Ci siamo deliberatamente presi un ulteriore giorno prima di toccare l’argomento nella speranza, ovviamente disattesa, che rientrasse l’eco mediatica per quella che sostanzialmente è una non notizia.
Ricapitolando: attraverso una manovra non esattamente limpidissima (e questa sì che sarebbe una notizia…), il presidente Lotito aggira la chiusura della Curva Nord facendo aprire la curva opposta, quella tradizionalmente dei romanisti; i laziali, stuzzicati dall’idea di poter fare uno sgarbo agli odiati rivali imbrattandogli “casa”, non si sono lasciati sfuggire l’occasione, tappezzando il settore con vari adesivi tra cui quello incriminato con Anna Frank vestita con la maglia della Roma che, è giusto ribadire, è ben visibile per le strade della capitale da almeno tre – quattro anni.
Eppure, il livore che ha caratterizzato le reazioni a tutti i livelli, dalle più alte cariche dello stato ai vari social network, passando per tutta quella schiera di opinionisti e presunte grandi firme del giornalismo sportivo e non, alfieri del politicamente corretto, lasciava presupporre che ci fosse stato un qualcosa che abbia infranto lo status-quo, indignando a tal punto l’opinione pubblica da trasformarlo nel caso del giorno.
Qual è la notizia, che la curva della Lazio sia un covo di fascisti?
Non ce ne voglia nessuno, ma non bisognava certo arrivare alla fine del 2017 per accorgersi di quest’identificazione compatta degli ultras laziali con le formazioni razziste e xenofobe.
Partendo dal presupposto che, sì è vero qualcuno prova a buttarla sull’ironia macabra che nelle curve c’è sempre stata e che è un po’ una costante del movimento ultras, ma farsi dare lezioni di ironia dai figliocci di chi bruciava libri in piazza sarebbe quantomeno paradossale e che ormai da almeno quindici anni tanto i laziali quanto i romanisti continuano incessantemente ad accostare i dirimpettai agli ebrei a suon di colpi bassi se non bassissimi, viene comunque da chiedersi il perché di tutta questa sovraesposizione mediatica e di questa indignazione massificata.
In un periodo in cui stiamo assistendo allo sdoganamento del fascismo nell’alveo istituzionale e del razzismo più becero nel discorso pubblico, le lamentele per questi adesivi suonano un po’ come il famoso pianto del coccodrillo: dov’erano tutti i sinceri democratici quando Minniti, lo stesso che oggi vorrebbe interdire dagli stadi gli autori degli adesivi, alla festa di Atreju, davanti a una platea che presumibilmente troverebbe anche simpatici e ironici i suddetti adesivi, non ha trovato nulla di meglio che vantarsi di avere la scrivania di Mussolini, lo stesso che nel 1938 promulgò quelle stesse leggi razziali che sancirono la persecuzione degli ebrei ( e non solo…) e di provare ammirazione per Italo Balbo? Lo stesso discorso vale anche per quella pletora di giornalisti, capeggiati idealmente da Enrico Mentana che oggi con la loro spocchia puntano il dito sulle curve, ma che non si sono rifiutati di andare a parlare a CasaPound, contribuendo di fatto alla loro legittimazione e non hanno neanche fatto luce sull’antisemitismo dei fascisti del secondo e del terzo millennio, contribuendo alla banalizzazione della dicotomia fascismo-antifascismo che oggi permette a qualcuno di giocare la carta dell’ironia.
Se a ciò sommiamo anche un leader politico come Salvini che inneggia alle ruspe sui campi rom e di tanti abusi quotidiani nei confronti dei migranti e di tutti quei soggetti ritenuti diversi che non godono di buoni uffici come la Comunità ebraica, ci troviamo di fronte a un quadro sconcertante che magari si limitasse soltanto agli adesivi, ma come spesso succede, si preferisce guardare il dito piuttosto che la luna. Concentrandosi sugli autori di questo gesto gli si conferisce già la loro prima vittoria: far parlare di loro e degli adesivi, acquisendo visibilità e pubblicità di cui potevamo benissimo fare a meno e, chissà, magari anche emulazioni successive potendo giocare anche la carta dei perseguitati per un reato d’opinione (giusto per non fare mancare nulla al grottesco), quando magari evitare di dare tutto questo risalto sarebbe stato preferibile, soprattutto se la risposta doveva essere un’ondata di retorica vuota e di luoghi comuni buoni solo a dare da scrivere per qualche tempo a giornalisti a corto di notizie, o come sembra abbia detto Lotito stesso “una sceneggiata”. Perché non può essere certo la gara a chi la spara più grossa tra chi vorrebbe fare scendere le squadre in campo con la stella di David, piuttosto che di fare leggere un brano tratto dal “Diario di Anna Frank” prima dell’inizio delle partite a fornirci gli anticorpi di cui abbiamo bisogno per resistere a questa nuova deriva revanscista del nostro paese, così come non lo possono essere neanche le analisi di tanti compagni in merito, che dimostrano che se da un lato è vero che sia stato avviato un percorso di comprensione in merito alla questione degli stadi, dall’altro dimostra anche che questo percorso per arrivare a risultati quantomeno soddisfacenti dovrà necessariamente essere ancora molto lungo.
Per l’ennesima volta si è scelto di stigmatizzare il mondo delle curve per pulirsi la coscienza e continuare ad autoconvincersi che tutto vada bene, nascondendo la testa sotto la sabbia per non guardare in faccia la realtà, magari ci sarà una nuova caccia alle streghe sotto forma di giro di vite repressivo, il tutto senza volersi accorgersi che proprio le curve non sono che delle spugne che assorbiscono le contraddizioni in cui siamo immersi, e pur non volendo affatto giustificare quegli adesivi, sarebbe opportuno che tutte queste dimostrazioni di sdegno, prima che essere rivolte contro una curva (non esente da colpe ataviche per carità…), venissero applicate nella quotidianità.
La redazione