Si è tenuto nel fine settimana appena trascorso il primo raduno nazionale delle squadre di basket popolare, negli spazi del centro sociale Acrobax di Roma. Alla chiamata degli organizzatori, gli All Reds Basket Roma, hanno risposto i “cugini” dell'Atletico San Lorenzo, i veneti della Polisportiva San Precario di Padova e dei Crabs Venezia, e i napoletani della Lokomotiv Flegrea. Nel pomeriggio di sabato a farla da padrone è stato il basket giocato, nel playground situato all'esterno del centro sociale. Un torneo estremamente amichevole, a tal punto che il nostro contatto privilegiato, al momento di dirci chi aveva vinto, ci ha risposto “mi pare i napoletani”: giusto così, il pomeriggio di incontri serviva soprattutto a divertirsi e conoscersi meglio. Dopo una serata di concerti e birre, la domenica mattina è stato il turno dell'assemblea: un momento di confronto e racconto delle proprie esperienze, ma anche di proposta e di rilancio. La discussione, organizzata in modo molto serio dai ragazzi degli All Reds, ha affrontato sia gli aspetti positivi che le criticità incontrate fino ad ora da queste compagini.
Parlando dei dati positivi, emergeva in modo unanime un'importante crescita numerica: tutte queste squadre possono contare su svariate decine di persone che partecipano regolarmente agli allenamenti e alle partite, tanto da essere costrette a riflettere sull'eventualità di creare più squadre di vari livelli tecnici, oltre che sulla tendenza già in atto di formare squadre femminili. Il lato dell'aggregazione e della socialità funziona anche per quanto riguarda il tifo, numeroso, rumoroso e indisciplinato come si addice allo sport popolare. Altro elemento importante è il rapporto con gli spazi sociali o i quartieri in cui queste squadre nascono e crescono consentendogli così di sviluppare progetti sportivi e sociali di ampio respiro: mentre le due venete e gli All Reds sono più legate a singoli spazi sociali, Atletico e Lokomotiv rappresentano appieno i quartieri da cui provengono, vale a dire San Lorenzo e Bagnoli; due realtà speculari che sebbene abbiano dei referenti sociali sostanzialmente differenti, si trovano ad affrontare problematiche simili come ad esempio quello delle strutture in cui praticare lo sport dal basso. Se per la compagine capitolina è andata bene, potendo contare su una rete comunitaria di solidarietà di tutto il quartiere, già collaudata con la squadra di calcio, che si è messa in moto raccogliendo le firme necessarie per consentire l’utilizzo del campo dei Cavalieri di Colombo di proprietà della Curia locale, per i partenopei il discorso è diverso, perché nel loro quartiere sorgeva il polo siderurgico dell’ILVA, motivo per cui molti dei campi abbandonati sono inutilizzabili a causa della presenza di amianto che li costringe ad allenarsi in una palestra minuscola. Inoltre la dismissione in corso delle strutture della base NATO, sempre nel quartiere della periferia occidentale del capoluogo campano, come sostenuto dagli stessi nell’assemblea di ieri sta risvegliando “appetiti molto più voraci e malsani” di quelli genuini della Lokomotiv Flegrea. Ma si può affermare che quella per l’accesso a infrastrutture sportive all’altezza sia una battaglia che accomuna tutte le realtà presenti ieri, che nei loro rispettivi contesti hanno evidenziato come dietro le concessioni a società sportive ci siano di fatto delle logiche oligopolistiche, come hanno sostenuto apertamente i ragazzi dei Crabs. Crabs che tra l’altro sono impegnati in una battaglia locale che potremmo definire epigone di quelle sostenute dagli ultras calcistici, contro il basket moderno impersonato da Luigi Brugnaro presidente della Reyer Venezia, la storica formazione cestistica lagunare, reo di usare la Reyer e più in generale la gestione della pallacanestro veneziana, come un affare privato, nonché trampolino per la propria ascesa sociale e politica, monopolizzando gli spazi e cercando di ergersi a mecenate di tutti gli aspiranti cestisti della zona mettendo sotto contratto atleti poco più che ragazzini e cercando di vincolarli, volenti o nolenti, alla sua società.
In ogni caso, tutte queste squadre sono profondamente radicate in un contesto di solidarietà sociale e politica che sta contribuendo non poco alla loro crescita, in quanto ad entusiasmo, seguito e autofinanziamento, aspetto sicuramente meno romantico ma, ahinoi, sempre decisivo. Il lato economico rappresenta infatti una delle principali criticità per il basket popolare: tutti sono costretti a pagare cifre significative per il campo in cui allenarsi e giocare gli incontri, oltre che per le iscrizioni ai campionati, i materiali eccetera. Quello della riappropriazione di spazi in cui portare avanti il proprio progetto è stato uno dei temi più dibattuti, ma non si è arrivati per adesso a soluzioni riproducibili ovunque. Anche l'iscrizione ai campionati ufficiali della FIP è regolata da meccanismi piuttosto complicati e costosi, molto più che ad esempio per le squadre di calcio, e non a caso solo una squadra, la Lokomotiv, gioca i campionati FIP, mentre le altre continuano a muoversi nei circuiti UISP. Gli All Reds, dimostrando un forte spirito autocritico, hanno lamentato la propria scarsa attrattiva sul tessuto sociale del quartiere circostante, cosa che li differenzia dalle altre partecipanti. Di contro, per molti altri aspetti appaiono la realtà più solida e matura, non solo perché sono la squadra più “antica” tra quelle presenti. Ad esempio, per andare su un piano più tecnico, hanno proposto alle altre squadre il proprio modo di gestire allenamenti e partite: non c'è un allenatore ma una direzione collegiale composta da 4-5 giocatori tra i più esperti, che cambiano periodicamente e si riuniscono quando è necessario per decidere le modalità di allenamento e la gestione delle partite, improntata ad un compromesso tra il cercare la vittoria e il dare spazio a più giocatori possibile. Una proposta di autogestione molto avanzata, che non riguarda soltanto la società ma anche la gestione tecnica della squadra, che gli altri presenti hanno accolto quasi con stupore.
Un aspetto molto importante è secondo noi quello per cui moltissime società di sport popolare si stanno trasformando in polisportive: tra calcio, basket, rugby, pallavolo, palestre, questa forma organizzativa può rappresentare veramente un cambio di marcia. Può consentire un grande allargamento del bacino di partecipazione, specialmente di quella giovanile e infantile, una maggiore solidità organizzativa e finanziaria, e quindi può far diventare i progetti di sport popolare delle alternative valide e credibili alle società sportive che trattano i giocatori, fin da bambini, come dei professionisti assetati di fama e soldi.
Insomma, per essere un primo raduno del basket popolare, la carne al fuoco è stata davvero tanta: tra proposte, entusiasmo, autocritica e consapevolezza, la certezza che emerge è che c'è tanta voglia di crescere, migliorare e trovare nuove sfide, cominciando ad organizzare meglio e mettere in relazione quotidiana le esperienze che già esistono, lavorando allo stesso tempo perché ne nascano di nuove, come sembra essere negli intenti dei partecipanti a questa iniziativa pilota, che hanno deciso di coordinarsi in maniera stabile e duratura durante tutto l’anno, sia riproponendo questo tipo di incontri, ma anche cercando di organizzare concretamente i primi progetti, come quello proposto dai Crabs che prevede una raccolta di fondi per la realizzazione di aree ludiche nei sei campi profughi di Suruc, la cittadina del Kurdistan turco alle porte della Rojava che sta ospitando la gente scappata da Kobane e dalle atrocità dell’ISIS, a voler rimarcare quell’osmosi che c’è tra lo sport popolare ed il contesto socio-politico in cui sta germogliando rigogliosamente. È solo l'inizio, e non è poco.
Giuseppe Ranieri
Matthias Moretti