L’agguato a cui qualche giorno fa è scampato Deniz Naki in Germania non è che l’ultima dimostrazione, in ordine temporale, di quanto il calcio in Turchia sia espressione degli equilibri di potere, anzi parafrasando Can Öz, direttore di uno dei gruppi editoriali più importanti del paese, “tutto è politica nel calcio in Turchia”, molto più di quanto si possa immaginare. Da diverso tempo in fin dei conti il rilancio e la legittimazione internazionale che cerca Erdogan (che, oltre a essere molto tifoso del Kasimpasa, team di prima divisione, tra l’altro, vanta anche un passato da calciatore semi professionista), basti pensare alla quantità, se non esattamente di stelle, di giocatori stranieri di livello medio alto che sono arrivate nel campionato turco, che se da un lato ha innalzato il livello del campionato turco, la SüperLig, (attualmente decimo nel ranking dei campionati europei), dall’altro, in concomitanza coi risultati non eccezionali della nazionale, ha creato dei malumori per via dei giovani talenti turchi trascurati dalle grandi squadre e per un buco debitorio per i principali club che ammonta a circa 850 milioni di debiti, a dispetto di una tassazione favorevole.
Ma non bisogna dimenticare la costruzione di trentotto nuovi stadi costati un miliardo di euro alle casse dello stato turco, alle due finali di coppe internazionali ospitate da Istanbul (la Champions League del 2005, un ricordo non proprio piacevole per i milanisti, e l’Europa League del 2009) oltre a una forte candidatura a Euro 2024, dopo che in quelli del 2016 fu superata per un voto solo dalla Francia, facendo masticare amaro ai vertici della federcalcio turca che addebitarono tale esito a Platini, all’epoca alla guida dell’ UEFA. E che parteggiò per la sua Francia.
Un movimento calcistico turco inviso ai poteri forti degli organismi internazionali, dunque?
Non esattamente.
LA CALCIOPOLI TURCA “SBROGLIATA” DA INFANTINO
Anzi, a ben vedere, il paese della mezzaluna è stato graziato, non più tardi di cinque anni fa, da un azzeramento pressoché totale dei propri vertici: infatti alla fine della stagione 2010-2011, conclusasi all’ultima giornata con la vittoria del Fenerbache arrivato a pari punti col Trabzonspor ma con una migliore differenza reti negli scontri diretti, grazie a una vittoria all’ultima giornata sul campo del Sivaspor il cui portiere nella partita in questione collezionò errori su errori. L’arcano fu presto svelato e poche settimane dopo la fine del campionato la polizia fece irruzione nelle sedi di sedici club, individuando diciannove partite truccate, tra cui quella in questione, ed effettuando sessantuno arresti tra cui Presidente e vice del Fenerbahce, squadra che stando alle norme dello statuto della Federcalcio turca sarebbe dovuta essere retrocessa. Ma ecco il colpo di scena: qualche mese dopo la stessa Federazione modifica il proprio statuto ed elegge un nuovo presidente, Yildirim Demiroren, ex numero uno del Besiktas (uno dei club coinvolti dall’inchiesta), regalando di fatto l’amnistia al club gialloblu, consentendogli non solo di salvare la categoria, ma di non vedersi nemmeno revocato lo scudetto (subirà giusto l’inibizione dalle competizioni europee per un paio di anni), il tutto avallato da Gianni Infantino, all’epoca braccio destro all’UEFA di Platini (che da parte sua, intuendo la portata dello scandalo, scaricò subito le responsabilità sull’italo-svizzero) e oggi presidente della FIFA, che con un comportamento pilatesco, si voltò dall’altra parte quando la Turchia decise di non onorare gli accordi presi in un primo momento (che erano di loro già eccessivamente clementi coi club coinvolti). A conclusione di ciò appare scontato sottolineare come l’elezione di Infantino alla FIFA sia stata avallata anche dalla Turchia, semplicemente un caso? Dubitiamo…
DOPO GEZI PARK: PROVE TECNICHE DI REPRESSIONE NEGLI STADI: LA “PASSOLIG”
Ma l’attrazione che ha il potere politico per il calcio non si ferma a queste avvisaglie. Le ingerenze sono molteplici e provengono da tutte le direzioni, anche se è indubbio che la parte del leone la faccia il padre-padrone della nazione, Erdogan, che spesso ha scambiato gli stadi per dei ring su cui regolare i conti coi propri nemici, a partire da quando nel 2013 ha di fatto bandito i cori politici dagli spalti, in seguito all’appoggio dato dalle principali tre tifoserie di Istanbul ai rivoltosi di Gezi Park (un rapporto raccontato molto bene dal documentario Istanbul United), fino ad arrivare alla creazione della “Passolig” una sorta di tessera del tifoso ma più vincolante, introducendo il biglietto elettronico, associato al numero di carta d’identità del possessore del titolo d’accesso allo stadio e anche quello del cellulare; il tutto all’interno di un pacchetto di misure, costato oltre 50 milioni di euro, che include anche una sala controllo con decine di schermi, riprese in HD che permettono di zoomare su ogni singolo seggiolino) e a tornelli con altre telecamere per confrontare foto e facce, fornendo un controllo in stile "Grande Fratello".
Introdotta per tutelare la sicurezza negli stadi a detta del governo, ma di fatto per annullare preventivamente il rischio di contestazioni politiche, la Passolig coagula nuovamente tutte le tifoserie nell’opposizione al sultano e le fa riscendere in piazza col risultato che nella prima parte della stagione 2014-2015 la media spettatori nel massimo campionato è inferiore ai 10.000 spettatori; inoltre diverse associazioni di tifosi tra cui Taraf-Der, “Unione di solidarietà per i diritti dei tifosi”, si rivolgono alla magistratura contestando in particolare una delle norme più controverse, l’abbinamento obbligatorio a un circuito bancario riconducibile alla Aktif Bank, e di proprietà del genero di Erdogan. Quest’ultimo di fatto così deteneva i dati personali e bancari di tutti coloro che sottoscrivevano la tessera e li condivideva con la polizia e le autorità calcistiche, obbligando tutti i possessori della Passolig (che nel frattempo diventa terreno di scontro anche parlamentare poiché i partiti dell’opposizione, CHP e HDP promisero la sua abrogazione qualora avessero vinto le elezioni del 2015) ad avere un conto nella medesima banca. Dopo una serie di ricorsi e un tira e molla tra Corte Costituzionale e Tribunale dei Diritti dei Consumatori, la querelle si risolve col mantenimento della tessera abbinata al circuito bancario, ma senza la possibilità di trattamento esterno dei dati.
LO SCONTRO CON GÜLEN E QUELLA COREOGRAFIA AL DERBY
Ma l’ossessione di Erdogan per gli ultras probabilmente raggiunge l’apogeo in seguito al derby col Fenerbahce dello scorso ottobre quando gli UltrAslan del Galatasaray organizzano una coreografia raffigurante Rocky Balboa che alza il pugno destro sulle note di Eye of the Tiger e uno striscione in lingua turca: «Loro sembrano grandi perché tu sei in ginocchio. Ora alzati!»
L’indomani, il primo ministro turco Binali Yildirim ha ordinato l’apertura di un’indagine sulla coreografia, che è stata ritenuta collegata in qualche modo a Fetullah Gülen, il religioso turco ritenuto l’organizzatore del tentato colpo di stato del luglio 2016. Nonostante il club in un comunicato abbia specificato che non ci sia nessun messaggio occulto i sospetti sono rimasti, perché in Turchia è opinione diffusa che il Galatasaray abbia avuto legami con alcuni golpisti; inoltre Rocky è originario di Philadelphia, la città più grande della Pennsylvania, che è anche lo stato dove Fethullah Gülen vive in esilio autoimposto. In Turchia, inoltre, si usa il nomignolo “Pennsylvania” per riferirsi a Gülen e ai suoi sostenitori.
Proprio l’abortito colpo di stato è stato uno spartiacque anche nel mondo calcistico, infatti oltre duemila tra calciatori, arbitri, presidenti e dirigenti sono stati inseriti nei registri dei sospettati di avere avuto rapporti con Gülen, e tra questi figurano anche dei personaggi illustri del mondo del calcio.
HAKAN SUKUR, DA EROE NAZIONALE A RICERCATO, E I CALCIATORI DI ERDOGAN
Oltre al presidente del Konyaspor, Ahmet Şan, che dopo aver vissuto la migliore annata di sempre con vittoria in Coppa e Supercoppa di Turchia e qualificazione all'Europa League per la seconda stagione consecutiva, fu costretto a dimettersi nell'agosto 2017 a causa dell'uso dell'app per smartphone ByLock, attraverso cui il network gülenista si manterrebbe in contatto per sfuggire ai controlli governativi, il nome che ha fatto veramente rumore è quello della leggenda Hakan Sukur, il calciatore che detiene il record di gol segnati con la maglia della nazionale turca con 51 reti in 112 partite. L’ex centravanti, tra l’altro di Galatasaray, Torino, Inter e Parma, quando terminò la carriera agonistica, nel 2008, intraprese quella politica aderendo all’ AKP, il Partito di Giustizia e Sviluppo di Erdogan, per poi uscirne quando questi ruppe con Gülen di cui l’ex calciatore è sempre stato un ammiratore a tal punto da essere ritenuto uno dei cospiratori del tentato golpe del 2016: nonostante lo abbia pubblicamente condannato e si sia dichiarato estraneo, Hakan Sukur (già nel 2015 accusato di avere insultato pubblicamente Erdogan), che adesso vive in California, risulta ricercato con l’accusa di alto tradimento e il sequestro di tutti i beni intestati, come anche suo padre.
Come se non bastasse, in seguito agli avvertimenti del governo, un’assemblea dei soci del Galatasaray ha votato per espellere il goleador (al quale, ricordiamo, si deve il primo trofeo internazionale vinto dai giallorossi del Bosforo, la coppa UEFA del 2000 vinta a Copenaghen contro l’Arsenal) insieme a un altro eroe del club, Arif Erdem; anzi bisognerebbe dire “rivotare” visto che la prima votazione aveva salvato i due ex giocatori, mandando su tutte le furie il governo.
Di contro Erdogan, che non è nuovo a utilizzare le partite della nazionale come passerelle e conosce bene quanto possa contare in “una nazione di tifosi” come viene definita la Turchia (basti pensare al fatto che in media ogni cittadino turco vede 2,6 partite di calcio a settimana) l’appoggio di giocatori carismatici, ha avuto dalla sua l’appoggio di Burak Yilmaz e soprattutto Arda Turan, che si schierarono a favore del presidente nel referendum sul presidenzialismo con tanto di video messaggi sui social e che vennero per questo subissati di critiche.
L’ISTANBUL BASAKSEHIR: LA SQUADRA DEL POTERE
Proprio il centrocampista ex Barcellona è stato al centro del più importante colpo di mercato del calcio turco in questa sessione invernale (a tal punto che l’entusiasmo della folla per il suo arrivo all’aeroporto è sfociato anche in scontri con la polizia) facendo il suo ritorno nel paese della mezzaluna, più precisamente nell’Istanbul Basaksehir, l’unico dei 5 club di Istanbul presenti nella SüperLig a portare il nome della propria città.
Il club nacque ventisette anni fa col nome di Istanbul Buyksehir Belediyesi, dalla fusione dell’azienda ferroviaria d’Istanbul, di quella dell’acqua pubblica, e di altre municipalizzate locali che diedero il via a un club controllato dall’amministrazione comunale, e rappresenta un distretto abitato dalla ricca borghesia conservatrice; una volta resasi indipendente dalla polisportiva di riferimento, passò sotto il controllo del Ministero dello Sport e della Gioventù nel 2014, e si trasformò da squadra del popolo, simpatica a chi desiderava un calcio con meno tensioni e violenza, a squadra del potere, essendosi sviluppata sotto impulso dell’AKP. A tal ragione alla partita di inaugurazione dello stadio Fatih Terim (sì, proprio l’allenatore della nazionale nonché ex di Fiorentina e Milan) ha partecipato anche Erdogan che ha realizzato una tripletta.
Il club arancione-blu si ritrova adesso sorprendentemente in testa al campionato con un punto di vantaggio sul Galatasaray e nelle ultime tre stagioni è riuscito a ottenere due quarti posti e l’ultima storica seconda piazza in classifica che è valsa l’accesso al 3° turno dei preliminari di Champions League. A simboleggiare le ambiziose strategie del presidente che sta sviluppando un sistema di academy collaborando con Chelsea, Atletico Madrid e Manchester City, cercando di aumentare anche l’iniziativa privata nelle politiche del club visto che lo storno di finanziamenti da parte del Ministero per sostenere la squadra non è ben visto nel resto del paese, e non potrebbe essere altrimenti visto che non ha un vero e proprio seguito di tifosi. Così, se da un lato troviamo squadre bistrattate come l’Amedspor, la squadra curda che a causa delle violenze subite e tollerate dalle autorità ha più volte minacciato il ritiro e a cui è stato dedicato un bellissimo documentario, altre squadre che rappresentano lo specchio dei rapporti di potere come i tre club storici di Istanbul, dall’altra il governo si è fatto la propria squadra.
Ma questo la dice lunga su quanto il calcio rappresenti uno dei canali di autolegittimazione del governo turco nell’agone internazionale, visto che è la sesta economia calcistica del continente, per essere accettato a tutti gli effetti nella Comunità Europea; ma se dal punto di vista sportivo bisogna passare lo scoglio del protocollo dell’UEFA sui diritti umani, dal punto di vista politico non vedendo questi ostacoli, non resta che augurarci che Erdogan trovi sempre l’equivalente di un Amedspor e di coloro si identificano in quei valori, a guastargli i piani.
Giuseppe Ranieri