Episodio numero 1 - Amo guardare il calcio, amavo giocarlo. Qualche giorno fa decido per motivi famigliari, ma anche ovviamente per passione, di guardarmi una partita del campionato Beretti. Siamo sul finire del match ed un ragazzo della squadra in vantaggio accentua un infortunio per guadagnare un po' di tempo. In tribuna alcuni genitori della squadra in svantaggio cominciano ad inveire contro il giocatore a terra, i cui famigliari non ci stanno e replicano. Ne scoppia un accenno di rissa sedata a fatica da altri spettatori, fra gli occhi attoniti dei bambini e nel terrore di un'anziana che rischia un malore.
Episodio numero 2 - X è un bravo giocatore, esterno alto, tecnico e un po' volubile. Soprattutto, X ha una passione sfrenata per il gioco del calcio. È del 99 e gioca nel settore giovanile di una squadra che attualmente milita in Lega pro. Essendo bravo potrebbe esordire in prima squadra, almeno in coppa, ma la convocazione non arriva mai, al contrario di alcuni suoi compagni forse meno dotati di lui. "Perché?", si chiede X. Alla fine ha il coraggio di chiederlo all'allenatore. X non può esordire perché in quel caso la sua squattrinata società dovrà dare 5.000 euro alla società precedente. È scritto nel contratto di cessione.
Episodio numero 3 - Y gioca in una squadra professionista del centro Italia. È agosto e dopo una buona annata si appresta all'inizio stagione con buon entusiasmo e ottima passione. A due giorni dalla chiusura del mercato gli arriva una proposta che presto assume i contorni dell'esortazione, quasi dell'obbligo. Devi andare in una squadra di serie D del nord Italia, in un paese quasi sconosciuto, altrimenti rischi di rimanere fuori. Y è combattuto e francamente sorpreso. Nell'attuale squadra si trova bene, è un bel gruppo, e lassù da solo è francamente un salto nel vuoto. Y non accetta soprattutto perché si rende conto che i nuovi acquirenti non sanno neppure in che ruolo giochi. Ad oggi si può dire che abbia fatto bene.
Episodio numero 4 - Z è un bimbo di 9 anni. È iperattivo, ha disturbi comportamentali. Gli piace il calcio e forse potrebbe aiutarlo come valvola di sfogo. Z però viene da una famiglia con difficoltà economiche, da un paese isolato. Portarlo al campo è un costo. Come è un costo pagare la retta mensile della scuola calcio, 30 euro. È vero, la società sportiva potrebbe venire incontro riducendo la retta a chi ha difficoltà. Ma c'è la tuta, le scarpe, il materiale. Le cene di squadra con gli amichetti. E su tutto quella maledetta benzina per il trasporto. Z è costretto a rinunciare.
Episodio numero 5 - J ha 10 anni. Ama il calcio al di sopra di tutto, forse in maniera eccessiva. Ha Dvd dei campioni del passato e del presente: Ronaldo, Batistuta, soprattutto Maradona. Il Diego Armando piccolo palleggia nel fango di un campetto, si sbuccia le ginocchia sulla terra battuta, corre e gioca nell'asfalto. J no, non può. Mamma e papà non vogliono perché hanno paura a lasciarlo per strada, hanno paura della strada in sé. Eppure non c'è motivo, pensa J. Ma il terrore del disagio, la paura instillata e percepita li blocca. A J han tolto la strada, gli rimane il Dvd ma non lo guarda più: troppa nostalgia.
Episodio numero 6 - K è un dirigente di una società dilettantistica. Lavora coi settori giovanili ed in fondo si sente un messia. Sa che i bimbi portano soldi (le rette mensili, i genitori al bar, ecc.) ma è disposto a dare una mano a chi non può permetterselo. Dare una mano sì, però fino a un certo punto. M e N sono anche loro dirigenti di una società dilettantistica e hanno bisogno di un campo. Quindi vanno da K e chiedono la disponibilità. Il prezzo è alto e la trattativa è difficile. A K viene un'idea economica: il prezzo è questo ma se voi mi fate da scout, per ogni bambino che portate nella mia scuola calcio vi corrispondo un tot.
Episodio finale - Nel calcio si vince e si perde. Quasi sempre vincono i più ricchi e i più forti. Non sempre: il Leicester è stato l'esempio più eclatante. Nel calcio di oggi i club ricchi e potenti non vogliono più rischiare di rimanere fuori dalla torta economica da dividersi e studiano sistemi per non perdere il privilegio. Basta Leicester, basta Carpi o Frosinone (Lotito docet). Dobbiamo crearci una Superlega in cui giocare solamente fra di noi, in modo da non perdere neppure le briciole di questa torta. La Gazzetta dello sport, quotidiano sportivo numero 1 in Italia, che, in quanto tale, dovrebbe avere a cuore le sorti dei principi dello Sport, ti aspetti che si schieri contro. Tutt'altro. Con alcune eccezioni vede la cosa come possibile, per qualcuno addirittura auspicabile, in ogni caso ineluttabile. --- Se vogliamo vedere e analizzare i problemi del calcio italiano - fra i quali la mancata competitività con conseguente non qualificazione al mondiale, non è che il più mediatico - non ha senso tirar fuori i troppi stranieri, i soldi ai vivai o la crisi di vocazione dei nostri baldi giovani. Ha senso piuttosto compiere un'indagine complessiva del calcio e studiare la società di cui il calcio non è altro che un'espressione. Ha senso cominciare ad indagare i processi di monetizzazione dei ragazzi, divenuti esclusivamente valore economico. Ha senso prendere atto dei fenomeni di impoverimento di una fascia sempre più consistente della popolazione per la quale portare i figli a fare sport è un'impresa sempre più ostica. Ha senso studiare i processi di creazione e di imposizione della paura come meccanismo di controllo a causa dei quali è stata abbandonata la prima vera scuola calcio: la strada. Ha senso colpire l'idea secondo la quale nel calcio l'unico valore al quale obbedire, dalla scelta della squadra in cui giocare fino al funzionamento delle società, è quello economico. Ha senso infine immaginare una gigantesca operazione culturale sulla competitività esasperata, sul ruolo educativo, sul rapporto col compagno e con l'avversario. Tutto questo i Tavecchio non lo sanno perché espressione non tanto di un calcio di quel tipo, quanto di una società di quel tipo nella quale puoi tranquillamente oscillare fra fare il sindaco e reggere una federazione con milioni di tesserati. In cui puoi scivolare in gaffes sessiste o razziste e tranquillamente uscirne pulito. Per iniziare ad immaginare soluzioni non ci sono scorciatoie: c'è una società da attraversare e conoscere.
Gianmaria Lenelli – Spartak Apuane – Massa