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Scuola di formazione politica A.C. Milan

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Non è scritto da nessuna parte è vero, ma sicuramente uno dei lasciti più significativi di una squadra per poter dire di aver fatto epoca deriva anche da quanti suoi calciatori, una volta attaccati gli scarpini al chiodo, intraprendano la carriera da allenatore, possibilmente di successo.

Il Milan berlusconiano, soprattutto nel primo decennio, ha davvero rivoluzionato il concetto di calcio e infatti a distanza di anni diversi dei suoi maggiori interpreti sono  diventati allenatori di successo capaci di alzare la Champions League,  come Ancelotti e Rijkaard,  altri hanno allenato nazionali di primo piano come Donadoni e Van Basten, e diversi altri che magari non hanno avuto degli acuti significativi nella loro seconda vita (come Gullit) o che si sono destreggiati nei settori giovanili come Evani  e Franco Baresi.

 

Tuttavia, conoscendo la megalomania del personaggio in questione, non abbiamo difficoltà a immaginare che il più grande motivo d’orgoglio per l’ex presidente rossonero sia quello di vedere diversi suoi calciatori (anche, se in questo caso legati più a un periodo successivo della grandeur rossonera) buttarsi in politica in maniera più o meno vincente a seconda dei casi.

L’ultimo caso, davvero recente, riguarda l’indimenticato George Weah, l’unico calciatore africano vincitore del pallone d’oro nel 1995, riconosciuto come il più forte giocatore africano dello scorso secolo, trasferitosi dal Paris Saint-Germain alla corte del diavolo nella medesima stagione per 11 miliardi delle vecchie lire (un trasferimento controverso, ad adombrarlo infatti le accuse di tifosi e stampa parigina rivolte al liberiano di scarso impegno nella doppia semifinale di Champions League di quell’anno che il PSG disputò e perse proprio contro il Milan, sono diffuse le voci secondo cui il centravanti avesse già raggiunto un accordo coi rossoneri).

Ebbene, il 22 gennaio Weah è diventato presidente della Liberia vincendo il ballottaggio contro l’ex vicepresidente Joseph Boakai, col 61,5% dei voti contro il 38,5% del rivale, riuscendo così a cancellare la sconfitta  patita nel 2005 contro Ellen Johnson Sirleaf, primo presidente donna di uno stato africano, nonché Premio Nobel per la pace nel 2011. Infatti Weah dal 2005 fa parte del Congresso per la Democrazia e il Cambiamento (partito finora all’opposizione). È infatti opportuno ricordare come le condizioni della Liberia siano tutt’altro che floride: nonostante sia stata la prima nazione indipendente nel continente, oggi il paese è reduce da una sanguinosa guerra civile che ha causato circa 250.00 morti (infatti quella avvenuta tra la Sirleaf e Weah è la prima transizione democratica nel paese dominato per anni dal dittatore Taylor), da diverse epidemie, ultima in ordine di tempo quella di ebola che ha causato almeno 5000 morti, e infine circa il 54% dei 4.700.000 liberiani vive sotto la soglia di povertà.

Sfide di certo impegnative per l’ex calciatore che viene accusato dai suoi detrattori di scarsa esperienza oltre che per la scelta di avere come vicepresidente Jewel Howrad Taylor, ex moglie di quel Charles Taylor che ha portato per ben due volte alla guerra civile e che sta scontando una pena di 50 anni di reclusione in un penitenziario britannico. A fare da contraltare a queste critiche, c’è l’entusiasmo popolare, palpabile durante la cerimonia d’insediamento nello stadio “Samuel K. Doe” della capitale Monrovia, davanti ad almeno 35.000 persone festanti (tra le quali diverse stelle del calcio africano: da Eto’o a Kallon, passando per i nigeriani Taribo West e Jay Jay Okocha) per aver visto salire allo scranno presidenziale un uomo del popolo cresciuto nelle baraccopoli; primo di quattordici fratelli e che più di qualunque altro suo connazionale ha portato in alto il nome della Liberia nell’ultimo quarto di secolo, diventando anche ambasciatore per l’Unicef e denunciando le gravi condizioni di indigenza della sua nazione.

La cosa singolare è che nel cerimoniale di investitura ci sia stata anche una partita di calcio tra una selezione di amici di Weah e una dell’esercito liberiano, terminata con la vittoria dei primi per 2-1, e indovinate un po’ chi ha sbloccato le marcature? Proprio King George!

Ovviamente, e non poteva essere altrimenti, le sue prime dichiarazioni sono  state molto generiche e speranzose provando a instaurare un patto con la nazione (vi ricorda qualcuno?...) e ringraziando verso amici di ieri e di oggi, compreso un “in bocca al lupo” al suo ex presidente per le imminenti elezioni politiche italiane. Non il miglior viatico dunque…

Ma gli ex milanisti prestati alla politica non si esauriscono certo con il caso Weah,  anzi nel continente europeo sono almeno due i casi eclatanti che riguardano ex rossoneri.

Quello che balza principalmente agli occhi è il caso di Kakha Kaladze, il georgiano ex difensore centrale, eletto per quattro edizioni consecutive calciatore georgiano dell’anno e che col Milan di Ancelotti ha vinto ben due Champions League, oltre a vivere il dramma del sequestro con omicidio del fratello Levian. Nello scorso ottobre Kaladze è diventato sindaco della capitale Tbilsi al primo turno ottenendo il 51,13% dei voti sbaragliando gli altri sei competitors, ma a differenza di Weah non si può certo definire un parvenu. Infatti, una volta terminata la parentesi al Genoa dove era andato a svernare, nel 2012 l’ex campione d’Europa è tornato in patria aderendo subito al partito Kartuli Otsneba (Sogno georgiano), fondato nello stesso anno dal miliardario vicino a Putin ed ex primo ministro Boris “Bidzina” Ivanishvili (non vi dice niente neanche questa cosa, vero?...) e una volta nominato deputato del parlamento è diventato Ministro dell’Energia e delle Risorse del parlamento georgiano e successivamente è stato anche Vice Premier. “Sarà un ottimo primo cittadino!” A incoronarlo un altro ex rossonero che ha provato la carriera politica, in una repubblica ex sovietica, ma senza fortuna.

Si tratta di Andriy Shevchenko, secondo attaccante più prolifico nella storia del Milan, mattatore della Champions League vinta nel 2003, pallone d’oro nel 2004 (ultima affermazione di un calciatore proveniente dal blocco sovietico), ma prima ancora pupillo di quel profeta del calcio che fu Valerij Lobanovskyj che lo allevò ai tempi della Dinamo Kiev si può definire come l’ultimo interprete sublime della scuola calcistica sovietica.

Sheva, che con Berlusconi condivide il giorno di nascita, il 29 settembre,  decise di candidarsi anche lui non appena terminata la carriera agonistica concorrendo alle elezioni presidenziali del 2012 (le stesse elezioni in cui il pugile Vitali Klitschko, con la sua formazione la liberale Udar, prese il 14,7% che di fatto fu il trampolino di lancio per una carriera da sindaco di Kiev e sostenitore di Poroshenko). La sua performance non fu delle migliori: nonostante avesse pagato di tasca propria circa un milione di euro per la campagna elettorale, il suo partito “Avanti Ucraina”, di matrice socialdemocratica, non superò lo sbarramento del 5%, anzi ne restò abbastanza lontano avendo preso solo l’1.58%, e subì le accuse in base alle quali la sua formazione politica fosse  una sorta di Cavallo di Troia dell’ex presidente ucraino Yanukovic per indebolire le opposizioni (infatti anche il bomber in precedenza era stato un suo sostenitore), ma ormai la società ucraina e i relativi partiti stavano andando verso quella polarizzazione che ha condotto l’ex repubblica sovietica alla guerra civile che tutti conosciamo.

A voler continuare questa tradizione sembra che ci sarà anche Ronaldinho che a quanto pare a marzo si candiderà nelle file del Partito Patriota, una formazione di estrema destra alla cui guida concorre per diventare presidente della nazione Jair Bolsonaro, ex parà, nemico di tossicodipendenti e gay che vedrebbe bene un periodo di dittatura militare per il Brasile. L’ex militare, che punta a raccogliere l’eredità di Temer, punterebbe proprio sul “Gaucho” facendolo concorrere nello stato di Minas Gerais, sede dell’Atletico Minero che fu l’ultimo club del pallone d’oro 2005, a dimostrazione di come il calcio riesca a catalizzare le emozioni delle masse a ogni latitudine, cosa d’altro canto abbastanza nota in Brasile, visto che i precedenti non mancano, a partire da Pelè, Ministro straordinario dello sport nel governo Cardoso del 1995 e alla coppia d’attacco campione del mondo a USA’94: Bebeto eletto come deputato regionale e Romario che vanta due legislazioni da senatore col Partito socialista.

E l’Italia?

Con buona pace dell’ex Premier che ha sfidato qualsiasi tipo di legge, adagio e convenzione, anche lui e i suoi seguaci si sono dovuti arrendere alla massima che “nessuno è profeta in patria”. Così  l’unico ex milanista del suo periodo che ha intrapreso la carriera politica è stato Giovanni Galli, portiere del Milan stellare di Sacchi con cui è salito per ben due anni consecutivi sul tetto del mondo, che si candidò nelle fila del PDL nel 2009 come sindaco a Firenze, subendo una prevedibilissima sconfitta a opera di Renzi, e anche alle elezioni europee del 2011 non ebbe un gran successo.

 E pensare che il primo calciatore italiano a buttarsi in politica è stato Gianni Rivera, primo pallone d’oro italiano nel 1969, il Golden Boy del Milan di Rocco che sotto la guida di Liedholm guidò il Milan alla conquista della stella ed è il giocatore più vincente nel Milan pre-berlusconiano. Egli sedette in Parlamento per ben quattro legislature partendo dalla Democrazia Cristiana (con cui ebbe anche incarichi rilevanti) seguendo poi la diaspora democristiana da Rinnovamento Italiano fino all’UDC, arrivando a sostenere Letizia Moratti contro Pisapia nel 2011.

Non sappiamo realmente quanto il “Cavaliere”, da sempre un maestro nel plasmare la realtà circostante a sua somiglianza, sia autore consapevole di questo processo e quanto invece sia casuale, quello che risalta agli occhi è quanto il calcio possa essere un veicolo di  suggestioni politiche anche a partire dal singolo, perché buona parte di questi giocatori hanno il merito di essere stati delle eccellenze per il proprio paese e di conseguenza loro ambasciatori nel mondo diventando, spesso inconsapevolmente, dei modelli per i giovani, magari però sotto la guida di un altro mentore!

 

Giuseppe Ranieri

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Scritto da Giuseppe Ranieri
Categoria: Fuori dal campo
Pubblicato: 26 Gennaio 2018
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