Durante il periodo tra le due guerre mondiali in due paesi europei neanche troppo distanti tra loro, Italia e Germania, due totalitarismi salirono al potere e diedero il via a due tra le più spietate dittature del XX secolo. Tra le varie follie che questi due regimi attuarono ci fu quella legata alla tematica razzista: si cercò infatti, sotto molti punti di vista, di far credere alla gente che la cosiddetta “razza ariana” fosse la sola ad avere il privilegio di governare il mondo perché, secondo le argomentazioni naziste e fasciste, era la più completa e la più strutturata di tutte quante.
Nonostante si cercasse di mettere a tacere qualsiasi forma di opposizione, furono molte le voci di dissenso che si levarono contro il Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler e il Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini e contro le loro insensate teorie. Molte volte, inoltre, accaddero dei veri e propri episodi che misero parecchio in imbarazzo coloro che erano convinti della superiorità degli ariani.
Ad esempio, tutti noi conosciamo la storia di Jesse Owens: il corridore nero americano che partecipò alle Olimpiadi di Berlino del 1936 e che vinse ben 4 medaglie d'oro nei 100 metri, nei 200 metri, nel salto in lungo e nella staffetta 4x100 maschile. Il tutto avvenne sotto gli occhi stupefatti dello stesso Adolf Hitler che cercò in tutti i modi, riuscendoci, di non avere alcun contatto con lo stesso Owens.simile, ma meno conosciuta. Il 24 giugno 1928, infatti, in una Roma dove il fascismo la faceva oramai da padrone, si tenne la finale del campionato di boxe per il titolo europeo dei pesi massimi: sul ring, i due pugili Mario Bosisio e Leone Jacovacci. A vincere fu Jacovacci.
Fin qui nulla di strano se non fosse che lo stesso Jacovacci era un pugile di colore, nato in Congo da madre congolese e padre italiano, e trasferitosi in Italia quando aveva tre anni. All'età di sedici anni Leone, visti i problemi razziali che stavano venendo alla luce nei suoi confronti, iniziò a girare un po' l'Europa e ad apprendere i vari segreti della boxe.
Lo stesso Jacovacci, che non si era mai apertamente dichiarato ostile al regime fascista, sembrava un vero e proprio pugile italiano e romanissimo, bastava sentirlo parlare per capire chiaramente da dove veniva, ma aveva quel colore della pelle che per il regime di Benito Mussolini era un problema “a priori” che non poteva passare inosservato. Quel 24 giugno, inoltre, tutto era stato organizzato perché fosse Bosisio a vincere e a dare prova, in diretta tv, della forza dell'atleta ariano sul pugile mulatto.
In quell'occasione lo stesso partito fascista fece di tutto perché di quella vittoria di Jacovacci non si venisse a sapere nulla, visto che non veniva tollerato che un atleta di colore potesse battere il pugile che rappresentava l'emblema perfetto di quella razza italiana che Mussolini stesso cercava di esaltare sotto più punti di vista. Ad esempio, grazie al preciso lavoro dell'istituto Luce, si tagliarono tutte le scene dell'incontro in cui il pugile mulatto aveva la meglio sull'italianissimo Bosisio.
Nonostante la vittoria sul ring per Jacovacci, da quel giorno, cominciò un vero e proprio declino che si concluse con il ritiro nel 1932. Per Bosisio invece iniziò un periodo di gloria e furono molti i gerarchi fascisti che si vollero far immortalare con il pugile italiano più conosciuto di allora.
Alla storia di Jacovacci il regista Tony Saccucci ha dedicato il documentario “Il pugile del Duce” che è uscito nelle sale italiane lo scorso 21 marzo, in occasione della giornata mondiale contro il razzismo, ed è stato prodotto, guarda caso, da quello stesso istituto Luce. Questo documentario verrà proiettato domani, venerdì 5 maggio 2017, all'università “La Sapienza” di Roma alle ore 20 in apertura dell'ultima serata del festival antifascista Achtung Banditen.
Una storia che andrebbe raccontata e vista in un paese in cui ancora oggi, durante una semplice partita di calcio, si sentono moltissimi ululati razzisti verso giocatori di colore che giocano in una qualche squadra del campionato italiano. I casi più recenti dal punto di vista cronologico, che hanno visto come protagonisti il difensore della Roma Antonio Rudiger durante il derby della Capitale, il difensore del Napoli Kalidou Koulibaly durante Inter-Napoli e il centrocampista del Pescara Sulley Muntari durante Cagliari-Pescara, sono solo gli ultimi episodi di una “caratteristica” dello sport del Belpaese che, purtroppo, va avanti da troppo tempo senza che nessuno faccia più nulla.
Roberto Consiglio