«Dimmi da dove vieni e ti dirò chi sei», suona così un vecchio adagio, uno di quei proverbi popolari la cui saggezza non è andata offuscata nel tempo. Perché alla fine anche se il mondo cambia alcuni aspetti del “sentire popolare” – come per esempio i proverbi e la cucina – non diventano mai démodé. Infatti nel caso della Royale Union Saint-Gilloise (USG), la terza squadra più titolata del Belgio, non sembra sbagliato partire proprio dal luogo di nascita dell’equipe. Dall’humus dove è germogliata quest’avventura iniziata nel 1897 – l’omonimo quartiere di Saint-Gilles, nella parte sud-ovest della città – e dove ancora fiorisce la sua gloriosa storia, anche se un po’ appassita nel ricordo dei vecchi fasti.
Saint-Gilles è un quartiere particolare: è abitato per metà da stranieri e sta subendo un massiccio processo di gentrificazione a cui però resiste con fierezza. In altri tempi si sarebbe detto un quartiere popolare dove è iniziata la speculazione.
Infatti se sono comparsi i primi locali alla moda con sedie scompagnate e arredamente retrò, parallelamente al lievitare degli affitti e del costo di una casa, Saint-Gilles – il cui centro è una grossa area pedonale chiamata Parvis de Saint Gilles, dove va in scena la movida della capitale belga – ha ancora parecchi scorci autenticamente original e popolari. In cui magari non bisogna necessariamente essere un Hypster per prendere una birra.
Il merito di questa battaglia “popolare” va sicuramente alla “fauna” locale: un miscuglio di varie ondate migratorie. Prima italiani, spagnoli, portoghesi, greci, brasiliani e polacchi, poi marocchini, nordafricani e mille altre nazionalità. Insomma “immigrati” che mal digeriscono orde di fichetti dai portafogli gonfi che incarnano l’avanguardia “armata” del famelico assalto capitalista alla amena vita “popolare”. Ma lo spirito “unionista” (cioè di chi tifa USG), non è confinato a Saint-Gilles, ma straripa fuori dal quartiere d’appartenenza: per esempio a Marolles, altro quartiere fortemente popolare nelle vicinanze.
Dicevamo che l’USG ha un palmares di tutto rispetto: undici scudetti e due coppe nazionali. Peccato però che i prestigiosi titoli sono stati conquistati fra l’inizio del Novecento e il 1935. Poi un lento declino. L’ultimo campionato nella massima serie è stata la stagione ’72-’73: Breznev era in splendida forma e Nixon non era ancora stato travolto dallo scandalo Watergate. Insomma altri anni, ma sarebbe più corretto dire un’altra epoca, un’altra era. Di quel glorioso passato l’Union Saint-Gilloise, conserva non solo i titoli in bacheca ma anche l’orgoglio di un club che è stato dominante (ancora vanta la striscia vincente più lunga della storia belga, sessanta partite, da cui il soprannome «Union 60») e ha fatto la storia. Anche se troppi anni fa. Il soprannome della squadra è infatti la «Vecchia signora», forse in memoria proprio dei bei tempi andati.
Ma i suoi tifosi, che sulla carta dovrebbero essere ormai affetti da una pesante depressione e da un montante senso di nostalgia – visto i risultati non proprio brillanti della «Vecchia signora» – invece sorridono allegri e riempiono lo stadio, il Joseph Marien (anche se per gli aficionados rimane il «Parc Duden»), immutata “cattedrale” per la USG dal 1919. Quasi in tutte le partite casalinghe.
Ad animare il tifo gialloblu, sono gli Union Bhoys, la firm dell’USG che fa dell’antifascismo e dell’antirazzismo un baluardo.
In una trasferta (tutt’altro che calcistica), abbiamo incontrato Fabrizio, figlio di emigrati italiani nato a Bruxelles, che è fra i fondatori del suddetto gruppo. Gli rivolgiamo alcune domande per aiutarci a raccontare una storia abbastanza misconosciuta ma proprio per questo estremamente interessante.
Intanto quando nascono gli Union Bhoys? Esistevano gruppi ultras precedenti o siete stati i primi a declinare la passione calcistica in questo modo? Esistono dei sottogruppi? Per esempio una sezione giovanile o una femminile?
Il gruppo ufficialmente nasce nel 2001, ma erano diversi anni che ci frequentavamo sulle terraces del Parc Duden: anni addietro c’era il gruppo Yellow Side, nato quando la squadra militava ancora in D1 e svanito sul finire degli anni ottanta (due membri di quel side fanno ora parte dei Bhoys), di chiara impronta “britannica”. Negli anni novanta invece, durante l’attraversata del deserto della D3, una nuova generazione di tifosi si è fatta strada nei pourtours (gradinate): musica, calcio, birra e identità brussellese ci univano, così come un modo di vivere il calcio tutto particolare. La nostra passione per l’Union si contrapponeva al “modello” che si stava sviluppando in Belgio e in Europa; allora con alcuni di questi ragazzi abbiamo dato vita allo Scheile Side (scheile vuol dire «storto» nel senso di alcolizzato) che era un side molto auto-ironico, zwanze è la parola brussellese che identifica questo spirito; la maggioranza dei nostri era anche molto sensibile all’antirazzismo e antifascismo che all’epoca erano molto presenti negli stadi del Belgio; così all’inizio del nuovo millennio una nuova generazione di tifosi è arrivata, molto influenzata dal movimento Ultras (in particolar modo quello francese), rivendicando similitudini con quel modello; mentre noi, parlo per il gruppo degli anziani, eravamo più legati all’idea di tifo britannico. Da questo incontro/confronto generazionale sono nati gli Union Bhoys; oggi dopo quindici anni, dei nuovi giovani animano il gruppo, si richiamano sempre ai Bhoys e condividono le nostre scelte, ma hanno una loro sezione chiamata Apaches, la UB01-SA. Più che un gruppo strutturato ci consideriamo un move che unisce persone di età e generazioni diverse e anche con interessi culturali politici che si incrociano; è nata persino una sezione italiana: gli UBIB (basata in Lombardia, originariamente a Crema); le ragazze del gruppo un po’ per scherzo, un po’ perché ci tengono, amano definirsi Union Ghirls.
Mi ha molto colpito lo striscione con scritto «Against sober football», oppure «Cantillon c’est union» che denota anche una certa goliardia “alcolica”. A me sembra si sia un po’ perso il lato “simpatico” e sagace delle curve, quello in cui lo striscione-sfottò era la base da cui partire. Forse ci si prende troppo sul serio oggi fra gli spalti? Mi ha anche fatto riflettere la costante presenza nel vostro settore di uno striscione con Lupin III, che a naso sembrerebbe una specie di mascotte. Ci spieghi la scelta?
Hai ragione i riferimenti all’alcool, alla birra, sono molto goliardici; tra l’altro lo stesso Scheile side ne era un precursore. Cantillon è un famoso birraio artigianale di Bruxelles, l’ultimo vero birraio che prosegue a produrre birre acide, derivate dal lambic, tipiche di Bruxelles (come la Gueuze la Kriek, etc…); ebbene tutta la famiglia Cantillon è da sempre unionista e con gli altri due birrai indipendenti di Bruxelles (De la Senne e En Stoemmelings) hanno formato la trinité brassicole unioniste; inutile dire che sono tutti quanti membri del nostro gruppo. Sugli spalti del Duden lo spirito della zwanze brussellese è sempre molto presente, infatti il brussellese – a differenza del parigino per esempio – non si prende molto sul serio e ama sfottersi da solo, è molto autoironico. Lupin invece è stato scelto dai giovani, ed è un riferimento alla cultura manga.
Mi dicevi che a fondare il gruppo siete stati in tre. Il tutto è nato per gioco – tre amici che si ritrovano in un progetto comune – oppure eravate accomunati già in precedenza dalla frequentazione delle “gradinate” o dalla passione per la stessa squadra? In questo senso eravate delusi da una “militanza” di curva tradizionale e vi siete voluti ritagliare uno spazio lontano dal calcio mainstream?
Il punto focale è stato l’incontro tra generazioni e ancora oggi questo è il motore del gruppo. Un altro punto importante è che abbiamo sempre funzionato in maniera molto anarchica, evitando strutture piramidali. Chi è presente e partecipa attivamente e contribuisce al gruppo, decide e ha voce in capitolo, che sia un giovane o un anziano. Certo alcuni di noi hanno un peso specifico maggiore ma il rispetto bisogna sempre guadagnarselo. Rispetto all’egemonia Bhoys in curva, il fatto che non ci fossero più da anni gruppi o club di tifosi storici, ci ha favorito; in pratica terraces e pourtours del Duden erano liberi, da prendere; diciamo che abbiamo compiuto il classico take the stands.
Sei figlio di immigrati, ma sei nato in Belgio. Hai mai provato il razzismo sulla tua pelle? Oppure le angherie subite dagli italiani con la “valigia di cartone” in giro per l’Europa sono lontane dal tuo vissuto, perché forse appartengono alla generazione precedente?
Sono nato, cresciuto e ho sempre vissuto a Bruxelles. I miei genitori certamente si sono confrontati con il razzismo; quando arrivarono negli anni cinquanta i cartelli di molti locali esponevano la scritta: «Ici on accepte pas les chiens et les italiens» (Qui non si accettano cani e italiani). Per me è stato diverso, al massimo mi apostrofavano come «maccheroni». Tuttavia, la mia generazione di immigrati della seconda generazione, qui in Belgio, è rimasta molto legata a “quelli con la valigia”, sia per le storie dei nostri padri che per i racconti dei nuovi migranti odierni.
Il tuo essere figlio di immigrati ha avuto un peso nella scelta di tifare per l’USG? Oppure sei finito casualmente a vivere a Saint Gilles e quindi sei stato folgorato dalla storia della «Vecchia signora»? Insomma hai tu scelto l’USG o l’USG ha scelto te? Quand’è stata la prima volta che sei entrato al Joseph Marien? Te la ricordi?
Il fatto di essere immigrato c’entra, di sicuro: sono stato allo stadio a vedere l’Union con mio padre da bambino, ma poi da ragazzo seguivo di più il calcio italiano, era un periodo in cui ero indeciso se continuare gli studi in Belgio o venire a studiare e vivere in Italia; quando questo quesito è stato risolto e ho definitivamente accettato l’idea di essere di Bruxelles, ho cominciato a sentire l’appartenenza a questa città, allora automaticamente mi sono interessato al calcio autoctono. All’epoca l’USG faceva la D3, sarebbe stato più facile seguire l’RWDM (i nostri acerrimi rivali) o l’Anderlecht che entrambe militavano in D1, ma tramite amicizie sono approdato al Duden e quella domenica (perché all’epoca si giocava la domenica pomeriggio) ho avuto un kick unico, incredibile, in parte perché ho riconosciuto lo stadio che avevo frequentato da bambino (anche se non eccessivamente), ma soprattutto perché ho sentito subito “a pelle” che quella era casa mia, ero finalmente back home. Insomma senza esagerare alla fine credo proprio che l’USG abbia scelto me.
Il vostro motto è: «Toute ma vie unioniste antifasciste». Quanto è stretto il rapporto fra il quartiere e il tifo? Esistono attività extra-calcistiche degli Union Bhoys che si affacciano oltre il perimetro dello stadio? Per esempio l’antirazzismo e l’antifascismo di cui parlavi in un’intervista per un giornale belga, è generalizzato anche ad ambiti extracalcistici o resta confinato alle partite domenicali?
Quella è una strofa di una canzone che cantiamo da diversi anni allo stadio. La tifoseria dell’Union nel suo insieme è considerata tendenzialmente di sinistra; lo stesso quartiere è prevalentemente di sinistra. Ormai sono più di vent’anni che, anche grazie al nostro impegno, non si sentono mai urla, grida o invettive di stampo razzista sui nostri spalti. C’è un clima molto accogliente e molto tollerante. Nel gruppo c’è chi è più militante (antifascista) chi meno, ma i valori sono condivisi. Bisogna però sottolineare che tra i più giovani alcuni sono più sensibili a queste tematiche altri invece lo sono meno. Ma ripeto i valori sono patrimonio di tutti.
Fino a quando eravamo nel nostro stadio al Duden (oggi in ristrutturazione), ogni inverno come Bhoys organizzavamo raccolte viveri per i restos du coeur (mensa dei poveri) di Saint-Gilles; organizziamo anche un torneo i cui fondi sono destinati ad aiutare i bambini affetti da leucemia. Quest’anno invece organizzeremo di nuovo un bal populair (balli di quartiere e popolari che si contrapponevano ai balli della nobiltà e dell’aristocrazia nell’età moderna) dei tifosi per i tifosi, a Saint-Gilles; con i fondi ricavati vogliamo comprare abbonamenti (e biglietti) “sociali”. Chi non può permettersi lo stadio potrà usufruire di questo fondo. (Occorre ricordare che il comune di Saint-Gilles ha questo contrasto: da un lato molti giovani bobos benestanti ma dall’altro una larga fetta di popolazione sotto la soglia di povertà; è tra i più poveri comuni del Belgio in assoluto).
La scena ultras (o quello che ne rimane) ha discreto seguito in Belgio. Molto tifoserie ancora resistono, o almeno provano a resistere, al calcio moderno. Ti va di parlarci in linee generali delle tifoserie del vostro paese e degli orientamenti politici prevalenti?
In Belgio c’è da anni ormai un doppio binario, un dualismo, tra ultras e siders; in ogni squadra importante esistono queste due realtà. Alcuni side sono ancora molto ben organizzati: penso all’Anversa (oggi ACC, ieri Xside o all’Anderlecht, oggi BCS, ieri Oside), mentre lato ultras Standard e Charleroi sono certamente al top. Ma ci sono anche squadre nelle serie minori che hanno tifoserie molto rispettabili. La Louvière, i nostri stessi rivali cittadini, il Liegi… C’è anche una divisone linguistica che entra in gioco, per chi non lo ricordasse il Belgio è un paese complicato: i fiamminghi sono storicamente rivolti verso l’Inghilterra mentre i francofoni guardano a sud, verso l’Italia (per via dei molti nostri connazionali) e verso la Francia (per via della lingua comune). Generalmente le tifoserie principali si definiscono apolitiche; la realtà è che sono poche le tifoserie o i gruppi che si rivendicano di sinistra (Standard e Liegi per esempio), mentre sono molti di più i gruppi di tendenza di destra o di estrema destra, e non soltanto nelle Fiandre dove c’è anche una forte connotazione “indipendentista” di estrema destra ma anche in Vallonia. Nella stessa Bruxelles, con le nostre due tifoserie rivali, siamo divisi anche da una sensibilità politica opposta.
La resistenza al calcio moderno ha dato origine anni addietro all’iniziativa «Football For Fans» (esponiamo ancora il nostro striscione); come Bhoys siamo risolutamente contro il calcio detto moderno, e agiamo di conseguenza, per esempio per sensibilizzare la nostra tifoseria al costo biglietti abbiamo svolto azioni come l’entrare nello stadio dopo un quarto d’ora, oppure non cantare per una partita intera. Abbiamo esposto quest’anno durante i play off uno striscione «Supporters not customers».
Nello specifico mi vengono in mente per esempio gli Ultras Inferno dello Standard Liegi, che sicuramente con voi hanno molto in comune, a partire dalle idee politiche. Esistono altre tifoserie in un certo senso affine a voi? Avete gemellaggi?
Sì con gli UI c’è un legame antifa, abbiamo anche partecipato a un torneo «Alerta» organizzato da loro; ma tutto qui. Anzi direi che non siamo proprio tifoserie amiche (anche nell’ultimo incontro ci sono stati diversi momenti di tensione). Noi infatti siamo gemellati con i tifosi del Liegi e con quelli del Cercle Brugge, con cui abbiamo molte affinità elettive. Che sono loro acerrimi nemici. Poi tramite un torneo che organizziamo ogni due anni, invitiamo tifoserie “amiche” o con cui simpatizziamo: abbiamo così tessuto legami in Grecia (Guerreros del Panetolikos), in Galles (Port Talbot Town), in Francia (Sedan). In Italia avevamo un gemellaggio con il gruppo ultras – ora sciolto – dei Cannyballs del Pergocrema 1932 (squadra scomparsa), che si è trasformato negli UBIB, la nostra branca italiana (come già ricordato in precedenza). Diversi italiani tifano Union e vengono alle partite. Rappresentano quasi tutte le principali squadre italiane e in particolar modo tramite Stefano, uno dei nostri membri fondatori, c’è in atto un forte legame con il Toro Club di Bruxelles. Ma a livello ultras c’è, c’era, solo quel gemellaggio con i ragazzi del Voltini.
Mi parlavi dei rapporti non idilliaci con la società. Esiste insomma una dirigenza che non condivide con voi una visione del calcio “vecchie maniere”, fatta di passione e pochi soldi. Puoi raccontarci meglio?
Purtroppo abbiamo una dirigenza abbastanza insensibile ai valori del calcio popolare, un calcio accessibile a tutti, e che risulta (almeno fino a oggi) poco in sintonia con l’anima e il cuore unionista; nessuno tra in nostri principali dirigenti ha un vero dna unionista, non che sia automaticamente un problema, ma nel nostro caso questa assenza lo è diventato. Per esempio, parlando dello Stadio, la nostra “casa”: per la seconda stagione dovremo giocare in trasferta all’Heysel, fuori dal nostro territorio, lontano dal Duden, in attesa che dei lavori di messa a norma e ammodernamento siano svolti; ma la dirigenza non ha mai percepito questo come un problema, tutt’altro!
Il nostro Presidente non ha mancato tante volte di dichiarare via stampa e sui social che l’Union avrebbe giocato nel nuovo stadio nazionale (che dovrebbe rimpiazzare per il 2020 l’Heysel). Oppure provocazione inaudita per un unionista, che avremo giocato al Parc Astrid (lo stadio dei rivali dell’USG!). Chiaro segno che non sente per niente l’appartenenza a Saint-Gilles, non riconosce o non capisce il significato simbolico di tutta questa storia e l’attaccamento sentimentale di noi unionisti a uno stadio come il Marien. Ti parlavo delle azioni concrete che abbiamo organizzato per sensibilizzare i nostri tifosi (e anche i nostri dirigenti) al caro biglietti, ebbene, questa dirigenza era arrivata la stagione scorsa a cancellare l’acceso gratuito ai minori di 16 anni, che era una misura unica nel panorama calcistico belga per quel che riguarda le serie nazionali, di cui andavamo molto fieri. Ma la nostra azione ha finito per fare breccia e la gratuità è stata ristabilita.
Siamo coscienti come Bhoys che per partecipare ai campionati in lega pro bisogna accettare alcuni parametri, piegarsi ad alcune norme, ma questo secondo noi deve essere attuato senza rinunciare alla nostra identità di squadra popolare, senza rinunciare al nostro patrimonio puramente culturale. Non è una posizione nostalgica, siamo convinti che l’Union nella sua unicità può proporre un modello alternativo di sviluppo che integri il rispetto della tifoseria, il rispetto della storia e della memoria, rafforzando quei legami con il nostro territorio che, con il tempo, e con il ricambio di popolazione, sono venuti meno.
In Italia crescono a dismisura le realtà di calcio popolare, dove i tifosi spesso, sono anche azionisti delle società. Si potrebbe immaginare uno sbocco di questo tipo per voi? Potrebbe essere la ciliegina sulla torta alla vostra avventura? Volete in altre parole che l’USG ritorni al popolo?
La Royale Union Saint-Gilloise è una cooperativa sociale, è l’unica cooperativa sociale tra le squadre iscritte alla federazione belga. In un certo senso appartiene già ai suoi cooperatori (tutti o quasi tutti noi abbiamo una quota sociale), o almeno dovrebbe… Dopo essere stata vicina al fallimento negli anni settanta, la società cooperativa è entrata in profonda crisi finanziaria (questo spiega in parte il lungo declino sportivo nell’anonimato della D3); fino a qualche anno fa la cooperativa doveva ancora rimborsare annualmente i soldi che gli furono prestati allora dalle banche. Ultimamente alcuni investitori hanno acquisito la maggioranza delle quote sociali attraverso aumenti di capitale; ora il cooperatore maggioritario e anche presidente, è un tedesco (che pero vive da trent’anni in Belgio); poi c’è il comune di Saint-Gilles, che è stato sempre molto vicino al club; la cooperativa è una struttura che non si adegua bene al calcio business moderno, il cooperatore maggioritario non è un proprietario e questo fattore se da un lato limita certi investimenti protegge anche da avventure spregiudicate. Comunque, malgrado questo, sul piano strettamente sportivo queste ultime stagioni sono state coronate da insperati successi; questo incide (e non poco) sul giudizio della tifoseria in generale, in pochi ci supportano per ora nel nostro sguardo critico verso questa dirigenza. Da anni ci battiamo affinché un rappresentante dei tifosi possa partecipare come osservatore nel C.d.A. della cooperativa, per ora invano. Questo sarebbe già un passo avanti.
In questi giorni mi dicevi sei impegnato nella stesura di un libro sulla storia dell’USG. Perché non ci parli un po’ di questo lavoro? È un progetto autofinanziato dai tifosi, dalla società, oppure è un progetto editoriale puro? Qual è la parte della storia dell’USG che più di affascina? Vuoi raccontarci qualche aneddoto da autentico iniziato giallo-blu?
Il libro è un’iniziativa di un gruppo di tifosi, tra cui diversi giornalisti, per celebrare i 120 anni dell’Union e sarà pubblicato dalle edizioni Renaissance du Livre. Personalmente devo curare un capitolo sulla storia e le origini (ho già pubblicato un libro nel 2004 su questo tema per la ricorrenza del centenario del primo titolo nazionale) e uno sulla tifoseria. La società ha duramente contrastato la nostra iniziativa, augurandoci di fallire. Grazie a un crowfunding tra i tifosi però abbiamo già raccolto 15.000 euro, perché il progetto è molto ambizioso.
Riguardo agli aneddoti te ne racconto un paio: uno relativo alla storia della squadra, un altro invece sulla tifoseria e sulle origini del nome del gruppo.
Nel giugno del 1957, sessant’anni fa, l’USG si imbarcava su un aereo Sabena in direzione dell’allora Congo Belga per effettuare una tournée calcistica. L’Union all’epoca risultava essere ancora la squadra più titolata del Belgio, e certamente il suo “appeal” era intatto; cosicché l’evento aveva creato nella colonia un’attesa che andava ben oltre il semplice fatto sportivo. Infatti tra le partite programmate ce n’era una che vedeva contrapposte, per la prima volta in assoluto, una squadra della “madre patria” contro una selezione di giocatori congolesi. Fino ad allora le squadre venute dall’Europa giocavano contro selezioni o squadre locali “miste”; ma il 16 giugno allo stadio Re Baldovino di Léopoldville (oggi Kinshasa), davanti a una folla di oltre 60mila tifosi, ebbe luogo la partita diretta da un arbitro “coloniale”. L’USG vinse 4-2 al termine di una partita combattutissima e molto nervosa (soprattutto sugli spalti), che vide l’arbitro negare due gol validi alla selezione del Congo e fischiare un rigore inesistente all’Union. Al fischio finale iniziarono degli scontri, che si propagarono come il fuoco nella savana in tutta la città; creando caos, disordini e feriti. Le prime manifestazioni apertamente anti-coloniali e, in un certo senso, i primi moti per l’indipendenza del Congo ebbero inizio proprio da una partita di calcio. Per la cronaca il Congo ottenne l’indipendenza nel giugno 1960.
Un altro aneddoto: eravamo in trasferta, penso di ricordare al Lyra, erano i primi tempi che piazzavamo il nostro striscione Union Bhoys. Per una volta eravamo arrivati un bel po’ prima della partita, il gruppo era intento ad abbeverarsi al punto d’acqua più vicino, ed ero rimasto con l’amico Fabbe nel nostro settore a presidiare lo striscione. Non che ce ne fosse bisogno in realtà, il Lyra era una squadra praticamente senza ultras o tifoseria organizzata.
A un certo punto noto che una coppia di anziani, seduti più in basso, ci guardano con insistenza e parlottano tra loro, alla fine la signora si alza e viene convinta verso di noi e con molta cortesia, e gentilezza, ci dice :«Ragazzi, non vorrei offendervi, ma Boys in inglese si scrive senza la H!». Il Fabbe, che aveva appena finito di rollare un bel cannone, la guarda, lo accende, e con un largo sorriso gli risponde:«Lo sappiamo ma noi amiamo la H» (nous aimons le H, è un gioco di parole che sottintende H come Hasch, ovvero cannabis, hashish).
Filippo Petrocelli