Finalmente siamo a settembre, e con il consueto ritardo rispetto al calcio dei “grandi”, stanno ricominciando i campionati minori, con diverse compagini del “calcio popolare” già impegnate e altre, specie quelle delle categorie più basse, che ancora aspetteranno qualche settimana. Da quest'anno però abbiamo la fortuna di poter seguire le gesta di una nuova compagine, che si avventura in un terreno importante e avvincente: i campionati femminili federali, partendo dalla Serie D. Stiamo parlando della squadra femminile del Lebowski, una realtà che abbiamo avuto modo di seguire spesso e che in questo modo aggiunge un altro tassello prestigioso al proprio progetto sportivo. Per i tifosi le partite casalinghe saranno feste interminabili, con le “prime squadre” maschile e femminile che giocheranno una dopo l'altra. Per le giocatrici, che non sono nuove nella categoria, una sfida dai mille stimoli. Vediamo cosa ne pensa Alice, una delle neo-giocatrici grigionere.
Il vostro gruppo di giocatrici non nasce quest'anno, ma ha già una storia precedente nella categoria. Puoi raccontarci la strada che vi ha portate ad approdare al Lebowski?
Quando abbiamo deciso che era il caso di cambiare aria e lasciare la società che ci aveva ospitate per due anni, abbiamo iniziato a guardarci intorno, a fare domande e a proporci solo tramite le (poche) conoscenze che avevamo. Il nostro ex allenatore Marco Galingani, che ha allenato la squadra di calcio a 5 femminile del Lebowski, le “Mele Toste”, ci ha messe in contatto con Lorenzo Giudici, uno dei ragazzi dello staff tecnico, che ci ha subito proposto un incontro “conoscitivo”. Da quel primo incontro ne sono seguiti molti altri con gli altri membri del consiglio e con il presidente e di riunione in riunione siamo arrivati a fine giugno con la convinzione, reciproca, che questa unione si poteva fare realmente.
Quella del Lebowski è stata anche una scelta dovuta al tipo di progetto messo in campo dai grigioneri? Li conoscevate già?
Conoscevamo il Lebowski per la loro super-famosa tifoseria e per la squadra di calcio a 5 femminile. Fin dai primi incontri abbiamo capito cosa significa entrare in questa “famiglia”: grande attaccamento alla maglia, momenti di condivisione extra-calcistici, volontariato e partecipazione agli eventi per sostenere l’ambizioso progetto di autosostenere economicamente tutte le squadre, inclusa la nostra. Il Lebowski ci ha volute fortemente, hanno tutti dimostrato grande entusiasmo per il nostro ingresso nella rosa delle squadre e la dimostrazione pratica è stata il loro investimento economico per iscriverci al campionato di serie D femminile senza far ricadere nessun costo sulle giocatrici. Questo per noi è stato motivo di grande orgoglio, un decisivo cambio di rotta rispetto all’esperienza precedente, vissuta in una società per la quale eravamo invisibili, che non ci consentiva di allenarci con costanza e adeguatamente, che in due anni non ci ha seguite nemmeno nelle partite in casa e che ci ha costrette ad una totale autogestione nell’abbandono generale. Lottare in campo per una maglia, sentirci parte di un progetto era quello che ci mancava e che cercavamo più di tutto, e nel Lebowski speriamo di aver trovato casa.
In molte città negli ultimi anni stanno nascendo e crescendo progetti calcistici "senza padroni", in cui le decisioni si prendono in assemblea e ci si auto-finanzia con iniziative collettive e con le sottoscrizioni dei soci, sull'esempio del Lebowski e di altre squadre "pioniere". Pensi che questo possa essere un modello, oltre che più giusto, anche vincente?
Penso che questo modello di gestione sia sicuramente più impegnativo. Perché richiede l’impegno costante di tutti, perché bisogna crederci, perché bisogna scontrarsi e raggiungere compromessi come penso avvenga in ogni consiglio formato da tante persone con idee e ambizioni diverse. Non sono un esperta in gestione di società sportive, ma quello che è oggi questo Lebowski mi ha stupita, perché con le idee e la passione stanno mettendo in campo un numero considerevole di squadre completamente auto-finanziate. E come succede sempre quando la partecipazione è sentita, quando ci si sente coinvolti, quando anche il nostro contributo può essere importante per la riuscita di un progetto, tutta quella forza e passione te li porti in campo e diventano la tua motivazione.
Lo sport femminile in Italia vive mille difficoltà, sia per l'atteggiamento delle istituzioni federali che per l'enorme squilibrio di interessi economici rispetto ai colleghi maschi. Come si vive questa condizione in prima persona?
Si va avanti solo con la passione per il pallone. Il nostro gioco sarà sempre meno veloce, meno tecnico, meno spettacolare di quello maschile, ma la grinta e l’agonismo sono gli stessi. L’impegno, la costanza, gli allenamenti al freddo, le partite nel fango, gli infortuni … sono gli stessi! Penso che si viva con rassegnazione questa condizione: le trasferte le facciamo con le nostre macchine, ci compriamo maglie da gioco e tute di rappresentanza, ci paghiamo pranzi pre-partita e cene post-partita perché ci piace stare insieme, ci troviamo da sole nuove giocatrici, mister e addirittura nuove società dove migrare! Tutto questo solo per amore per il gioco del calcio. Ultimamente penso però che le cose stiano un po’ cambiando. C’è la Fiorentina Women’s che gioca l’ultima di campionato al Franchi, ci sono squadre di scuola calcio femminile e la sensazione che un po’ dei pregiudizi nei confronti dell’accoppiata donne-palllone stiano crollando.
Il cuore pulsante del Lebowski è da sempre il tifo. Quest'anno, se non sbaglio, giocherete in casa subito dopo la partita della squadra maschile, e nel calcio femminile probabilmente nessuna squadra in Italia può contare su una tifoseria simile. Che sensazioni vi dà questa novità? Quanto può influire sull'entusiasmo di un gruppo e di conseguenza anche sulle prestazioni?
La prima sensazione è stata il panico! Nessuna di noi penso possa minimamente immaginarsi cosa voglia dire stare in campo con una tifoseria così sugli spalti. A più di una penso tremeranno le gambe dall’emozione. Siamo consapevoli di quanto rara e unica sia questa condizione e l’entusiasmo è alle stelle. Adesso pensiamo ad allenarci bene, siamo in piena preparazione atletica. Il primo di ottobre ci aspetta la prima partita di Coppa Toscana, non sappiamo ancora se in casa o fuori, di certo non vediamo l’ora di giocare sotto quella curva!
Matthias Moretti