“In una splendida cornice di pubblico che ci ha regalato un “Ahmed bin Ali Stadium” tutto esaurito rendendo Doha ancora più bella di quanto non lo sia normalmente, stanno per scendere in campo le squadre che si affronteranno per la finale di Supercoppa: i vincitori dell'ultimo campionato scenderanno in campo in divisa bianconera, mentre i loro sfidanti che hanno conquistato il diritto a disputare questa finale indosseranno la consueta casacca rossonera. Adesso è tutto pronto! Godiamoci in pace questo attesissimo match tra Al-Rayyan e Qatar Sport Club!”
Ecco, al netto delle differenze cromatiche delle divise: siccome uno degli argomenti forti dei propugnatori del calcio moderno è che i sentimenti andrebbero messi da parte in nome della logica, non ci sarebbe niente di più logico che a disputare un incontro di calcio destinato ad assegnare un trofeo nazionale per club in Qatar, fossero due squadre qatariote.
Invece sappiamo tutti com'è andata e il successo del Milan ai rigori si è rivelato provvidenziale per spostare l'obiettivo dalla polemica scoppiata, giusto qualche giorno prima, relativa al rinvio di ventiquattr'ore della partenza della spedizione rossonera che ha spinto addirittura Adriano Galliani a minacciare di non far scendere in campo la formazione rossonera a Doha. Ma, sebbene la memoria dei calciofili sia selettiva e legata a doppio filo ai risultati, ormai la bomba era esplosa e anche grazie alla sponda di alcuni media mainstream dell'informazione sportiva (Corriere dello Sport su tutti), che a ben vedere non hanno fatto altro che dare maggiore enfasi a quei dati che venivano sì diffusi, ma in un piccolissimo specchietto riassuntivo che risultava addirittura obsoleto per la maggior parte dei lettori. Adesso possiamo parlare con cognizione di causa e analizzare le tante cose prive di logiche in questa finale.
Innanzi tutto, la location: non è la prima volta che la Supercoppa italiana viene disputata all'estero (la prima volta fu nell'Agosto '94 tra Milan e Torino a Washington con vittoria dei rossoneri e a dirla tutta ci sono state sedi anche più grottesche come ad esempio Tripoli, dove l'allora amico Gheddafi fece colorare con vernice verde l'erba rinsecchita dello stadio) e neanche la prima volta che si è giocata a Doha, e forse già questo potrebbe bastare a segnare qualche differenza di base tra il movimento calcistico italiano e i principali competitor. La Community Shield, la Supercoppa inglese, si disputa dal 1908 e, a parte delle eccezioni che si contano sulle dita delle mani e tutte motivate, il teatro è sempre lo stadio di Wembley che anche in quest'ultima occasione ha risposto con oltre 85.000 spettatori; in Germania viene disputata in casa della vincitrice della coppa nazionale, mentre in Spagna c'è andata e ritorno. Solo in quella francese avviene qualcosa di analogo: quest'anno è stata disputata in Austria, dopo aver girovagato in vari paesi francofoni. Ma non possiamo certo paragonare il blasone del campionato francese a quello italiano, pertanto queste operazioni di apertura ai fantomatici mercati internazionali risultano più un'ammissione di provincializzazione e di richiesta d'aiuto che il contrario.
Del perché sia stata disputata a Doha, tra l'altro in uno stadio che contiene meno di 13.000 spettatori, quindi ben lontano dal target che meriterebbe un incontro tra le due massime rappresentanti storiche del calcio italiano, non crediamo ci sia molto da immaginare o da fare dietrologia: si tratta chiaramente di una questione economica. Anzi, proprio in seguito ai disagi vissuti dal Milan i dati economici sono diventati di dominio pubblico, e non soltanto quelli relativi agli introiti delle due squadre, che si aggirano intorno ai tre milioni di euro, esclusi volo e pernottamento pagati separatamente dall'“esibizione” dagli sceicchi, oltre a tutti quei discorsi sulle nuove fette di mercato che si aprirebbero per la Serie A, che oggettivamente cominciano a diventare discorsi triti e ritriti. In pratica come si fa con le escort di lusso gli si paga l'aereo privato, l'albergo, si usufruisce dei loro servizi per far divertire se stessi e i propri amici e le si rimanda a casa, con la sostanziale differenza che in questo caso vi è anche un “pappone” che si prende la percentuale, cioè la Lega Calcio che si è intascata il 10%.
Ma il problema principale è, probabilmente, proprio la natura stessa dell'operazione “Supercoppa a Doha”, che non è solo commerciale, ma è quella di legittimare calcisticamente (e non solo...) un paese come il Qatar. Ora, non siamo certo ingenui e non caschiamo dalle nuvole, ma fa effetto che in un periodo in cui ci ammorbano con l'ossessione del terrorismo islamico le petromonarchie, compromesse proprio con buona parte dei suddetti gruppi terroristi, vengano considerate affidabili partner politici, commerciali e ora sportivi. Ma d'altronde vi è una vasta bibliografia sui Mondiali in Argentina durante la dittatura e su altri casi in cui proprio il calcio ha svolto la funzione pacificatrice e legittimante nei confronti di stati e governi senza scrupoli.
Ciò che invece ci lascia quantomeno perplessi è che dopo il mezzo flop dei mondiali di ciclismo svoltisi proprio a Doha lo scorso ottobre, senza la benché minima tradizione calcistica e con un progetto di nazionale ancora in divenire, questa nazione si sia vista assegnare un mondiale che puzza di corruzione anche a continenti di distanza (a voler essere pignoli, le accuse mosse all'ex vice presidente della FIFA Jack Warner sono circostanziate e dettagliate e anche se nessuno ne parla, non si può fare finta di nulla...) a tal punto che per farlo disputare lì verrà giocato in inverno stravolgendo tutti i calendari dei vari campionati nazionali e anche le preparazioni atletiche dei giocatori. Per non parlare, uscendo dall'ambito strettamente sportivo, della rincorsa alla modernità attraverso i grandi eventi fatta sulla pelle di operai (per lo più immigrati dalla Penisola indiana e dal Senegal) dapprima ingannati con prospettive retributive nettamente diverse rispetto alla realtà e successivamente sequestrati (visto che gli sono stati confiscati i passaporti e, pur volendo, non potrebbero abbandonare i cantieri), imprigionati, mortificati dalle condizioni di vita e letteralmente ammazzati dal lavoro. Si contano almeno 5000 morti, davanti gli occhi di tutti visto che ciò avviene alla luce del sole e le proteste formali che vengono di tanto in tanto sollevate da qualche associazione servono solo a ribadire la grande illusione del diritto di parola in questa era “post-ideologica”: hai realmente la possibilità di dire quello vuoi, ma non pensare che verrai realmente ascoltato.
A ben vedere, a Doha è andato in scena molto più che un match tra le due squadre più rappresentative del calcio italiano, bensì l'anteprima di quella che si vorrebbe la definitiva sistemazione del calcio a metà strada tra il vivere imprigionato in una gabbia d'oro fatta dagli sponsor multimilionari e l'essere il paggetto di quegli emiri che in patria si vogliono togliere il capriccio di vedere il calcio e in Europa con i loro petroldollari scompaginano tradizioni e gerarchie faticosamente costruite in decenni sul campo. Nello sport come in tutti gli altri aspetti della vita l'unica risposta che si può dare alla furia che sono in grado di scatenare i servi del denaro è reagire attraverso l'autorganizzazione, che si tratti di nuove squadre popolari o di associazioni capaci di riunire gli interessi di tutti i tifosi (come avviene in vari paesi) per evitare di diventare spettatori passivi delle vicende che ci stanno a cuore e restare protagonisti del proprio avvenire.
Noi di sportpopolare.it, nel nostro piccolo e grazie al vostro aiuto, ci saremo anche in questo 2017 a documentare e fomentare le velleità di chi ancora non si arrende a dire “Sissignore” a testa bassa!
Giuseppe Ranieri