Oggigiorno l'appartenenza politica non ha contagiato solamente gli spalti degli stadi italiani ma anche i rettangoli da gioco. Sono numerosi, infatti, gli episodi “militanti” che in Italia, ma non solo, vedono come protagonisti i giocatori che, secondo una tradizione popolare, dovrebbero essere dei “maestri di vita” per chi va a vederli ogni domenica allo stadio.
Dall'ultimo caso, in ordine cronologico, del tesserato del 65 Futa, che a metà novembre ha esultato facendo il saluto romano ed esibendo una maglietta con l'aquila romana della Repubblica Sociale Italiana durante la partita col Marzabotto, fino ai numerosi saluti romani di Paolo Di Canio per incitare i tifosi della Lazio, risultano essere sempre più frequenti gli eventi in cui il neofascismo ha potuto mettersi in bella mostra grazie agli infami gesti di questi individui. Dall'altra sponda della barricata anche l'antifascismo ha avuto alcuni calciatori che non hanno avuto nessun problema a mettere chiaramente in luce i loro ideali politici: Cristiano Lucarelli e Riccardo Zampagna giusto per citare due nomi famosi.
Il primo calciatore dichiaratamente di estrema sinistra fu, però, un certo Paolo Sollier. Lo stesso Sollier tra pochi giorni compirà 70 anni essendo nato il 13 gennaio 1948 nella piccola frazione valsusina di Chiomonte.
Il fatto di essere venuto alla luce in Val Susa, zona montuosa che da più di 25 anni combatte contro la costruzione della linea dell'Alta Velocità Torino-Lione e valle molto attiva per quel che riguarda la lotta partigiana durante il secondo conflitto mondiale, potrebbe aver influito sulla scelta politica di Sollier. La vere ragioni di questa sua presa di posizione però, come si può capire dalle pagine a lui dedicate nel libro “Calcio e Martello” di Marco Piccinelli e Fabio Belli, non si sanno ancora e probabilmente non si sapranno mai.
Probabilmente furono l'epoca in cui cominciò a calcare i campi di calcio e i suoi trascorsi a determinare questa posizione del centrocampista valsusino. Era infatti il 1969 quando, dopo un solo anno di iscrizione alla facoltà di Scienze Politiche dell'università di Torino e uno passato da operaio allo stabilimento Mirafiori della Fiat, Sollier decise di dedicarsi a pieno al mondo del pallone.
Il 1968, l'anno emblema delle contestazioni e delle rivolte giovanili nell'Europa del XX secolo, era appena passato. Le facoltà e le fabbriche, guarda caso i luoghi che Sollier frequentava quotidianamente, traboccavano di attività politica ogni giorno.
Il lato politicizzato di Paolo Sollier, che non ricordiamo di certo per la sua magra carriera calcistica condita da sole 20 presenze in serie A ,è principalmente legato al Perugia. Mentre era un tesserato della squadra del capoluogo umbro, infatti, salutò i tifosi perugini col pugno chiuso: un gesto con un chiaro intento politico e che, oltre a dichiarare i maniera limpida la fede di sinistra di Sollier, gli attirò anche moltissime antipatie da parte di tifoserie di estrema destra di tutta Italia.
Nel 1976, per fare un esempio, durante la partita Lazio-Perugia la tifoseria laziale, tradizionalmente vicina agli ideali neofascisti, lo accolse con uno striscione eloquente che recitava “Sollier Boia”. La risposta del calciatore data ad un giornalista che gli aveva chiesto un commento su quanto accaduto, “Vorrà dire che battere la squadra di Mussolini sarà ancora più bello”, fu emblematica e stuzzicò ancora di più una situazione abbastanza tesa di per sé.
Col passare degli anni Sollier cercò di far passare in secondo piano la sua chiara fede politica. Secondo il centrocampista infatti, il suo saluto a pugno chiuso non poteva rientrare nel concetto di “propaganda” ma di un gesto rivolto “a me stesso, per ricordarmi ogni volta chi fossi e da dove venivo. E per far sapere ai miei amici che restavo quello di sempre. Il ragazzo che al campetto, tanti anni prima, così si rivolgeva a loro. Con quello che per noi era un segno di riconoscimento”.
Lo stesso Sollier ha scritto, quando ancora era in attività agonistica, una auto-biografia, dal titolo “Calci, sputi e colpi di testa”, in cui mise nero su bianco il perché di una presa di posizione così forte. D'altronde, come disse l'attuale tecnico dell'Osvaldo Soriano Football Club nel 1975, “Dove è scritto che un calciatore non debba avere idee?”.
Roberto Consiglio