È risaputo che per vincere nelle competizioni europee bisogna dare estrema importanza ai dettagli, da quelli più piccoli e all’apparenza insignificanti a quelli più importanti. Ad esempio, come nel caso odierno della Lazio, il nome dell’avversario che affronterà i biancocelesti nei sedicesimi di Europa League, a differenza di quanto hanno affermato superficialmente diversi giornalisti italiani, è la FC FCSB (“Football Club Football Club Steaua Bucarest”) e non la vera e propria Steaua Bucarest.
Infatti, dopo una lunga querelle, trascinatasi dietro per diversi anni tra il Ministero della Difesa, storico detentore del titolo del club e George “Gigi” Becali, un businessman controverso non nuovo a scandali, diventato l’uomo più potente del calcio rumeno e di fatto il padrone del club, fino a quando una sentenza della Corte Suprema di Romania non lo ha privato del titolo per restituirlo ai vecchi proprietari. Ma andiamo con ordine.
Nata nel 1947 col nome di Asociația Sportivă a Armatei București (acquisirà il nome attuale solo nel dicembre 1961) all’interno di una polisportiva che era diretta emanazione dell’esercito e che comprendeva altre sei discipline (inizialmente tiro a segno, atletica leggera, tennis, scherma, pallavolo e boxe a cui poi se ne aggiunsero altre) la Steaua è la squadra più amata della Romania, infatti si calcola infatti che quasi un rumeno su due tenga per la squadra Roș-Albastră (rosso blu) che per molto tempo ha legato i suoi successi alla benevolenza della famiglia Ceausescu che favorì con tutti i mezzi, leciti e non, la supremazia dei rossoblù grazie ai continui favori arbitrali e federali e al saccheggio dei migliori talenti delle altre squadre rumene.
Tanto per fare un esempio conosciuto anche in Italia, Gheorghe Hagi, “il Maradona dei Carpazi”, considerato il giocatore rumeno più forte della storia transitato anche da Brescia, fu prelevato da giovane dallo Sportul Studenţesc e poi fu al centro di varie trattative per la vendita tra cui una con la Juventus in cui nella contropartita sarebbe rientrato anche l’apertura di uno stabilimento FIAT a Bucarest.
In ogni caso, la Steaua è di gran lunga la squadra più titolata nei confini nazionali grazie alla vittoria di 26 campionati, 22 coppe nazionali, 6 supercoppe rumene e due coppe di Lega.
Ma soprattutto può vantare una storica vittoria in Coppa dei Campioni nel 1986 contro il Barcellona, con successiva Supercoppa Europea vinta contro la Dinamo Kiev e di un’altra finale di Coppa dei Campioni, ma quel 24 maggio 1989 il Milan di Sacchi stava apponendo la firma in calce al manifesto del calcio moderno e a quello del “berlusconismo sociale” come modello vincente in ogni campo e si rivelò un avversario troppo forte per i rumeni.
Proprio la vittoria nella massima competizione europea, ottenuta a Siviglia contro ogni pronostico, ebbe una grossa risonanza storica e simbolica, trattandosi dell’unica affermazione di una squadra di un paese del Patto di Varsavia, nonché la prima vittoria di una squadra di tutta l’Europa Orientale (cui replicò nel ’91 la Stella Rossa), ma anche per il modo in cui avvenne: senza nessun tifoso al seguito (nonostante ci furono un migliaio di richieste per i biglietti, ma il governo di Bucarest temeva che si tramutassero in altrettante richieste di asilo politico), ai rigori, col portiere rumeno Helmuth Dukadam che parò quattro tiri dal dischetto su quattro ai catalani consegnando alla storia la leggenda dei “Leoni del Sanchez Pisjuan”.
L’eroe di quella serata, Dukadam, concluse la carriera anzitempo per via di una trombosi alla mano; la vulgata complottista sostiene che dopo la finale di Siviglia, Re Juan Carlos di Spagna, molto tifoso del Real Madrid, volle regalare una Mercedes al portiere, scatenando l’invidia di Nicu Ceausescu, il figlio del “Conducător” Niculae e fratello di Valentin, dirigente della squadra, che voleva che l’auto gli fosse regalata, e al rifiuto del giocatore avrebbe mandato due agenti della Securitate a spezzargli le mani, mentre in realtà si trattò di un aneurisma che lo colpì al braccio sinistro, ma quest’episodio la dice lunga sul clima di sospetto e diffidenza sulla squadra per essere a tutti gli effetti un simbolo vincente del regime comunista.
La caduta del Muro di Berlino, l’implosione del socialismo reale con le specificità del caso rumeno (Ceausescu fu l’unico leader dei paesi dell’Est a essere ucciso durante le sommosse popolari che portarono alla caduta del regime e a differenza di altri paesi dell’ex blocco orientale, in Romania la transizione post-comunista fu guidata da un partito d’ispirazione socialdemocratica) ebbe ripercussioni anche sullo sport. L’esercito tenne ugualmente il club calcistico, ma nel 1998 si ritrovò impossibilitato a investire ulteriori soldi, sciolse la polisportiva e, come avvenne in tutti gli altri campi, aprì a investitori privati a cui venne accordato il permesso di utilizzare lo stemma e il nome. E proprio in seguito a una gestione piuttosto disinvolta delle casse del club a opera di Viorel Păunescu, che indebitò oltremodo le casse della Steaua, fu offerto un posto nella dirigenza all’ex socio e imprenditore immobiliare Becali, uno dei classici prototipi di oligarchi spuntati fuori dalla liberalizzazione selvaggia post-1991. Di fatto si venne a creare una sorta di cerchio magico che mise sotto tutela le sorti del club composto da Păunescu, dall’ex stella Pițurcă capocannoniere della Steaua campione d’Europa e a più riprese allenatore del club allo stesso Gheorge Becali.
Personaggio istrionico, Becali, che nel 2009 è stato eletto membro del parlamento romeno con un partito di estrema destra, e dopo essersi distinto per affermazioni razziste, omofobe, xenofobe, acquisì l’anno successivo il 93% delle quote societarie (poi girate ai nipoti).
Giusto per non farsi mancare nulla, mentre diventava il deus ex machina del calcio rumeno, (c’è lo zampino suo e dei cugini procuratori in quasi tutti i trasferimenti di calciatori rumeni all’estero dal 2014 e arrivò addirittura a promettere 5,5 milioni di euro a ogni giocatore della nazionale per la vittoria dell’Europeo del 2008, inoltre un altro suo cugino, Giovanni, riuscì a mettere le mani sulla Dinamo, l’altro club nobile della capitale rumena) Becali finiva in galera per due volte.
La prima nel 2009 per aver sequestrato tre persone che provavano a rubargli l’auto e la seconda nel 2013, per istigazione all’abuso di ufficio in seguito a una compravendita di terreni e col Ministero della Difesa a condizioni fortemente sfavorevoli all’esercito. Durante la sua carcerazione, ecco il colpo di scena: il 3 dicembre 2014 la Corte Suprema di Romania decreta che la registrazione dello Steaua a nome di Becali è stata fatta secondo una procedura non corretta (non avrebbe versato gli arretrati per l’affitto dello stadio, il mitico “Ghencea”, ed estinto il debito delle precedenti gestioni societarie nei confronti dell’Esercito) ed è pertanto illegale. Detto fatto: la partita successiva contro il CSMS Iaşi, ogni riferimento al nome e al logo della squadra viene fatto sparire: la squadra scende in campo con un’anonima terza maglietta gialla senza nessun richiamo al rosso-blu, il nome e il logo vengono coperti con il nastro adesivo, il maxischermo dichiara “Padroni di casa”, lo speaker può riferirsi alla squadra solo come a “i campioni di Romania” e la squadra si ritrova costretta a giocare a Pitesti, a 120km da Bucarest.
A dare il colpo di grazia, infine, è stata la creazione di una squadra da parte dell’Esercito che sfruttando a proprio vantaggio il contenzioso di un pagamento mai avvenuto per l’affitto dello stadio, ha potuto riprendere per sé il nome, il simbolo e il palmares della vecchia Steaua ripartendo dalla quarta divisione.
Becali era abbastanza tranquillo, agitava di tanto in tanto l’acquisizione del titolo di qualche altro club, o addirittura di inserire il suo cognome nella nuova denominazione del club, ma non diede l’idea di essere particolarmente scosso, a differenza, e non potrebbe essere altrimenti, dei tifosi. Infatti non è mai scoccata la scintilla tra il patron e la tifoseria (gli ultras chiamarono a rapporto 5000 persone in piazza contro Becali che rispose con intimidazioni pesanti, diffide arbitrarie e presenza delle sue guardie del corpo in curva) che dopo gli ultimi sviluppi si è sentita addirittura smarrita: le due curve, La Peluza Sud e La Peluza Nord, si sentono tradite e le presenze allo stadio sono drasticamente calate, passando da una media di 20.000 spettatori a partita a una di meno di 10.000.
Nel corso della sua storia la Steaua Bucarest ha sempre funzionato come una sorta di termometro della situazione sociale in Romania: dapprima simbolo del potere comunista e soggetta alle attenzioni della famiglia Ceausescu che comunque l’hanno portata sul tetto d’Europa raggiungendo i massimi traguardi, successivamente è divenuta l’emblema della liberalizzazione selvaggia e dell’ascesa di oligarchi senza scrupoli che non hanno avuto nessuna attenzione nei confronti della storia e del legame popolare, e adesso si trova al centro di un conflitto tra pubblico e privato in cui l’annientamento del rivale sembra importare di più dell’oggetto del contendere, non solo il club più titolato della Romania, ma proprio i destini del calcio rumeno che si regge sulla stabilità (e sui soldi) che il club di Becali fa circolare nell’indotto rendendolo di fatto sotto tutela.
Giuseppe Ranieri