Giusto il tempo di metabolizzare la suggestione collettiva di un Davide finalmente vittorioso contro Golia, che portava con sé, almeno nella visione più oltranzista, anche un portato escatologico, ed è arrivata la fine di questa stagione calcistica che non ci ha riservato nessuna particolare sorpresa: i più potenti e anche più arroganti vincono (con aiuti o meno, lo lasciamo giudicare ai moviolisti di professione), chi perde si lamenta con gli altri piuttosto che fare il mea culpa.
Anzi, al contrario questa stagione ha evidenziato per l’ennesima volta, qualora ce ne fosse ulteriormente bisogno, gli splendori e le miserie del calcio nostrano, dei suoi interpreti e dei suoi amanti e il perché, in un modo o in un altro, certi equilibri restano ancora cristallizzati e lontani dall’essere superati, basti vedere i toni apologetici di quest’ultimo weekend. D’altronde si sa, noi italiani siamo veramente bravi a santificare persone senza merito, quasi come lo siamo nelle riabilitazioni postume, ma questo è un altro discorso…
Posto che ci sono centinaia di siti e pagine che stanno commentando senza soluzione di continuità quanto accaduto in queste ultime settimane, di fronte all’ennesima, infinita e inevitabile coda di polemiche, in cui pur non volendoci affatto entrare, non possiamo che constatare una cosa: che la presunta upper class, tutta quanta, del movimento calcistico italiano in neanche un mese e mezzo ha dimostrato di non saper né vincere e né perdere, tra chi festeggia scudetti immaginari in solitario e chi, dopo aver lamentato di aver subito la sudditanza psicologica degli arbitri all’estero, con reazioni imbarazzanti per tutto il movimento calcistico italiano, non ammette repliche neanche di fronte a situazioni più o meno dubbie dimostrando di non avere ben chiaro il senso della misura e del pudore anche nelle dichiarazioni rilasciate.
Nonostante l’ampia gamma di quelle tra cui scegliere, praticamente una sorgente inesauribile di perle rare (anche perché forse sono le uniche cose di un certo interesse riportate da una stampa ridotta a inventare “casi” dal nulla), quelle che ci hanno maggiormente colpito, paradossalmente, sono quelle tra le più innocue, in cui l’allenatore più titolato del nostro campionato scherniva con boria chi provava a fare una disamina tattica parlando di schemi, dicendo la sua (in maniera anche coerente visto il suo impianto di gioco) e cioè che il segreto per vincere nel calcio non risiede nell’organizzazione, nel collettivo o anche nella ripetizione maniacale degli schemi o nei dettagli. No, basta dare la palla ai campioni che qualcosa succederà; ergo se hai soldi per permetterteli vinci, altrimenti puoi inventarti quello che vuoi, ma non vincerai e di conseguenza fallirai, perché gli schemi, la tattica, il bel gioco, il divertimento non contano poi un granché.
Ecco, senza neanche dover entrare nel campo della dietrologia, della coerenza a targhe alterne, delle moviole infinite e di quelle polemiche serrate di una violenza verbale tale non solo da giustificare, ma talvolta, la base naturale se non il complemento di quella che accade realmente fuori dai nostri stadi, queste dichiarazioni sanciscono il momento di crisi profonda del nostro calcio e la narrazione tossica che lo sta divorando dall’interno e i dati, in questo caso, sono inequivocabili.
Hanno ripetuto per anni il mantra di quanto per arrivare a certe vittorie fosse necessario lo stadio di proprietà e poi, a parte la Juventus (che comunque mai come quest’anno ha visto messo in discussione il suo dominio…), le altre due squadre che hanno un impianto di proprietà hanno vissuto stagioni deludenti come il Sassuolo, se non addirittura la peggiore degli ultimi vent’anni come l’Udinese. Ci hanno raccontato di quanto fosse importante aprirsi agli investitori esteri per risollevare club in difficoltà, eppure, tanto per fare i primi esempi che ci vengono in mente, il Milan e il Bologna hanno vissuto due campionati, per usare un eufemismo, anonimi, e l’Inter ha raggiunto il proprio obiettivo in extremis e per circostanze fortuite. Per non parlare invece della Ternana che si è vista rilevare e sfigurare da Unicusano la scorsa estate con la promessa di raggiungere nuove vette e che ha chiuso il campionato di Serie B all’ultimo posto.
Probabilmente sarà una semplice coincidenza, o forse no, ma proprio nella stagione in cui l’industria calcio raschia il fondo del barile, dalla mancata qualificazione della nazionale ai Mondiali (già perché anche se i media sportivi nostrani fanno finta di niente tra tre settimane inizieranno i Mondiali…), ai risultati sicuramente deludenti del contingente italiano nelle competizioni europee (fatta salva l’impresa tutta di agonismo della Roma), con tanto di polemiche sterili per corollario fino alle dichiarazioni dei presidenti di alcuni dei principali club che dimostrano coma certe piazze siano ostaggio dei capricci di magnati del tutto estranei al calcio e al valore della squadra per la comunità di riferimento, per tutto quello che non procuri dividendi e che vedono i tifosi come nient’altro che consumatori.
Un discorso, quello della decadenza, che senza timore di essere smentiti potrebbe essere sicuramente allargato anche ad altri sport, basti vedere la squallida vicenda che ha impedito all’asso della nazionale di pallavolo Ivan Zaytsev di partecipare agli ultimi campionati europei per una questione di sponsor tecnico sulle scarpette, all’abbonamento della nazionale di rugby ai “cucchiai di legno” del Sei Nazioni, e i risultati tutt’altro che entusiasmanti della nazionale di basket.
Ma a far da clamoroso contraltare, ci troviamo di fronte a quella che probabilmente è la stagione più esaltante della storia per il calcio popolare, che può festeggiare molteplici promozioni e scommesse vinte: da Napoli (Lokomotiv Flegrea e AfroNapoli United) a Firenze (Centro Storico Lebowski), da Palermo a Teramo passando per Bari e Fasano è stata una stagione costellata di trionfi. Il calcio figlio del popolo, che nasce dal basso è ormai diventato una realtà da tenere in conto e non soltanto per eventuali operazioni simpatia da parte dei media nazionali, ma quale modello alternativo di calcio, lontano dai veleni e dalla cultura del sospetto che alberga in quello mainstream. D’altro canto è ciò che auspichiamo anche in altri terreni delle nostre esistenze: di fronte ai fallimenti delle ricette dall’alto e a un futuro tetro, l’unico antidoto può essere soltanto la riappropriazione attraverso il protagonismo popolare e diffuso che parta con un paradigma radicalmente diverso.
Ecco che, proprio per questo, piuttosto che incorrere nell’errore madornale (fatto già in altri contesti…) di arroccarsi dietro la superiorità morale, questo è il momento di rilanciare e giocare il tutto per tutto, per diventare un centro di gravità in grado di attrarre a sé chi gradualmente si sente escluso dai riti collettivi del calcio così come li conosciamo, ma che allo stesso tempo non si vuole arrendere al destino che lo vorrebbe come un manichino all’interno di un teatro, anche perché con l’approdo in categorie più visibili e più impegnative, aumenteranno anche le sfide e fisiologicamente le difficoltà, pertanto sarebbe opportuno cominciare a organizzarsi e diventare un vero e proprio fenomeno nazionale, laddove possibile attraverso incontri, ma anche solo con l’adozione di codici condivisi per non farsi trovare impreparati nei momenti topici.
Noi della redazione, nel nostro piccolo e con tutti i limiti accentuati dalle nostre condizioni di precari, continueremo a mettere a diposizione una piattaforma per il confronto costante tra tutte le varie realtà per agevolarne la crescita, ma consapevoli che i veri protagonisti sono i calciatori, i dirigenti e i tifosi che hanno infiammato i nostri week end. A tutti loro va il nostro grazie e la promessa per un impegno sempre crescente in nome dello sport popolare!
La redazione