Sarebbe retorico affermare quanto fosse esatta l'intuizione di quei gruppi che all'epoca si riconoscevano dietro la sigla “Movimento Ultras”, quando quindici anni or sono partorirono il messaggio: “Leggi speciali, oggi per gli ultrà, domani per tutta la città”. In fin dei conti ciò non servì a risolvere il problema (vuoi perché i tempi erano immaturi per uscire dal classico “celodurismo” ultras, vuoi per una critica troppo parziale che non riusciva a collegare il calcio ad altri ambiti sensibili di ristrutturazione della nostra società, magari anche perché non trovavano una sponda nei compagni che in questi stessi ambiti si muovevano quotidianamente), anzi ciò ebbe l'effetto collaterale di far percepire alle menti più avanzate, minuto per minuto e abuso dopo abuso, la consapevolezza di stare vivendo sulla propria pelle la lunga agonia di quello che innegabilmente è stato il fenomeno giovanile di massa più imponente dell'ultimo trentennio.
Quanto verificatosi a Roma il 25 Marzo, durante la giornata di manifestazioni contro l'UE, rappresenta una inquietante realizzazione di quanto sostenuto allora, ed evidenzia la natura intimidatoria e liberticida di certi atteggiamenti, anche perché la gestione della piazza ha trovato nei media dei perfetti guardaspalle: poco importa se questi ultimi per assurgere a questo ruolo in pochi giorni abbiano dovuto districarsi in cambi di opinioni che nemmeno i contorsionisti delle migliori scuole circensi del mondo sarebbero in grado di immaginare. Dapprima hanno seminato il terrore per le sorti di Roma, dipingendo chi avrebbe partecipato a quella che era una manifestazione regolarmente autorizzata alla stregua dei peggiori barbari sanguinari e avallando una delle più drastiche sospensioni delle garanzie democratiche degli ultimi decenni: oltre 150 persone sequestrate preventivamente solo per il possesso di felpe col cappuccio e per via dei loro “profili ideologici”. Si è lodata la gestione dell'ordine pubblico per la mancanza di incidenti, e poco importa se per realizzare ciò si sia proprio dovuta eliminare la possibilità di dissentire contro quella che più che il Premio Nobel per la pace 2012, sembra una prigione dei popoli. Tre giorni dopo invece tutti quanti si sono riscoperti partigiani della democrazia di fronte a quanto succedeva in Russia, quando veniva fermata e sciolta una manifestazione non autorizzata.
Giusto per non farsi mancare nulla, abbiamo visto meccanismi simili mettersi in moto su un episodio tragico come l'omicidio di Alatri, con la classica approssimazione che contraddistingue la nostra stampa mainstream: se si può ricavare combustibile razzista per incendiare l'opinione pubblica, si lancia una notizia non provata con la massima disinvoltura, che di colpo sparisce non appena si scopre la comprovata fede fascista di uno dei maggiori imputati. E che dire allora della leggenda metropolitana dei “turisti tedeschi assaltati per sbaglio” durante il corteo dello scorso maggio “CasaPound not welcome”, diffusa dalla stessa organizzazione fascista e riportata acriticamente tanto dai giornalisti quanto dalla questura, a dimostrazione di quanto il fascismo sia sempre più accettato senza colpo ferire da parte delle istituzioni che, anzi, non provano proprio a mettersi di traverso, ma gli guidano la volata verso il cuore e la pancia della gente. È un po' lo stesso dispositivo divulgativo a cui siamo abituati nel mondo dello sport, dove ugualmente siamo costretti a fare esegesi quotidiana per continuare a capire chi fa parte del problema e chi della soluzione: può un presidente squalificato perché colto in flagrante mentre cercava di comprare una partita, e che ogni anno fa e disfa la squadra nel mercato di riparazione con trattative a dir poco sospette, oltre ad avere con alle spalle il fallimento di altre due squadre di calcio, fare la morale sulle problematicità di lavorare in una piazza difficile? Non crediamo proprio.
Così come allo stesso tempo non crediamo affatto che il problema sia chi denuncia, tra l'altro dopo una partita vinta, quanto sia orrendo giocare alle 12.30, rendendosi reo di non volersi adeguare al calcio moderno, come se il cambio delle abitudini di atleti e tifosi (visti entrambi come delle specie di animali da allevamento da sfruttare e spolpare fino a quando ci sarà ancora qualcosa da spremere) fosse cosa da poco. Il contributo di una Lega Calcio in odore di commissariamento a questo dibattito è stato quello di piazzare una delle partite simbolo del proprio movimento calcistico, la stracittadina più titolata d'Europa, all'ora di pranzo, forse per compiacere i nuovi proprietari delle due società e i fantomatici tifosi dei nuovi mercati. Ma in fondo è l'ennesima ammissione di provincialismo del nostro calcio (riuscireste mai a immaginare Real-Barcelona a quell'ora?) e la sua inclinazione alla marchetta per il potente di turno.
Fortunatamente, ci sono anche delle notizie positive, come ad esempio la dismissione delle barriere dallo Stadio Olimpico proprio nella giornata odierna. Non vogliamo entrare nelle legittime diatribe curvaiole acuite dal clima derby né fare i conti in casa di nessuno, anche perché a breve il re sarà nudo e si scoprirà che, a parte le barriere, è tutto un problema di caro prezzi e controlli ossessivi a tenere lontane tante persone dall'Olimpico e dagli stadi in generale. Quello che risalta agli occhi e che ci preme sottolineare è che nonostante sembri tutto scritto, nello stadio come nelle piazze, protestare contro disposizioni draconiane ha ancora senso e ci sono possibilità di vittoria. A tal proposito il nostro pensiero non può che andare a chi sta difendendo la propria terra in Salento, ma anche a chi ogni giorno fa mille sacrifici per tirare avanti e si vede preso a pesci in faccia dalle massime figure istituzionali del proprio paese.
Ultimo episodio, la storia di quel ministro titolare di un dicastero importante, anzi di questi tempi cruciale, come quello del lavoro, che ha rilasciato una dichiarazione autentica e sincera, cioè che per trovare lavoro è più utile andare a giocare a calcetto che inviare curricula su curricula in giro... e apriti cielo! La cosa che a primo avviso potrebbe lasciare perplessi, se non proprio sbigottiti, è che le maggiori critiche non sono venute da chi avrebbe il sacrosanto diritto a incazzarsi per queste parole, le ennesime, fuori luogo di un ministro sulle cui idee forsennatamente liberiste è stato ridisegnato su misura il nuovo mercato nazionale del lavoro, vale a dire i giovani precari che si devono sbattere senza tregua per tirare a campare. E che magari, per risparmiare, spesso e volentieri, al calcetto non ci vanno proprio perché in fin dei conti, al di fuori di ogni retorica trionfalistica del nuovo che avanza, essi vivono sulla propria pelle la tragica verità di queste affermazioni. Chi si è lamentato è stato lo stesso establishment di cui Poletti fa parte. Naturalmente non per filantropia, ma perché consapevole che ci vuole un limite alla decenza e queste argomentazioni, a furia di tirare la corda, prima o poi potrebbero davvero esasperare una generazione che non trova corrispondenza tra le aspettative e la vita quotidiana, e far esplodere quella conflittualità latente che al momento si ritrova bombardata quotidianamente da un'overdose di narrazioni tossiche. Ma al Ministro Poletti e a chi si è falsamente indignato per le sue parole fingendo di non conoscere quale sia la realtà, ci sentiamo di dire che non sarà un calcetto, ma un calcione nel culo che li seppellirà!
Giuseppe Ranieri