Metà marzo. Sei giornate alla fine. Questa, poi due settimane di sosta a cavallo di Pasqua, e il rush finale. Con un campionato del genere, ci sono anni in cui arrivi primo quasi annoiandoti. Un vero squadrone quello di mister Serrau, dal portiere alla prima punta. Imperioso, prepotente, a tratti spettacolare, con alcune individualità da categoria superiore. Specie dall’autunno, da quella partita in casa con la Grevigiana rimontata da 0-2 a 3-2 nel secondo tempo. Quella che ti fa prendere definitivamente coscienza che hai un compito ben preciso, inutile sottrarsi. Ma nel tuo girone hai due avversarie verrebbe da dire del cazzo, tignose e dalle sette vite, ma a un’analisi lucida forti e meritevoli: Incisa e Dicomano, da affrontare alla terzultima e penultima giornata. E qui la trama inizia a essere quella dei grandi campionati, terribili e bellissimi allo stesso tempo, perché è vero che si soffre, è vero che si è sempre sull’orlo del baratro, ma in fondo provare questo menu di emozioni è proprio il motivo per cui un malato di calcio fa tutto questo. Per cui assume questa droga.
Incisa, l’avversario più credibile, è a -3. Dicomano sempre poco sotto, ma che non molla. Questo turno pre-pasquale potrebbe sembrare tranquillo: in casa contro Piandiscò, a metà classifica, battuti all’andata. Ma i punti ora iniziano a pesare. E in questa fase della stagione pesano più del solito squalifiche per accumuli di gialli, e infortuni più o meno gravi. In queste prime tre partite del racconto la formazione sarà sempre molto rimaneggiata, per tornare a essere quella praticamente titolare solo a Incisa. Il primo tempo scivola via, non un granché, ma la sensazione è quella che si vincerà, non si può sempre dare spettacolo ma qualcosa succederà. E infatti succede, dopo un intervallo brevissimo che sorprende quasi tutti ancora al bar, e secondo me (stavolta) non per colpa loro ma per fretta dell’arbitro: scoccia sempre un po’ perdersi il gol, ma alla fine abbiamo segnato quando in molti nemmeno c’eravamo, di cosa c’era da preoccuparsi? Ma quando una partita non la domini, resta sempre schiava degli episodi. Un uomo che corre da dentro l’area verso fuori, in direzione laterale, a rincorrere il pallone, atterrato. Un rigore strano, ma è rigore. 1-1 senza sapere bene perché, a metà del secondo tempo. I risultati dagli altri campi non sono affidabili, i conti si possono fare solo dopo la fine. La vita è una merda. Poi c’è il tifo, che interviene. Probabilmente, cantare più forte è una difesa naturale di ognuno quando la tensione sale, quando gli eventi sono fuori controllo e rischiano di schiacciarti. Ma la partita non prende piede, l’assedio è più tentato che riuscito, non ci sono cronometri ufficiali quindi il fischio finale aleggia nell’aria. Poi un’azione di pura volontà. Palloni che sembrano persi, che già sospiri pensando che sul rinvio fischierà la fine. Una maglia grigionera che si getta, il portiere che esce a cazzo sul lato corto dell’area. Un paio di rimpalli, due mezzi dribbling, un casino. Alla fine riesce a metterla in mezzo col portiere ancora fuori dai pali. Montuschi è lì, davanti alla porta solo un paio di difensori, il coro si interrompe, la prende anche lui sporchissima, la rete si muove. L’esultanza per il gol è tutt’uno con quella per il fischio finale. Comunque ha vinto anche Incisa. Ecco, se sono tutte così non ci arriviamo alla fine. Appunto.
Dopo la sosta, recuperata un po’ di rilassatezza (effimera come non mai), trasferta all’Affrico, accanto allo stadio della Viola a Campo di Marte. Campo ostico, il Lebowski non ci ha ancora mai vinto. Tutto però sembra viaggiare spedito, a metà primo tempo Vargas ne ha già messi due senza troppe difficoltà. Dai che forse almeno una se ne va via tranquilla. Verso la fine della frazione il solito rigore preso in modo ingenuo è un fulmine a ciel sereno e riaccende i biancoblu, che forse senza questa iniezione di fiducia non ci avrebbero troppo provato. E dopo pochi minuti del secondo tempo vengono giù le madonne per una punizione alla Del Piero che si infila senza pietà. Anche qui, senza capire bene. Senza essere andati sotto nel gioco. E ora tocca rifarlo da capo. E per tutte le squadre di medio-bassa classifica, sfidare il Lebowski è comprensibilmente stimolante, c’è la voglia di fare l’impresa, in questo caso anche di cercare il nervosismo. Sia chiaro, ci sta. Ci piacciono i match accesi. Certo i tre espulsi, due per noi uno per loro, non aiutano. Ma quando, in 9, sembra ormai buono anche il punticino, un arbitro fino ad allora abbastanza preso di mira indica il dischetto. Non manca molto, ci sta girando benissimo. Il tiro è bello, pulito, appena troppo. Palo e torna indietro, qualcuno la butta dentro, ci si lancia contro la rete. L’arbitro annulla. Incredulità dei più. Altri spiegano che se l’ha ripresa lo stesso che ha tirato non vale. Effettivamente, pare l’abbia ripresa lo stesso Montuschi. Si riprende a cantare. Che cazzo però. Questi sono anche in superiorità numerica e ci provano, palloni in mezzo, brividi. L’ennesimo pallone in mezzo sbatte su una mano. Potrebbe non darlo. Qualcuno direbbe che ha un bidone dell’immondizia al posto del cuore. Il rigore è fiscale ma ci può stare. Lo fischia. Manca pochissimo. La parabola centrale del cucchiaio che si alza dal dischetto ti dà il tempo di pensare a tantissime cose, vedere Tarchi che si tuffa apre le porte alla disperazione. Da dietro la testa di quello davanti sbuca un avambraccio con un guanto. Smanaccia il pallone. Quello che viene dopo non è propriamente un’esultanza. È più uno sfogo collettivo, liberatorio e inevitabilmente irruento. Costerà alcuni euro di multa, ma va bene. C’è ancora tempo per due occasioni enormi per Vargas, salvate miracolosamente la prima da un difensore in spaccata, la seconda da un volo del portiere. Le conseguenze di un gol in quel momento sarebbero davvero state difficili da calcolare. Finisce 2-2, ma l’Incisa viene fuori che ha pareggiato e quindi dopo tutto questo dramma sportivo, alla fine dei conti non ci sono grossi problemi.
Tocca alla Rondinella, l’ex seconda squadra di Firenze con un glorioso passato in Serie C, ora con il nome ufficiale di Ponte Rondinella Marzocco. Buona squadra, sempre nella zona medio-alta della classifica, e poi la sfida col Lebowski ha fascino. Non la regaleranno. Il Lebowski però gioca meglio che nelle ultime uscite, si gioca a senso unico e si va in vantaggio con il “classico” gol di Montuschi, ovvero un tiro dai 20-25 metri, forte ma dotato di effetto, che si accomoda sotto l’incrocio. Per gradire. L’inerzia della partita direbbe che se ne potrebbero fare altri, ma la trama del dramma ne perderebbe irrimediabilmente. Dopo qualche occasione sbagliata dal Lebowski, i biancorossi nella prima metà del secondo tempo prendono coraggio, e a un certo punto, senza nemmeno bussare mai in modo serio, trovano un uomo smarcato sul secondo palo che si tuffa di testa e gonfia la rete. Ci risiamo. Da capo. Stavolta parte un assedio medievale, anche se ai grigioneri mancano molti titolari a causa della strage di squalifiche prese all’Affrico. L’urlo si strozza in gola più di una volta, ma si affaccia anche il pensiero che è difficile che vada ancora bene come l’altra volta. E invece va uguale, forse 2-3 minuti prima. Un gol sporco, strappato. Un tiro-cross destinato diversi metri a lato che incontra il piede di Beppe Sassanelli, che può ripetere in una volta sola tutte le esultanze della storia del calcio. Una cosa c’è da dirla. Queste due partite in casa il Lebowski non le ha giocate bene, specie la prima. Tanta pressione, avversari determinati, difficile giocare in modo brillante. Molte squadre di queste categorie probabilmente questi 1-1 se li sarebbero tenuti, sperando in qualche aiuto dagli altri campi. Ma pensare che spingere una palla in rete ti farà correre come se fossi Tardelli o Manolas, sotto una gradinata che ti frana addosso impazzita di gioia, ti dà uno scarto. Ti fa lanciare sul pallone perso, ti fa strappare secondi di recupero. Queste due vittorie forse si può dire davvero che siano state conquistate dal Lebowski nel suo complesso. Comunque, pochi discorsi, Incisa ha vinto, domenica si va da loro. Se vinciamo è fatta. Se pareggiamo va bene. Se perdiamo, è la fine.
La settimana che trascorre è una di quelle in cui chi tifa una squadra vive in una strana bolla, la maggior parte della gente per strada continua a vivere la sua vita normalmente e la cosa appare se non impossibile almeno strana, quasi fastidiosa. Domenica 22 aprile c’è bisogno di incontrare prima possibile dei propri simili. Le partite ora si giocano alle 16, ma Incisa è una vera trasferta, da fare in treno. Pranzo al “cippi”, poi il lungo e macchinoso percorso che può portare almeno un centinaio di persone a muoversi all’unisono verso la vicina stazione di Rovezzano. Un’oretta per fare tipo 3 chilometri, da manuale. Ad ingannare l’attesa del treno aiuta un vicino bar originariamente chiuso che, dimostrando un discreto senso degli affari, apre dopo una breve trattativa e viene ampiamente ricompensato. Il corteo che arriva all’impianto di Incisa trova un clima oltre le aspettative. A conti fatti, la tifoseria grigionera, tra quelli in treno e le tantissime macchine, si attesta almeno sulle 300 persone. Ce lo vedete un bambino della scuola calcio che si perde una giornata del genere? La giornata è propizia anche per gli occasionali. Insomma, ci sono tutti. Incisa dal canto suo non sfigura, c’è tanta gente a vedere la partita, anche una decina di ragazzetti molto giovani che provano a fare un po’ di tifo. Senza dubbio una realtà solida e seria. Il risultato è una tribuna stracolma, potresti spacciarla per una foto da un campo di Serie D in occasione di una partita di cartello. Unica nota stonata le condizioni del campo. La partita è un dejavu dell’andata, dall’inizio alla fine. Primo tempo senza mezzo tiro in porta, come se tutte e due le squadre volessero concentrare la partita vera in meno tempo. In una logica un po’ da duello western, dove si aspetta preferibilmente che muova prima l’avversario, per poi provare a freddarlo. Anche perché i big match come questi spesso si risolvono con un solo colpo. E come all’andata, nel secondo tempo il Lebowski scopre le carte e ci prova. Vedere una palla che torna indietro verso il dischetto e Vargas che va a colpo sicuro fa caricare l’urlo. Bravissimo il portiere a toglierla dall’angolino basso. Bravo ancora su una punizione dal limite di Montuschi. La partita è davvero difficile, adesso è vera battaglia, i ragazzi stanno dando l’anima. Arrivano anche i sudori freddi, quando dopo una serie di rimpalli in area parte una parabola che sembra scavalcare Tarchi, che si allunga e tocca sulla traversa. Altra mischia e palla che alla fine entra. Il fischio con braccio sollevato dell’arbitro è una sorta di defibrillatore collettivo. Arriva il novantesimo, ma ormai è chiaro che non può finire mai in modo normale. Un lancio profondo sorprende il loro centrale un po’ troppo avanti, lo scavalca. Vargas ha messo la quinta, nessuno tra lui e il portiere, entra in area un po’ defilato, sul vertice destro. Portiere a valanga. Col senno di poi, se tocca appena la palla e si lascia travolgere dal portiere, è rigore tutta la vita. Vargas invece tira, il pallonetto parte bene, ma poi, fotogramma dopo fotogramma, la traiettoria si mostra leggermente troppo alta. Provi a negarti l’evidenza per qualche istante, poi tocca arrendersi. I due si sono anche scontrati in modo durissimo, soprattutto il loro portiere inizialmente desta preoccupazione, poi in realtà genera nervosismo riprendendosi abbastanza in fretta e polemizzando qua e là. Fischio finale, è andata. Nei primi minuti, quelli degli ultimi cori e dei saluti alla squadra, sostanzialmente la sensazione è quella di star festeggiando. Piano piano però si rivelano i pensieri di molti: quell’ultima palla, ed era fatta. Così, è la quarta sofferenza di fila, e alle porte ce n’è un’altra, ma probabilmente altre due. Alla prossima arriva Dicomano. Sono forti, in realtà possono ancora vincere il campionato. È gente contro cui perdere è una possibilità, e perdere non si può. Arrivare a pari punti con l’Incisa vorrebbe dire giocarsi lo spareggio. E va bene che viviamo per queste emozioni e tutte queste cazzate, però lo spareggio anche no.
Inutile quindi ripetersi sul clima di attesa. Solo un fatto, ormai le settimane di passione sono tante, e i loro effetti si accumulano. Il bisogno di mettere fine a tutto e festeggiare diventa un fatto quasi fisico, gli spettri li si esorcizza con la compagnia, il cibo e l’alcol, ma sono ancora tutti lì. La giornata è afosa, nuvolosa e dal clima opprimente, proprio l’ideale per alleggerire il tutto. Con enorme calma, arrivano le 16. Stavolta ci si è anche attrezzati un po’ meglio, c’è chi fa partire il cronometro sul telefono al fischio d’inizio, e chi si è procurato fonti più affidabili del solito da Piandiscò, dove è impegnato l’Incisa. La partenza non è male, e in generale il primo tempo è di stampo grigionero, anche se due contropiedi da brividi, uno dei quali sventato da un salvataggio da campione di Murras, ricordano il valore dell’avversario. In ogni caso, ci siamo. Si attacca, i palloni arrivano, il loro portiere a volte è incerto. Nel primo tempo non si sblocca, e Incisa vince 1-0. In questo modo, diventa obbligatorio vincere l’ultima a San Clemente, che però non è ancora al sicuro dai playout. Il secondo tempo è veramente duro, le sensazioni non migliorano, anzi. Intanto, nel giro di pochi minuti, prima 1-1 e poi nuovo vantaggio dell’Incisa. Bisogna vincere. Ma la sensazione è che si potrebbe anche perdere, e un punto ti fa comunque rimanere padrone del tuo destino all’ultima giornata. Gli ultimi minuti sono tremendi, Dicomano ha poco o nulla da perdere e attacca, è più tranquilla, ha più piglio. Il novantesimo è passato da qualche minuto, quattro si scoprirà poi. E stavolta si aspetta il fischio finale con sentimenti contrastanti, in cui il sollievo trova sempre più spazio. Ma la palla adesso danza sul loro fondo campo fino a toccare la bandierina. Viene rimessa in mezzo, e respinta corta e morbida. Vargas arriva forte, ma davanti a lui si stanno chiudendo due uomini, a mo’ di porta automatica, uno da un lato uno dall’altro. L’incertezza, la paura di scontrarsi, di fare fallo, chi lo sa. Esitano. Vargas no, il rasoterra da pochi metri passa nella fessura tra le due porte, il portiere non ci può nemmeno provare. L’urlo è lungo. Potente, per carità, ma quello che impressiona stavolta è la durata. La rete di recinzione è presa d’assalto da tutta la squadra e la panchina, di fronte a loro un ammasso di corpi che abbandonano la propria forma, perdono la padronanza dei sensi e godono, senza ritegno. Come dopo ogni grandioso orgasmo, serve qualche minuto di standby ebete per ricominciare a mettere in ordine i pensieri. Non è ancora fatta, serve un punto a San Clemente, che non è ancora salvo. Ma ci sono anche delle buone notizie. Intanto, un punto basta anche a loro. E i loro rivali, staccati di tre punti, giocano a Incisa. Insomma, per andare male deve vincere Incisa, ma di conseguenza i nostri avversari sarebbero salvi, e non si vede bene perché dovrebbero impegnarsi in un’impresa a quel punto priva di senso per batterci. Però, tutto questo è comunque possibile. Altra settimana di passione.
La mente sa che è praticamente fatta, ma il cuore e lo stomaco, giustamente, non si fidano. Arrivati a San Clemente però è difficile restare tesi, e non c’entrano niente pensieri maliziosi sulla volontà di non farsi male. Quello che prende corpo va oltre una concezione così spicciola, perché è un’autentica festa popolare. Nei giorni precedenti ci sono stati dei sopralluoghi della società grigionera, perché l’impianto appariva troppo piccolo e fatiscente per ospitare un prevedibile esodo, ancora maggiore di quello di Incisa. I padroni di casa hanno mostrato ottimo spirito d’iniziativa e hanno fatto tutto il possibile, sistemando il pendio a fianco alla tribuna dove hanno trovato posto centinaia di persone in più di quelle contenute dalla gradinata di ferro, ampliando il piccolo bar con appositi gazebi con panini e birre alla spina, mettendo a disposizione un vero e proprio staff con addosso i colori della società e abbassando il prezzo del biglietto a 3 euro, rispetto ai 5 che si pagano ovunque. Praticamente, la festa del Patrono trasportata sul campo di calcio. Chiaro che in queste categorie i soldi sono pochi, e quindi in tutto questo c’è anche un, giustissimo, ritorno economico. Di fatto, l’incasso di una partita così è oro. Ma lo spirito che si respira non si ferma a questo. Semplicemente, vivere una giornata come questa è bello, non serve altro, e gli sguardi e le parole dei locali lo confermano meglio di ogni altra cosa. Sono in molti a vedere la partita, del resto la loro squadra si deve salvare, ma può farlo assistendo a uno spettacolo che potrebbe anche non ricapitare più. Una collinetta strapiena di gente, più volte accesa da torce e fumogeni e costantemente accompagnata dal tifo, assiste a una partita che in effetti non riserva sorprese. Poco prima dell’intervallo Vargas pesca un gol pazzesco, che a una prima impressione sembra il classico cross sbagliato che finisce all’incrocio, ma andando poi a rivedere gli highlights resta il dubbio che invece sia stato un colpo di genio. La festa continua, tutto sommato non troppo condizionata dal gol. All’inizio della ripresa San Clemente attacca un po’ di più e trova il pareggio, dopo di che è solo, finalmente, tripudio. Che dura il secondo tempo, il dopopartita coi giocatori e il mister che salgono in curva, il ritorno a Firenze e il saluto a chi non c’è più, e l’arrivo della squadra nel proprio stadio, di sera, con ancora centinaia di tifosi ad aspettarla, e a festeggiare ancora. Tutte cose che appartengono a chi c’era, e in particolare a chi c’è sempre stato. Altro non c’è da aggiungere. Il Lebowski ha vinto.
Matthias Moretti