Il 9 ottobre 1967 veniva ucciso, nel piccolo villaggio boliviano di La Higuera, Ernesto “Che” Guevara de La Sierna. Tale figura è ricordata soprattutto per il suo ruolo avuto durante la Rivoluzione Cubana del 1959 insieme a Fidel Castro e altri, ma anche per i tentativi fatti di “esportare” la rivoluzione in altre zone del mondo come il Congo o la Bolivia.
Chiunque, anche chi scrive, ha avuto modo di entrare in contatto con questa figura in vari modi. Sicuramente avrete visto, almeno una volta durante la vostra vita, una maglietta, una tazza o una spilla con la faccia del Che e la storica frase da lui pronunciata “Hasta La Victoria Siempre”.
La figura del Che, però, nasconde numerosi altri lati che non sono ancora stati messi alla luce del tutto. Uno di questi è sicuramente la sua passione per vari sport che, nonostante l'asma che lo accompagnò per tutta la vita, non lo abbandonò mai.
Calcio, scacchi, nuoto ma soprattutto rugby furono solo alcune delle pratiche sportive a cui Ernesto Guevara si dedicò continuamente, sia quando era un semplice studente della facoltà di medicina dell’Università di Buenos Aires, sia quando ricoprì importanti ruoli durante la carriera “politico-rivoluzionaria”.
Secondo molte testimonianze, in primis quella del suo compagno di avventure Alberto Granado, Guevara metteva tutta la sua forza ogni volta che doveva affrontare una qualche pratica sportiva. Anche durante il viaggio che i due amici fecero a bordo di una moto attraverso il continente latino-americano, Ernesto non perse questa sua passione.
Lo stesso Granado chiamava Ernesto, durante le numerose partite di rugby giocate in Argentina negli anni dell'università, con l'appellativo “El Fuser”. Questo soprannome, che si può tradurre come “furibondo”, venne scelto dal biologo di Cordoba per mettere in risalto la grinta, alcune volte eccessiva, che Ernestito (altro soprannome negli anni giovanili del Che) metteva ogni volta che scendeva su un terreno da gioco.
Tutto questo non faceva quasi notare a nessuno che il giovane studioso di medicina soffriva di un terribile asma. Ci se ne accorgeva, in maniera chiara e limpida, solamente quando il giovane veniva colpito da un attacco asmatico nel corso di una partita e, per questa ragione, doveva uscire dal campo e “chiedere aiuto” al suo inseparabile inalatore.
Questa sua passione per lo sport aiutò Guevara durante la sua esperienza di guerriglia negli ultimi anni della sua vita. Come testimoniato dallo stesso argentino il fatto che sapesse nuotare bene gli tornò utile quando dovette scappare e nascondersi durante le sue missioni a Cuba, in Congo ed in Bolivia.
Il concetto di sport che il Che aveva poteva rientrare, a pieno titolo, in quello che oggi consideriamo sport popolare. Difatti Ernesto non praticava sport per arricchirsi o per acquistare un qualche tipo di notorietà.
Lo faceva, semplicemente, perché credeva negli autentici valori della pratica sportiva. Tutto questo lo metteva chiaramente in risalto quando scendeva in campo: in quei casi, infatti, a guidarlo erano aspetti che al giorno d’oggi mancano in molti degli ambiti sportivi: rispetto per l'avversario e onestà, giusto per citarne un paio.
Allo stesso tempo, il Che vedeva nello sport una pratica per far sentire tutte le persone uguali, senza alcuna distinzione tra essi. Un esempio emblematico lo si può notare anche in un bellissimo film dedicato a questa importante figura: “I Diari della Motocicletta”.
Durante una visita al lebbrosario di San Pablo, in Perù, Ernesto e Alberto, in viaggio attraverso il continente latino-americano, instaurano da subito un forte rapporto con i pazienti della struttura i quali, fino all'arrivo dei due giovani avventurieri, erano sempre trattati con un occhio di riguardo date le loro critiche situazioni cliniche. Una delle pratiche di socializzazione che i due medici attuano è quella legata allo sport.
Vengono infatti organizzate partite di pallone, in cui le squadre sono formate essenzialmente dai pazienti della struttura. Durante gli incontri i due argentini non solo si sfottono a vicenda per le loro prestazioni sul campo ma cercano di fare battute per coinvolgere e far sentire uguali a loro anche gli stessi pazienti; tutto questo senza dare la benché minima importanza al fatto che essi siano malati di lebbra e quindi potenzialmente contaminatori.
Roberto Consiglio