Quando il 6 aprile del 1985 al 38esimo del primo tempo Alberto Aita realizza la rete che sancisce quella che (almeno fino a giovedì 22 dicembre...) resta l'ultima vittoria casalinga del Cosenza contro il Catanzaro, chi scrive non era ancora nato. Negli anni a seguire, per una serie di motivazioni le cui cause originarie restano ancora incerte (personalmente ne ho sentite almeno tre diverse e tutte attendibili a modo loro...), Catanzaro-Cosenza è diventato il derby calabrese per antonomasia, nonostante fosse una rivalità tutto sommato recente e, se paragonata a quanto era successo, soprattutto fuori dal campo e per discorsi ben più complessi, tra catanzaresi e reggini per l'assegnazione del capoluogo di regione, potesse sembrare quasi “artificiale”, ma in fin dei conti non è scritto da nessuna parte che i derby debbano essere portatori di odi atavici e rivalità centenarie per essere sentiti.
Così, nonostante nei venticinque anni che vanno dal 1990 al 2015 gli incontri tra le due squadre accessibili a entrambe le tifoserie si fossero contati sulla punta delle dita, la rivalità esondava potendo contare sul fatto che difficilmente due città così geograficamente vicine potessero esprimere (almeno fino a quello tsunami iniziato nel 2007 con la morte di Raciti e proseguito per anni, a partire dal quale si sono mischiate le carte in quasi tutte le curve d'Italia), due filosofie di curva così distanti, quasi agli antipodi. Senza entrare in giudizi di merito è innegabile come la tradizione delle due curve differisca su quasi tutto e le reciproche accuse velenose possano spaziare su molteplici temi: “ultrà” contro “ultras”; se i cosentini chiamavano i catanzaresi conigli, per l'assenza o comunque i numeri risicati nella fine degli anni '80, i catanzaresi replicavano chiamando i rivali “carote” a rivendicare una tradizione favorevole nei “confronti diretti” tra le due curve. I cosentini ebbero il loro migliore momento indubbiamente negli anni '80 (al punto da avere anche un gruppo attuale con questo nome) mentre i catanzaresi hanno dato il proprio meglio negli anni '90 fino all'inizio del decennio successivo, nonostante una squadra che marciva in quarta serie per ben tredici anni di fila; i cosentini fecero la prima fanzine e organizzarono il primo raduno ultras, nel 1985, mentre i catanzaresi ai raduni sono stati per decenni schivi e allergici, denunciando le “incongruenze” che chi ha partecipato a qualche raduno conoscerà sicuramente... una curva storicamente e compattamente a sinistra quella di Cosenza contro una prevalentemente di destra sebbene con consistente sacche di resistenza quella giallorossa; i cosentini hanno preferito lo spontaneismo “libertario” anche in curva, mentre i catanzaresi hanno avuto sempre avuto un'impostazione piramidale (che nel concreto è culminata con un'accettazione della tessera del tifoso da quasi tutta la tifoseria del capoluogo di regione e un rifiuto della stessa da parte dei cosentini, prima che qualche divergenza creasse delle falle col conseguente tesseramento di una parte dei gruppi). Chi ha fatto dell'originalità e dell'avanguardismo un marchio di fabbrica, contro chi si è attenuto al modello ultras classico anche nei campionati più infami della propria squadra. Ma anche molto più profanamente i cosentini irridono i catanzaresi che vivrebbero su un “cozzo ventoso”, mentre questi a loro volta fanno notare che gli altri vivono in una sorta di fossa dal clima inospitale; i cosentini prendono in giro i catanzaresi per via del loro accento pieno di aspirate e i catanzaresi rispondono appellando i dirimpettai come “violentatori seriali di consonanti” e si potrebbe continuare a iosa, perché forse le uniche cose che hanno sempre avuto in comune Catanzaro e Cosenza si possono trovare agli estremi della narrazione del loro corpo sociale: da un lato il disagio e il malessere delle loro zone più popolari e dall'altro la natura massonico-delinquenziale delle loro classi dirigenti, che sebbene divise dai simboli di partito, si sono caratterizzate per la continuità nella negligenza, il nepotismo e gli abusi di potere senza preoccuparsi nemmeno di dover cercare di nasconderlo, ma facendo tutto ciò alla luce del sole.
Fortunatamente, nel corso degli anni, si è sviluppata una maturità che ha consentito in determinate circostanze di superare queste visioni radicalmente manichee e le ultime dimostrazioni sono recenti, come ad esempio lo striscione fatto dai cosentini in memoria di Domenico, un tifoso catanzarese prematuramente scomparso circa un mese fa, oppure, andando più a ritroso, la visita in una clinica del capoluogo che fecero esponenti di un determinato gruppo della curva del Catanzaro a un ultras di spicco del Cosenza che in quel momento lottava tra la vita e la morte.
Non penso di offendere nessuno se sostengo la tesi che ormai questo derby sia decisamente annacquato e come spesso succede per tanti vini di pregevole qualità diventati aceto, esso sia ormai la parodia di se stesso, una ritualizzazione stantia di “quello che era una volta” quando il mondo intorno non è più quello di una volta, con tutti gli imbarazzi del caso. Certo, le rispettive intellighenzie delle due curve danno la colpa di ciò all'imborghesimento del rivale con accuse velenose e una contro-memorialistica di cui ho scelto accuratamente di non parlare; ma come spesso succede, la verità sta nel mezzo e non sempre dipende da meriti/demeriti.
Non mi riferisco soltanto alle cervellotiche misure del Prefetto di Cosenza che ha intimato ai catanzaresi di muoversi alla volta del capoluogo bruzio solo con i pullman e non coi mezzi propri, pena identificazione e possibili sanzioni (leggi D.A.SPO); se sei un habituè delle trasferte, sai che in quelle definite a “rischio” è sempre così: vivi una sospensione dei tuoi diritti, se sei fortunato vedrai i tuoi rivali da lontanissimo, giusto per fomentare qualche guerriero delle due fazioni e spingerti a gareggiare a chi fa i proclami meno credibili. “È il calcio moderno bellezza!” verrebbe da dire, abbiamo accettato di tutto come un marito follemente innamorato di una moglie incorreggibilmente e reiteratamente adultera, ma da cui non riesce a staccarsi, e non ha certo senso strapparsi le vesti adesso: se accetti ti tieni il pacchetto completo, altrimenti sei e fai altro, senza vie di mezzo.
Infatti il problema non è tanto quanto appena scritto ma, oltre al danno la beffa, è stato prima l'aver sentito i vertici della Lega-Pro in questi mesi fregiarsi di fare giocare l'ex Serie C il giorno di Santo Stefano, provando a imitare il “boxing day” inglese “per riportare le famiglie allo stadio” e poi, a pochi giorni dal match, la decisione di anticipare la partita a giovedì 22 alle 14.30, in un giorno lavorativo, in una città già congestionata dal traffico pre-natalizio, non esattamente la migliore ricetta per riportare le famiglie allo stadio ammesso e non concesso che fosse proprio questo l'obiettivo. Ma, in fin dei conti, anche questo non sarebbe nulla di nuovo, abbiamo subito di peggio come ultras e poi, parliamoci chiaro: il giorno del derby quella delle famiglie allo stadio, della festa di gente e tutte queste formule retoriche vagamente progressiste non sono certo le problematiche che non ci faranno dormire la notte. Verrebbe da dire “dateci i nostri avversari! Fateceli vedere, lasciateci insultare, non dico un confronto fisico che quelli ormai... Ma fateci vivere la nostra rivalità in pace con le nostre comunità, fateci fare gli affari nostri”.
E invece, la chicca che non ti aspetti: oltre a quanto già detto, il prossimo Cosenza-Catanzaro sarà la prima partita in diretta streaming su facebook dal canale ufficiale di Lega-Pro channel. Stop.
Ecco, chi ha forgiato la definizione “fede incrollabile” non ha mai dovuto subire l'onta di sapere che il proprio derby, il mito fondante di ogni curvaiolo, sarebbe andato trasmesso su facebook; per chi ha fatto della clandestinità e dell'anonimato (in parole povere dello stile ultras senza fronzoli...) il proprio modo di essere è la peggiore distopia che potesse succedere, uno smacco alla propria dignità!
Proviamo a immaginare cosa potrebbe succedere: all'ingresso nel settore ospiti dei catanzaresi (su cui sono puntate le telecamere), se la loro prima linea fosse tutta griffata “Stone Island” e “Aquascutum”, rigorosamente con scarpe bianche ai piedi, una massa di ragazzini che hanno confuso l'essere ultras col fare i modelli ai cataloghi di “Postalmarket”, darebbe decine di like; qualora dalla Curva Sud ci fosse una coreografia con (ipotizziamo) una frase in dialetto, ecco immediatamente il commento “ma che cazzo stanno a ddì sti calabrotti?”; se dalla Tribuna A partisse un coro retrò, tutto quel mondo di uomini in andropausa e con un rapporto ancora conflittuale coi social network potrebbero mettere centinaia di like e cominciare con quelle litanie di racconti, bellissimi per carità, ma il più delle volte più vicini alla mitologia che alla storia. Così come se i catanzaresi al seguito della squadra tragicamente ultima in classifica dovessero essere poco numerosi, o al contrario in un numero sorprendente, tutti a scatenarsi nello sparare cifre in giorni infrasettimanali di derby giocati negli anni '60-'70-'80-'90, in cui non si capisce come sia possibile, ma anche nei casi in cui le trasferte in questione fossero di poche unità, “c'erano tutti”, così come nel riportare i propri esodi qualcuno inavvertitamente potrebbe aggiungere qualche zero di troppo. E non oso immaginare qualora la partita, come da pronostico, dovesse arridere alla formazione di casa e i catanzaresi dovessero non prenderla bene.... Apriti cielo! Sarebbe peggio di “The Hunger Games”: la gente che si sgola che si accalca che si sfoga, per garantire il divertimento a chi sta passando un pomeriggio di cazzeggio su facebook.
Non nego di averci dormito male pensando a queste cose e probabilmente la tentazione di mollare tutto e mandare affanculo il derby, le perquisizioni invadenti, gli orari improponibili e le disposizioni scellerate, mai come questa volta è stata fortissima, perché non avrei mai immaginato di svegliarmi alla vigilia del derby, del mio derby e pensare: “Che palle stanotte devo partire che domani giochiamo a Cosenza!”, ma mi sono risposto in maniera rassicurante e autoassolutoria che per quanto potessi avere ragione, la squadra è ultima in classifica e non si può lasciare la barca mentre affonda, che bisogna partire facendo sfoggio di orgoglio e accettare la sconfitta sul campo, cercando di vincere sugli spalti. Ma poi, proprio mentre mi stavo autoconvincendo, arriva l'incontro che non vorresti mai, quello con lo specchio nella tua solitudine al riparo dagli sguardi altrui, incroci lo sguardo e ti dici subito “Ma a chi cazzo gliela racconti???”, perché in fin dei conti il problema vero è il non sapersi arrendere all'evidenza: il calcio e la curva sono come degli psicotropi e dopo il periodo dell'esaltazione, è giunto il momento dell'assuefazione in cui nonostante sei portato ad abiurare quello per cui lotti quotidianamente (libertà di movimento, diritto alla ribellione, ricerca di dignità contro gli abusi) continui a farlo perché non sapresti fare altrimenti, perché non hanno creato un istituto per curare i dipendenti da calcio e da curva come il sottoscritto, altrimenti mi sarei rinchiuso spontaneamente, invece ci tocca partecipare come figuranti all'intrattenimento di qualcuno che domani pomeriggio non avrà voglia di alzarsi dal divano e resterà placidamente su facebook.
Intanto nella mia mente risuonano le parole di un cantante che non ho mai particolarmente amato, ma che ritrovo spesso nei momenti più bislacchi della mia vita: “T'immagini la faccia che farebbero se da domani davvero / Davvero tutti quanti smettessimo”.
Giuseppe Ranieri