A dicembre, grazie a un quadrangolare organizzato nel capoluogo molisano, avevamo scoperto, con colpevole ritardo, un nuovo sviluppo del mondo dell'azionariato popolare italiano. A Campobasso e Fasano in questi ultimi anni associazioni di tifosi hanno preso in mano il destino dei club; il salto di qualità sta nel fatto che sono squadre di un certo spessore e con una loro storia, spesso nei dintorni della serie C e con una robusta tradizione ultras. Avevano invitato per l'occasione la Brutium Cosenza (le tre città sono unite da uno storico gemellaggio delle curve) e il Quartograd, segno inequivocabile della direzione che si vuole dare al proprio impegno nell'azionariato popolare. A Fasano ci ripromettiamo di andare al più presto, nella prossima stagione in Eccellenza, in una piazza che da più parti ci è stata dipinta come entusiasmante.
La scorsa domenica alcune combinazioni permettono al sottoscritto di visitare la realtà di Campobasso. La squadra milita nel girone F della serie D e a 4 giornate dalla fine non è ancora del tutto certa di evitare i playout, ma in ogni caso se la cava dignitosamente. Ecco, la serie D è proprio il primo punto centrale da affrontare: essa è infatti l'orizzonte del possibile anche per le realtà di calcio popolare che già seguivamo. Un orizzonte lontano, che attualmente appare un miraggio ma è potenzialmente alla portata. Ma alcuni dati impressionano: il Campobasso quest'anno, per fare un campionato da salvezza, ha speso all'incirca 300mila euro; gli avversari di oggi, i marchigiani del Matelica secondi in classifica, hanno un attaccante che prende 100mila euro l'anno e ha già fatto 25 gol. Si parla di questo. Questo stato delle cose costringe ovviamente chi vuole puntare sull'autorganizzazione ad affrontare dilemmi molto più intricati di quelli a cui si è abituati. Il modello ideale su cui si vorrebbe puntare a Campobasso è quello, oltre ovviamente alle quote sociali, di trovare sponsor, se necessario anche grossi ma legati al territorio, facendo in modo che accettino di sottostare a decisioni che coinvolgono la tifoseria e la città, tramite l'associazione “Noi siamo il Campobasso”.
In questo periodo in realtà le cose non vanno proprio per il meglio, sul territorio chi ha un po' di soldi non è intenzionato a spenderli nel calcio e si deve ricorrere anche a soggetti esterni, con l'ovvia conseguenza di avere partner meno coinvolti e affidabili. Ma ad esempio il presidente della squadra è ancora un membro dell'associazione, e il progetto va avanti, consapevole soltanto di essere in una fase non facile. L'esempio lampante di cosa si rischia c'è stato proprio l'anno scorso: il principale finanziatore del club si sentiva in vena di imprese e si è esposto molto, facendo la squadra “per salire” e rassicurando l'ambiente sulla copertura dell'operazione. Tutto l'ambiente si è preso una sbornia di entusiasmo (di cui ora si pente in modo sincero), ma i risultati sul campo non sono andati come dovevano e addio sogni di gloria. E addio soldi spesi facilmente. E qui viene fuori tutta la difficoltà, ma anche tutto il fascino, di affrontare la sfida dell'azionariato popolare prendendo in mano non la squadra che hai creato tu dal nulla, ma la squadra di una città. Perché la gente per strada ti chiede “ma quest'anno saliamo?”. La mentalità collettiva è per forza di cose diversa ed è necessario farci i conti con grande pazienza e gradualità.
Di tutte queste cose parliamo per l'intera giornata con un gruppo di ultras dell'ormai sciolto gruppo storico degli Smoked Heads, giunto al capolinea un anno fa dopo 30 anni suonati di onorata storia, iniziata in un match di serie B del 1986 contro la Lazio. Alcuni di loro sono adesso parte integrante dell'associazione, mentre in curva stanno in disparte e lasciano spazio ad alcune decine di ragazzi tra i 20 e i 30 anni. Anche la situazione del tifo non vive una delle sue fasi di gloria: fioccano i racconti di epoche anche piuttosto vicine, ma si sa, in provincia gli stadi si affollano molto anche in base all'umore della piazza, e i tempi migliori possono sempre tornare. Del resto, in serie D non c'è neanche la tessera del tifoso. I ragazzi comunque se la cavano, cantano 90 minuti, i cori sono belli e ben scanditi, mancano solo un po' di persone in più a cantarli. E poi c'è lo stadio: un colosso da 30mila posti per una città da 50mila. Gioie e dolori delle speculazioni edilizie di casa nostra. In questo caso però, va sottolineato, anche gioie. Perché gli stadi di quella cordata, Campobasso, Foggia, Benevento, Salerno, sono uno spettacolo: a spiovere sul campo, con un piccolo anello inferiore e un grosso anello superiore, gradoni di cemento, niente copertura. Pura fruizione della partita di calcio e delle condizioni atmosferiche in cui si gioca, niente cazzate e orpelli da centro commerciale. Questo fu inaugurato nel 1985 in occasione della partita di Coppa Italia contro la Juve di Platini...vinta 1-0. E mentre te lo raccontano su quelle gradinate oggi ovviamente deserte (ci saranno un migliaio di spettatori) ti riesci comunque a emozionare al solo pensiero. Unica nota stonata la presenza davvero massiccia di forze dell'ordine, oltretutto in assenza di tifoseria ospite: ci sono proprio tutti, compresa la Polizia Penitenziaria che strappa i biglietti all'ingresso, senza dubbio un segno dei tempi.
La partita non è certo memorabile, al Campobasso vengono annullati ben 3 gol per fuorigioco, ma senza grandi proteste, delude invece la seconda in classifica, raramente pericolosa. Finisce 0-0, un buon punto per i padroni di casa che si vengono a prendere l'applauso della curva.
Ma con i ragazzi (un po' cresciuti è vero, ma posso assicurare, ancora ragazzi in tutto e per tutto!) si parla tanto anche della città, della realtà di provincia del sud, della forte appartenenza ma anche delle mille difficoltà. Campobasso per chi viene da fuori è per la verità graziosa, con i vicoli del centro storico che si arrampicano sulla collina dominata dal piccolo castello, dal quale si può godere la vista della campagna circostante. Ma sotto rimane la realtà, quella troppo comune nell'Italia di questi anni, delle poche prospettive, dei giovani che se ne vanno a frotte o che se rimangono faticano tremendamente. Dell'eroina, che dicono sia tornata prepotentemente. Tutto ciò si ripercuote anche sul dinamismo e l'entusiasmo di un progetto come quello della squadra di calcio, della sua tifoseria, della partecipazione complessiva. Va detto però che proprio nei momenti “di bassa” si possono cogliere gli spunti per fare poi i passi avanti. Quando va tutto bene è troppo facile. E chi anima questo progetto ha tante idee, una fede incrollabile nella squadra e non mostra di voler mollare un millimetro. Ad esempio un altro progetto che si sta muovendo è quello di una squadra di calcio amatoriale con protagonisti i richiedenti asilo che da un po' di tempo hanno iniziato a vivere nel territorio.
L'esperienza di Campobasso, sia nei suoi lati positivi che nelle difficoltà, può dare davvero un contributo fondamentale nel tempo a tutti coloro che vogliono cimentarsi con l'autorganizzazione e l'azionariato popolare mantenendo però l'ambizione di fare sport ad alti livelli. E i ragazzi non si preoccupino, che se questo era da considerare un periodo di bassa, io sinceramente non vedo l'ora di tornare con l'alta marea.
Matthias Moretti