikistan e Kirghizistan.
L'impressione è che questa sia una situazione transitoria, che forse neanche i più ferventi tartari avrebbero mai immaginato e per quanto la questione del confine tra Russia e Ucraina (compresi ovviamente il Donbass e la Novorossija e, seppure in maniera nettamente secondaria, anche le loro squadre di club) sia ancora in divenire e faccia parte di una partita ben più grande. Sembra di rivedere declinato nel calcio il ruolo delle rispettive nazioni di appartenenza, con l'UEFA eccessivamente accondiscendente con l'Ucraina, proprio come l'ONU, e in cui ad andarci di mezzo è il movimento calcistico delle zone in questione uscito con le ossa rotte dagli ultimi Europei e con prospettive future di certo non esaltanti.
Giuseppe Ranieri