Il contrappasso alla supponenza con cui "l'ambiente azzurro" si è approcciato a questa doppia sfida è rappresentato dal catenaccio di scuola italiana con cui la Svezia ha blindato la qualificazione e a veramente poco servirà scagliarsi contro l'arbitro e contro la sfortuna, sebbene probabilmente questa volta la nazionale sia in credito con la dea bendata.
Così come le critiche contro il sistema calcistico italiano e il suo fallimento appaiono troppo strumentali, perché il fatto che viviamo un calcio malato da anni non sarebbe cambiato nella sostanza se Immobile & co. avessero avuto una mira migliore. Mai come adesso però i risultati hanno smesso di coprire il marciume del nostro movimento calcistico, a differenza ad esempio di quanto successe nel 2006 in piena Calciopoli e con la dubbia moralità del capitano nonché futuro pallone d'oro Cannavaro e dei suoi cambi di maglia pilotati.
Abbiamo preferito mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi forti della nostra tradizione e perdonando anche gli ultimi due sciagurati mondiali, ma adesso sarà molto più difficile se non impossibile farlo. E l'esonero di Ventura e l'esautorazione dei vertici della federazione appaia il minimo (ma non affatto scontato almeno per quel che riguarda Tavecchio) rappresenterebbero nient'altro che quel piglio tipicamente italico di dare un responsabile in pasto all'opinione pubblica per evitare un'analisi globale, cosa che appare oggi più che mai ampiamente insufficiente. La colpa non è (solo) di Tavecchio e di Ventura, ma di chi li ha voluti nonostante i limiti tecnici di un ct inesperto per certi palcoscenici e quelli culturali di un presidente federale il cui umorismo non farebbe ridere nemmeno nelle peggiori bettole e che visti i trascorsi rappresenta appieno la restaurazione democristiana anche nel pianeta calcio.
Non è un caso infatti che sotto il suo regno la serie A sia diventata sempre meno competitiva come forse non lo era mai stata, con un gap mai così accentuato tra i top team e le altre squadre, e non vi neghiamo che siamo piuttosto curiosi di ascoltare il discorso di Tavecchio dopo le 48 ore di riflessione che ha chiesto.
E ovviamente anche la stampa e il giornalismo sportivo non sono immuni da questo circolo vizioso e più che vittime sono complici della decadenza del nostro calcio, basta sfogliare i principali quotidiani sportivi per notare come la qualità del giornali sia direttamente proporzionale a quella dei calciatori...
Ci hanno dato in pasto soluzioni fittizie se non faziose come gli stadi di proprietà o l'esportazione del nostro calcio all'estero con estemporanee finali di supercoppa in Cina o in Qatar, eppure la situazione è peggiorata, ci hanno detto che la rovina del calcio italiano erano gli ultras, ma in campo ieri è sceso Florenzi e non i Fedayn della Roma, Candreva e non i Boys SAN dell'Inter.
Ovviamente quando la barca affonda tutti cercano di buttarsi sulle scialuppe, topi compresi, così un presenzialista come Salvini che è solito speculare su drammi umani ben più seri non si è lasciato sfuggire l'occasione per regalarci la sua ennesima filippica contro gli eccessivi stranieri nel nostro calcio potendo contare sulla sponda di una nazione delusa e in cerca, come al solito, di un capro espiatorio di comodo. Il milianista Salvini che negli anni ha potuto festeggiare le imprese della sua squadra grazie agli italianissimi in ordine sparso Van Basten, Gullit, Rijkard, Shevchenko, Weah, Savicevic ecc, ovviamente non conosce (o comunque non avrebbe interesse) la realtà fatta dei pochissimi fondi destinati ai settori giovanili, di presidenti che sparano valutazioni fuori mercato, di ragazzini sradicati dal proprio ambiente e portati dall'altra parte del mondo, tanto uno su dieci diventa calciatore e con le commissioni i procuratori si coprono le spese e ci guadagnano ugualmente. Viene da chiedersi cosa avrebbe detto se fosse entrata la conclusione di Jorginho o quella di El-Sharawy verso il finale, e non è certo colpa degli immigrati se Bernardeschi entra per fare l'interno di centrocampo o se Insigne è rimasto in panchina per tutta la partita nonostante le sollecitazioni di De Rossi, così come non è colpa degli stranieri se i costi di una scuola calcio sono sempre più proibitivi per tante famiglie e che quindi continuano a giocare quasi esclusivamente i figli di famiglie benestanti...
D'altro canto a chi si è costruito una carriera sciacallando sulle disgrazie altrui non si può chiedere di andare a ricercare quei dati che attestano che in Serie A c'è solo lo 0,6% di stranieri in più che in Bundesliga e che proprio la Germania campione del mondo deve le sue fortune a quello Ius Soli da lui tanto avversato.
E adesso invocare il generico quanto legittimo "tutti a casa" servirà solo a buttare fumo negli occhi degli appassionati che fingono di non conoscere la natura di questo nostro paese che non è mai stato in grado di fare i conti con se stesso a nessun livello e che riesce sempre a trovare qualche sotterfugio per salvare gli alti papaveri; il timore è che sebbene qualcuno avesse invocato questo scenario per resettare il sistema calcio, sarà difficile che questo impulso parta dall'alto, da chi sta pensando già a leccarsi quelle ferite che lo toccano da vicino, vale a dire il danno economico di circa 150 milioni di euro che ha comportato questa mancata qualificazione.
Proprio pensando a quali potrebbero essere le strategie per contenere le perdite, giusto perché siamo abituati a simili scenari in altri ambiti della nostra esistenza e alle conseguente ricetti di macelleria sociale, questo ci sembra il momento in cui ripartire dal basso, dalle partite in mezzo alla strada con gli zaini come pali, dai campetti di quartiere e dalla gioia di giocare e divertirsi, in una parola da quello spirito autenticamente popolare del calcio sepolto dalla televisione spazzatura e dalla cultura del risultato a tutti i costi, solo così, attivandoci dal basso e sostituendoci nel nostro piccolo attraverso le squadre popolari ai padroni del vapore che hanno fallito anche in questo ambito, si potrà riemergere dalle macerie del punto più basso toccato degli ultimi 50 anni.
La redazione