La settimana appena trascorsa è stata intensa e ricca di iniziative sul fronte dell’opposizione al Trans Adriatic Pipeline (TAP). Questa mega opera che dovrebbe trasportare gas dalla regione del Mar Caspio in Europa, collegando il Trans Anatolian Pipeline (TANAP) alla zona di confine tra Grecia e Turchia, attraversando la Grecia settentrionale, l’Albania e l’Adriatico per approdare sulle coste salentine in località San Basilio a San Foca. Mercoledì 6 dicembre i commercianti di Melendugno hanno deciso di proclamare in maniera autonoma senza mediazioni sindacali o di associazioni di categorie uno sciopero, una grande serrata che ha visto la partecipazione di quasi la totalità delle attività commerciali melendugnesi, che hanno rinunciato agli incassi di una giornata lavorativa per dimostrare ancora una volta la contrarietà del territorio a questa opera. La giornata ha visto sfilare due cortei uno mattutino a Melendugno con più di 3000 persone e uno pomeridiano con partenza dal lungo mare di San Foca, corteo che in maniera spontanea vede centinaia di persone staccarsi dal percorso ufficiale per avvicinarsi nelle vicinanze del cantiere e della zona rossa.
Il movimento No Tav ha deciso di intitolare la manifestazione del 8 dicembre a Giaglione "Contro la militarizzazione dei territori, per la loro tutela per il benessere della comunità' dedicando la giornata al Movimento No Tap. Nella stessa data si decide di percorre le strade del capoluogo leccese con un grande corteo che vede la partecipazione di oltre 4000 persone, un corteo che non cade nella trappola del terrore messa in scena da molta stampa locale, che nei giorni precedenti con titoloni roboanti e intere pagine di notizie tendenziose parla di pericolo infiltrazioni, paventa incidenti e calate di orde “barbariche” dalla Val Susa. Il meccanismo della diffusione del panico intorno al corteo non funziona, la gente non si intimorisce e partecipa in maniera numerosa attraversando una Lecce blindata dalle forze dell’ordine. Il corteo si blocca a metà percorso quando arriva la notizia che alcuni compagni sono trattenuti in Questura, da ore, con motivazioni pretestuose dopo essere state fermate in uno dei numerosi posti di blocco che circondavano la città, solo a quel punto i fermati vengono rilasciati purtroppo con nuovi fogli di via. Il corteo termina in Piazza Libertini dove si susseguono gli interventi al microfono mentre circa 200 manifestanti decide di dirigersi in Piazza Sant’Oronzo a pochi passi dalla sede di Tap, ma qui ad attendergli ci sono i manganelli della celere schierati a difesa della sede della multinazionale.
Il giorno seguente, nel primo pomeriggio, una cinquantina di compagni tentano di avvicinarsi alla zona rossa arrivando all’interno della cosiddetta zona cuscinetto. Qui avviene una vera e propria caccia all’uomo con l’uso di un elicottero che dall’alto controlla ogni spostamento e centinaia di agenti che braccano accerchiando i compagni, dopo alcune ore 52 persone vengono condotte in Questura e al Comando provinciale dei Carabinieri per essere identificati, con il passare delle ore i presidi di familiari, amici e compagni preoccupati per le sorti dei fermati si ingrossano e solo in tarda notte tutti vengono rilasciati con un denuncia a piede libero. Ormai la macchina repressiva ha oliato i suoi ingranaggi: denunce, daspo e fogli di via iniziano a non contarsi più.
Un capitolo a parte meriterebbe il ruolo dell’informazione locale e nazionale sulla tema Tap, ormai da molto tempo la multinazionale compra grosse fette di pubblicità soprattutto sulla stampa locale e a queste pioggia di denari in modo diretto o indiretto redazioni e direttori devono in qualche modo dare conto.
Ritornando sul fronte della lotta a Tap, il 13 dicembre la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) avrebbe dovuto approvare un prestito da 1,5 miliardi alla TAP ma ha deciso di rinviare il prestito multimiliardario. Il consiglio di amministrazione della BEI ha insistito sulla necessità di prendersi più tempo per valutare il progetto, un’opera immensa dai costi esorbitanti, che i privati coinvolti stanno cercando di ammortizzare con i prestiti della banca europea. Per la BEI, sarebbe il più grande esborso della sua storia: circa 1,5 miliardi di euro e ha preferito non esporsi, forse anche per la pressione pubblica sui suoi membri. Il dossier ora resterà congelato rinviando la decisione sul finanziamento a febbraio del prossimo anno, allungando un impasse che già si è protratto per due anni.
Sempre nella giornata del 13, alla luce della “settimana calda”, il prefetto di Lecce non ha rinnovato l'ordinanza che istituiva la 'zona rossa' intorno al cantiere. La recinzione antisfondamento, elevata intorno all'area cuscinetto, i cancelli di chiusura dei varchi e il filo spinato, costati chissà quanto, sono al momento in fase di smantellamento.
SPARTAK LECCE CONTRO CHI CAMMINA SOPRA AI CORPI, VIOLENTA LE CULTURE, CANCELLA I RICORDI !
NO TAP NE QUI NE ALTROVE