Negli ultimi anni il rugby sta assumendo sempre più il ruolo di “sport dei borghesi”. Tutto questo lo dico visto che i giocatori delle varie squadre di palla ovale, ad esempio i mostri sacri degli All Blacks neozelandesi, vengono trattati come delle vere e proprie star cinematografiche e, spesso, vengono messi sotto contratto con stipendi milionari.
Altro fatto che mi spinge a definire il rugby uno “sport dei borghesi” è il costo dei biglietti per assistere ad una partita. Questo, soprattutto negli ultimi anni vista la sempre maggiore fama che hanno assunto tornei come il 6 Nazioni, è aumentato a dismisura e, oggigiorno, andarsi a vedere una partita in tribuna è diventato un vero e proprio privilegio concesso a pochi.
Anche in questo ambito sportivo, però, ci sono delle realtà che vanno totalmente contro a questi ideali e che cercano di portare avanti un concetto “popolare” legato al mondo della palla ovale.
Una di queste è, sicuramente, la squadra degli All Reds rugby, nata nel 2004 negli spazi occupati del L.O.A. Acrobax di Roma. Basandosi su concetti come aggregazione, sport accessibile e antifascismo questo team sta mettendo in pratica, da più di 10 anni, un vero e proprio “lato popolare” di tale ambito sportivo.
Tutto questo viene portato avanti non solo attuando una pratica dei prezzi di iscrizione molto più bassa rispetto alla norma, non facendo però mancare la qualità dell'offerta, ma anche aprendo il mondo del rugby a chiunque voglia senza alcuna differenza di classe, culturale o religiosa che sia.
Alcuni giorni fa abbiamo intervistato alcuni giocatori degli stessi All Reds per farci spiegare come riescono a portare avanti un progetto del genere in un mondo in cui a farla da padrone sono, ogni giorno di più, soldi e guadagni ad ogni costo.
Gli All Reds, oramai, sono una polisportiva legata al mondo dello sport popolare nata più di 10 anni fa. L'avreste mai immaginato all'inizio di questa avventura?
Penso che chiunque intraprenda un percorso o un progetto politico o sportivo, come nel nostro caso, non veda mai una fine ad esso. Ci si può aspettare una trasformazione perché col corso del tempo si può cambiare, ma vi è l'auspicio che quello che si sta cercando di costruire duri “per sempre”. Oggettivamente, però, quando sono nati gli All Reds alla fine del 2004 e quando abbiamo iniziato a concretizzare il progetto, nel 2005, nessuno era sicuro che saremmo riusciti ad arrivare così lontano e quindi a consolidare l'esperienza per dieci anni, per l’esattezza più di dodici.
Il bello delle esperienze collettive è che, nel momento in cui iniziano, non hanno una prospettiva determinata ma, essa viene costruita giorno dopo giorno: sei tu, coi tuoi compagni, grazie alle varie esperienze che intercetti, a cambiare di volta in volta.
Per questo, la prospettiva immaginata in questi 10 anni è sicuramente un qualcosa che all'inizio non era chiara ma, allo stesso tempo, era molto chiara la forza, la consapevolezza e la voglia di costruire un qualcosa che, al di là delle persone, continuasse nel tempo.
Cosa è cambiato da allora? (in voi, nel rugby, nella politica cittadina e nello sport popolare)
Escludendo l'aspetto fisico.....sicuramente è cambiato il rugby. Quando abbiamo partecipato al primo campionato, all'inizio del 2006, esisteva un solo girone territoriale per la nostra categoria, la serie C, con nove squadre laziali e una umbra. Oggi, nella stessa categoria, vi sono tre gironi di serie C con sole squadre laziali.
Questo ti dà la dimensione di come il fenomeno rugby, anche sull'onda promozionale della partecipazione della nazionale al torneo 6 Nazioni, si sia comunque allargato in maniera importante non solo nel Lazio ma in tutta Italia. Il numero dei tesserati, infatti, si è moltiplicato in maniera incredibile.
Per questo, possiamo dire che il rugby è cambiato fortemente, almeno nei numeri, in tutti questi anni.
Anche noi, devo ammettere, ci siamo trasformati sotto più punti di vista perché, quando la squadra è stata costruita, era nata da un gruppo di amici e persone che ci conoscevano e che, in parte, facevano anche attività politica assieme sia qua dentro (presso il L.O.A. Acrobax, n.d.r.) ma anche fuori da qui. Oggi noi aggreghiamo principalmente ragazze e ragazzi interessati a fare sport, magari in un contesto inusuale, poi magari può accadere di ritrovarci anche in situazioni extra-rugbistiche, ma si può comunque dire che è cambiato il tipo di approccio.
Voi siete la più vecchia esperienza di sport popolare in Italia, almeno per quello che riguarda l'ambito degli sport di squadra. Quale pensate che sia lo stato di salute del movimento e quale potrebbero essere gli sviluppi futuri?
Sicuramente da un punto di vista anagrafico gli All Reds sono stati una sorta di precursori perché poi, in Italia, il concetto di sport popolare è spesso legato ad un fallimento nel senso che nei vari ambiti sportivi, dal calcio a qualsiasi altra disciplina, il popolare, che prevede un legame con chi quotidianamente dà vita al progetto (dagli sportivi ai tifosi passando per il contesto territoriale) molte volte è legato a fallimenti societari. L'ultimo, per fare un esempio, il Parma calcio che dopo il fallimento ha dato vita ad un vero e proprio discorso di azionariato popolare.
Differente, invece, è il discorso in altri ambiti europei dove vi è un radicamento all'interno dei quartieri e dove vi è stata sempre la voglia di ricomporre il tessuto sociale grazie ad una serie di progetti specifici. Nel corso degli anni abbiamo avuto l'opportunità di conoscere varie realtà sportive e di dare i nostri contributi: sia dal punto di vista formale, come è successo con l'ASD, su come si possa strutturare una società fino a quello che è il rapporto coi territori e con le persone che attraversano questo tipo di strutture.
In Italia ci sono differenti realtà e, negli ultimi anni, ne nascono sempre di più. Nonostante ciò, a volte facciamo ancora difficoltà a capire cosa intendiamo per “sport popolare”: popolare perché non si paga, popolare perché si svolge all'interno di una struttura piuttosto che in un'altra, popolare perché ti rivendichi dei valori e degli ideali piuttosto che la voglia di essere solo un progetto aggregativo. Per questo anche noi facciamo fatica a raccontarci, a chi attraversa nel tempo questo progetto, e abbiamo difficoltà sul che cosa possa voler dire sport popolare.
Ad oggi, sicuramente, lo sport popolare rappresenta uno strumento di integrazione, di ricomposizione sociale, in un contesto completamente sfilacciato com'è la società oggi. Possiamo dire che questo tipo di realtà sono dei corpi intermedi che ancora creano degli anticorpi sociali che ti permettono di immaginare un contesto differente rispetto a quella che è, purtroppo, l'ondata populista, di odio razzista, che si sta vivendo in questo momento storico.
Siete in contatto con altre squadre “popolari” di rugby?
Da un punto di vista rugbystico negli ultimi anni sono nate moltissime esperienze legate al cosiddetto ambito popolare. A Roma, ad esempio, vi è la storia della squadra di rugby del centro sociale Spartaco, che oggi è in parte cambiata, ma rimanendo comunque una realtà molto radicata all'interno del quartiere circostante.
Ma in tutta Italia in questi anni si sono moltiplicate le esperienze di rugby “dal basso”, con esperienze consolidate come i Briganti di Librino o la Stella Rossa di Milano (che proprio quest’anno celebra il decennale) o di recente costituzione come la Dynamo Dora di Torino, la Stella Nera di Milano o Zona Orientale di Salerno. Con loro ci incontriamo spesso, anche se meno di quanto desidereremmo per una questione proprio geografica e territoriale, durante alcuni eventi specifici come i Mondiali Antirazzisti o la No Racism Cup in Salento. Vi è, perciò, una relazione che prova a condividere quelli che sono gli intenti dello sport, anche se attraverso una relazione diretta e non secondo un progetto strutturato.
Ovviamente può variare anche la “collocazione” in termini sportivi secchi: c’è chi, come noi o i Briganti, partecipa ai campionati FIR e chi invece si è affidato ai campionati UISP.
Questo può far capire bene come è cambiato e come sta ingrandendosi l'area dello sport cosiddetto “popolare” in Italia. Ciò non tiene conto della dimensione delle palestre popolari, che sono realtà molto più vecchie e ben più radicate, che rappresentano una galassia enorme e multiforme.
La sfida maggiore per il futuro è quella di riuscire a dar vita a momenti di confronto sempre più frequenti per tentare di creare percorsi comuni e reti sempre più solide che ti aiutano nei momenti in cui bisogna portare avanti delle rivendicazioni o delle istanze per affermare i valori in cui si crede in maniera sempre più convinta. Questo lavoro, se lo si fa tutti insieme, porterà, molto probabilmente, ad ottimi risultati.
Oltre al rugby, e allo sport popolare in generale, All Reds vuol dire anche un forte impegno sociale. Quali sono i progetti in cui siete stati coinvolti, o lo siete tuttora, sotto questo punto di vista?
Diciamo che, per quanto riguarda l'attivazione classica su quelli che possono essere considerati progetti sociali, non siamo mai stati particolarmente protagonisti. Ovviamente, come tante e tanti altri, ci siamo mobilitati in occasione di eventi drammatici come il terremoto de L’ Aquila o nel centro Italia lo scorso agosto.
Sicuramente il fatto che facciamo rugby all'interno di uno spazio occupato ci caratterizza inevitabilmente anche al di fuori dal campo. Cerchiamo, infatti, di essere attivi e non semplici spettatori di quelle che possono essere le istanze cittadine come i movimenti per la difesa degli spazi occupati, la rivendicazione dei valori fondanti della Repubblica quali l'antifascismo. Questo tipo di attivazione sociale è una cosa che, senza alcun dubbio, non è cambiata nel corso degli anni e che ancora ci caratterizza da quando gli All Reds esistono.
Abbiamo, inoltre, un rapporto particolare con Cuba e per la passione di quella che è considerata azione politica sull'isola. Questo si è concretizzato nel corso degli anni grazie a due viaggi a Cuba, uno nel 2006 e uno nel 2013.
Nel 2006 abbiamo partecipato al venticinquesimo anniversario della provincia Avana e in quell'occasione abbiamo contribuito alla realizzazione di un sanatorio nella provincia de San Antonio de Los Banos, piccolo paese facente parte della provincia de L'Avana/Artemisa.
Nel 2013 siamo tornati per partecipare ad un torneo di rugby a sette.
Chiaramente il fatto che la squadra cerchi di rivendicare i propri valori di antisessismo, antirazzismo e antifascismo, considerati elementi fondanti del progetto e non semplici slogan da sfoggiare, ha permesso che si sia potuto dare un seguito, non sempre riuscendoci, a questi valori che fanno parte del nostro manifesto.
Ad esempio, abbiamo nel nostro piccolo contribuito alla costruzione di una giornata come lo scorso 8 Marzo, e cogliamo l'occasione per ringraziare la campagna “Non Una Di Meno” che ci ha dato l’opportunità di essere lì in piazza.
Questo, insomma, è il nostro modo di essere attivi anche al di fuori del semplice rettangolo da gioco.
Una delle vostre particolarità, che contribuisce a rendere pubblico il vostro club, è quella di avere il campo di allenamento (e da gioco) all'interno del Cinodromo stesso. Come vivete voi, ma soprattutto come la vivono i vostri avversari, questa situazione?
Per noi sicuramente è un privilegio perché, per ovvi motivi, siamo un unicum non indifferente nel panorama sportivo popolare italiano. Tutto questo perché non sono così frequenti i campi da gioco, dedicati agli sport di squadra, che si trovino in uno spazio occupato.
Inoltre, per noi, è un'opportunità per essere attivi anche al di fuori dal campo perchèé chiaramente, lo spazio che viviamo è lo spazio che attraversiamo quotidianamente, è quello che è, è ciò che lo rendiamo noi con la nostra partecipazione. All’inizio è stata una necessità l’attivazione per trasformare quello che era un luogo deputato allo sfruttamento dei cani, in un campo dove
allenarci. Dopo circa tre anni dalla nascita degli All Reds Rugby, abbiamo tentato la scommessa, riuscita, di omologare il campo: tutto questo per noi è un privilegio ma anche un motivo di vanto. Vi è soddisfazione per il fatto che il campo sia riconosciuto dalla Federazione Italiana Rugby dal novembre 2008, quasi dieci anni fa.
Questa di oggi è una giornata parecchio particolare che può essere paragonata al 2 novembre 2008, giornata dell'apertura ufficiale del campo con la prima partita ufficiale e federale su questo terreno. Oggi infatti, per la prima volta, abbiamo ospitato un torneo federale di mini-rugby, dedicato alle categorie under 8 e under 10. Il poter avere lo spazio che viviamo quotidianamente, attraversato da decine di bambini e da persone che difficilmente avrebbero mai messo piede in un luogo simile è, per noi, una soddisfazione enorme. Anche perché quelle stesse persone hanno avuto, ci auguriamo, la possibilità di apprezzare la proposta sportiva e sociale che tentiamo di portare avanti.
Inoltre, la capacità di stare all'interno di uno spazio sociale ci connota inevitabilmente a partire dall'essere consapevoli di quella che è, più o meno, la storia degli spazi sociali in Italia. Questo, comunque, ci ha permesso, seppur con estrema difficoltà, di strutturare nel corso del tempo un progetto che servisse al territorio e che avesse la capacità di raccontarci oltre quella che era un'esperienza di compagni da cui nasce il progetto sportivo.
Volevamo far percepire la volontà di mettere a disposizione una struttura come uno spazio sociale; simili spazi, oggigiorno, vengono quotidianamente attaccati in una città come Roma. Questi sono luoghi che realizzano un surplus sociale e che sostituiscono una serie di mancanze istituzionali. In questo tipo di progetti, però, vi è anche la capacità, l'organizzazione e la prospettiva di legare insieme quelle che sono una serie di persone, più o meno vicine alle esperienze dei compagni, al fine di creare una consapevolezza politica a partire dalle pratiche quotidiane.
Detto questo, non è che noi facciamo proselitismo ogni volta che arriva una persona nuova. Però, partendo dal fatto che facciamo sport in maniera gratuita, facciamo vedere che, grazie alla lotta di tutti i compagni, oggigiorno possiamo contare su uno spazio all'interno della città di Roma che ci consente, grazie all'attivazione individuale, di consentire a chiunque voglia di vivere uno sport di qualità.
Tutto ciò rappresenta l'humus su cui abbiamo costruito il progetto giovanile. Alla base vi è il concetto di liberare il tempo, ma di liberarlo in maniera concreta. Tu non devi spendere più una determinata somma per portare tuo figlio a fare sport; in cambio, però, vi è una sorta di attivazione tua individuale per quella che è la proposta sportiva di tuo figlio.
A partire da questo si creano relazioni, altre prospettive, altri modi di immaginare il quotidiano che portiamo avanti piano piano. Per fare un esempio concreto, dopo tutte queste parole, ti faccio notare che tre anni fa siamo partiti con sette ragazzini mentre oggi abbiamo circa 75 tesserati che comprendono zii, cugini, genitori e parentado annesso: tutto questo ti fa capire che essa è una importante prospettiva sulla quale stiamo lavorando.
Negli ultimi anni avete dato il via ad un importante quanto interessante lavoro per creare un settore giovanile. Come è, concretamente, insegnare i valori degli All Reds ai ragazzi e rapportarsi coi loro genitori?
Noi avevamo voglia, inizialmente, di allargarci e di garantire quel privilegio, relativo a questo spazio sociale, e di metterlo a disposizione di altre persone. Da qui abbiamo fatto partire il progetto delle giovanili che, all'inizio, è nato all'interno delle scuole.
Innanzitutto ci siamo sperimentati come allenatori per capire la nostra capacità di arrivare ai ragazzini. Poi, pian piano, abbiamo strutturato una proposta che arriva sul campo.
Da un punto di vista sportivo ci avvaliamo di una psicologa dello sport che è presente all'interno del nostro gruppo, oltre ad altri allenatori ultra-formati. Vi è una impostazione metodologica riguardo quella che è la pedagogia verso i ragazzini che tende verso una formazione di un atleta pensante.
Il fatto di lavorare su un atleta pensante poi, col tempo, ti porterà a formare dei bambini e delle bambine che cresceranno con una curiosità critica verso quello che è il mondo dentro e fuori dal campo. Tutto questo avverrà nella concretezza che noi, in quanto All Reds, non suggeriamo soluzioni ma cerchiamo di stimolare delle domande e, conseguentemente, la ricerca di risposte a quelle che sono le situazioni in campo o i bisogni fuori dal campo. Risposte che non saranno naturalmente uguali per tutti, ma che potranno essere, ognuna a suo modo, tutte efficaci.
Se ci si chiede o ci si accusa di mischiare politica e sport, noi rispondiamo tranquillamente che non siamo una scuola di militanti e che per noi, politica e sport, si ritrovano in quel che abbiamo detto.
Fondamentale è poi il legame coi genitori.
Noi non abbiamo mai nascosto quella che è la nostra identità, anche perché, pur volendo (e non lo vogliamo), sarebbe stato impossibile: tutto questo perché, oggi, cercare di unificare alcune parole è fondamentale sennò si rimane a pure e semplici slogan, come “antifascimo”, “antisessismo” e “antirazzismo”, che però non trovano alcun riscontro nell'atto pratico. Ciò che è successo in occasione dell'8 marzo, come detto prima, è stato un percorso che ci ha visti attivi rispetto le politiche di genere. Infatti eravamo presenti in piazza coi genitori, coi bambini e svolgendo la nostra attività.
Ciò vale anche per il concetto di antifascismo. Ma già la ricchezza che proviene dalle differenze o dalle differenti risposte dei singoli, come detto prima, è per noi una pratica antifascista. Ciò dimostra che non ci sono particolari sforzi, oltre la pratica quotidiana, per veicolare determinati valori.
Siamo stati particolarmente fortunati nell’incontrare genitori ricettivi e fiduciosi, noi, forse, siamo stati bravi a trasmettere che non esistevano diversi piani decisionali, ma che tutte e tutti erano parte integrante e determinante del progetto.
Quale è il rapporto con il quartiere e, più in generale, col territorio circostante?
Questa domanda è, in qualche modo, un continuo della risposta precedente perché è proprio grazie all'apertura di quello che è stato il progetto legato alle giovanili che noi siamo riusciti a far partire un radicamento territoriale. Molti bambini e bambine vengono fuori da questo territorio: così facendo, insomma, ci stiamo costruendo una legittimità che parte dalle scuole e attraversa una serie di posti di aggregazione creando delle relazioni trasversali.
Insomma, il rapporto col territorio, soprattutto negli ultimi anni, è stato curato e ci sentiamo di dire di essere maggiormente riconosciuti in questo quadrante di Roma. Questa zona è sicuramente un terreno fertile: il territorio, però, come ci ha insegnato qualcuno più esperto di noi, bisogna viverlo, si deve stare all'interno di quelle che sono le contraddizioni e non fermarsi alle mere opposizioni ideologiche perché, in questo modo, non si va da nessuna parte.
Voi siete una branca della polisportiva All Reds. Com'è il rapporto con le altre realtà di questa polisportiva, ad esempio il basket?
Con gli All Reds Basket, così come con la palestra La Popolare, vi è un ambito assembleare, intensificato nell’ultimo anno, in cui discutiamo delle nostre necessità, dei nostri bisogni ma anche delle nostre differenze.
Oltre questo c’è ovviamente, ogni volta che è possibile, il tentativo di incontrarci sul terreno che ci è più congeniale, quello della pratica sportiva: assistendo alle rispettive partite, organizzando giornate di sport in cui si susseguono le diverse discipline, ma anche su questioni molto più pratiche, come ad esempio reperire un campo per il basket o facendo giocare in palestra i più piccoli del minirugby nelle giornate più fredde.
A breve ci sarà un torneo di basket, “Zona Rossa”, giunto alla terza edizione, che ovviamente è un torneo ma anche molto altro e che quest'anno avrà una caratterizzazione molto particolare e per questo vi invito tutti a partecipare anche se non voglio anticipare nulla al riguardo.
Venendo al lato prettamente sportivo: che ne pensate del movimento rugbystico italiano?
In parte il movimento rugbystico italiano, almeno per quanto riguarda i numeri, è cresciuto moltissimo in questi ultimi 10 anni. Il rugby, tra l'altro, è uno di quegli sport che accanto ai campionati federali vede anche un campionato UISP (Unione Italiana Sport per tutti, n.d.r.) attiva soprattutto nel centro-nord Italia.
Vi è poi una seconda lega, oltre la UISP, che fa un campionato di cui fanno parte essenzialmente squadre venete e trentine. Come vedi il movimento rugbystico è abbastanza ampio, almeno per quanto riguarda i numeri.
Sicuramente anche grazie al confronto che abbiamo con altre realtà di sport, ad esempio il basket ed il calcio, dal punto di vista dell'accessibilità, il movimento rugbystico ha dei vantaggi rispetto ad altri sport. Ad esempio i costi di accesso ai campionati federali sono assolutamente imparagonabili a quelli per partecipare ai campionati di calcio, anche di terza categoria, o al campionato di basket.
Lo stesso vale per i costi legati alla formazione dei tecnici. Tutto questo rendono il rugby uno sport accessibile, per tutti, abbastanza facilmente.
Non è che però non ci siano problemi: uno di cui molti si lamentano, almeno nell'ambito delle realtà più affini a noi, è quello legato agli spazi e impianti sportivi. Noi chiaramente siamo fortunati da questo punto di vista perché abbiamo il campo dentro casa e siamo riusciti ad omologarlo.
In merito alla tua domanda sul caro biglietti, possiamo dire che il successo di pubblico del 6 Nazioni, anche se i risultati non sono sempre quelli sperati, non agevola una politica calmierante dei prezzi quando si è inseriti in un’economia di mercato basata sul rapporto domanda/offerta. I costi legati al 6 nazioni, comunque, sono quasi raddoppiati negli ultimi anni.
La federazione, da questo punto di vista, cerca di tutelare tutti coloro che, in qualche modo, sono all'interno del mondo del rugby. Vi sono infatti delle agevolazioni per le società e per le scuole per farli partecipare a questi eventi.
Per un semplice appassionato, però, non c'è dubbio che anche per vedersi poche partite all'anno non vi siano costi così accessibili.
Ci sono poi tutta una serie di questioni legate alla formazione, che dovrebbe riuscire ad alzare il livello del vertice della piramide senza dimenticare la base. È indubbio che questo è uno degli ambiti in cui ci si attenderebbe di più da una Federazione che ha uno dei bilanci più ricchi all’interno del Coni.
Vostri propositi per il futuro?
Rispetto a quello che è stato l'inizio, negli ultimi tre anni soprattutto, c'è stata una programmazione per ciò che riguarda il progetto delle giovanili e sicuramente quello è uno degli ambiti in cui ci concentreremo di più. Senza però trascurare le formazioni seniores, che sono non solo la vetrina, ma anche il motore del progetto.
Vi è ancora una base forte da cui partire che è la difesa dello spazio. In questo vi è un grosso dibattito in corso sulla normalizzazione e legalizzazione degli spazi sociali. Da questo punto di vista noi faremo di tutto per difendere questo luogo perché abbiamo la legittimità, non la legalità, di mantenere attivo l'Acrobax, spazio restituito alla collettività in cui l’unico profitto generato è quello della socialità e del welfare dal basso.
Per questo un punto determinante nei prossimi anni, nei prossimi mesi, nei prossimi giorni, sarà la difesa degli spazi a Roma e, di conseguenze, di un modo di fare politica differente da quello che ci stanno articolando oggi, con questo nuovo che avanza e che sa di vecchio.
Altra speranza è quella di continuare a crescere con le giovanili. Il progetto, partito tre anni fa, si è oramai consolidato in quattro categorie: under 6, under 8, under 10 e under 12, a cui l’anno prossimo speriamo di aggiungerne una quinta, l’under 14. Vorremmo continuare a lavorare in questa prospettiva per costruire, con il quartiere, delle relazioni su qualcosa di pratico e concreto.
Insomma definire oggi quello che sarà il nostro futuro è pretenzioso. Preferiamo vivere quotidianamente i percorsi che animiamo a partire da concetti base, quali autogestione e autodeterminazione di ognuno di noi, e capire cosa succede.
Avete saluti, appuntamenti o ricordi da raccontare ai nostri lettori?
Per gli appuntamenti più vicini ricordiamo la nostra partecipazione, il prossimo 24 aprile, al festival “Achtung Banditen” che si terrà al Cinodromo: ci sarà un lato importante legata allo sport popolare che toccherà vari ambiti sportivi, dal rugby al basket fino al pugilato. L'altro appuntamento, che ci riguarda più da vicino, è la nuova edizione, che si svolgerà il 10 e 11 giugno prossimi, del “Seven antirazzista del cinodromo” e che vedrà lo svolgersi di un torneo di rugby a sette giunto oramai all'ottava edizione.
Per chiudere vorrei salutare tutti gli amici lettori e, soprattutto, la redazione di “Sport Popolare” che comunque amplifica quelle che sono una serie di esperienze di sport che, a volte, hanno difficoltà a narrarsi. Là dove noi mettiamo la pratica, voi mettete le parole: questo potrà essere un connubio che ci porterà, sempre più, a stringere una relazione e un percorso che ci vedrà protagonisti nei prossimi anni.
Roberto Consiglio