Con l’imminente arrivo dei Mondiali di calcio, soprattutto per chi, come noi calciofili di tutta la penisola, sarà relegato al ruolo di “spettatore” non interessato, le analisi sulle implicazioni extra-agonistiche del calcio internazionale si sprecano. Infatti, tra un ricorso a quelle categorie che ormai abbiamo perfettamente metabolizzato (dal “soft power” allo “sport washing”) e l’altro, anche attraverso queste pagine è stato più volte sostenuto il concetto che l’acquisizione di legittimità di uno stato o del suo nuovo protagonismo sullo scacchiere politico passi inevitabilmente anche dal pianeta calcio.
Allo stesso tempo, in maniera perfettamente speculare, il calcio può diventare anche il veicolo per far conoscere e per rilanciare le velleità indipendentiste sparse qua e là per il pianeta; è proprio in quest’ottica che sono nati i mondiali per le nazionali degli stati non riconosciuti dei quali si sta disputando in questi giorni la terza edizione.
L’onore e l’onere dell’organizzazione questa volta è toccato alla Barawa (al proprio debutto nella CONIFA), una città portuale del sud della Somalia che conta circa 30.000 abitanti oltre a una vasta diaspora che ha Londra come punto di riferimento, quasi una seconda città d’adozione. Proprio perciò, una volta preso atto che il paese del Corno d’Africa non garantiva la necessarie sicurezze, la capitale britannica è stata designata come sede del Mondiale, anche perché oltre al caso appena citato, Londra è la capitale morale di tantissime diaspore del nostro pianeta. Infatti, a questa edizione parteciperanno sedici squadre suddivise in quattro gironi “all’italiana”: sei squadre europee, cinque asiatiche, tre africane, una proveniente dal Nord America e una dall’Oceania che per arrivare fino ai gironi finali hanno dovuto superare delle fasi eliminatorie, infatti sono ben quarantasette le federazioni incluse da questo network.
Questa competizione è organizzata dalla CONIFA (Confederation of Independent Football Association), una sorta di federazione parallela alla FIFA nata nel 2013 con sede in Svezia, più precisamente a Luleå e che raccoglie, oltre alle federazioni calcistiche degli stati non riconosciuti, anche quelle delle minoranze etniche e quelle di stati non affiliati alla stessa FIFA (fra le squadre affiliate c’è anche una rappresentanza Rohingya e una Rom). A ben vedere, per lo spirito a dir poco spartano, per l’attenzione mediatica con relativo giro (estremamente ridotto) di sponsorizzazioni e per la figura degli atleti che condivideranno tutti o quasi il medesimo ostello, sembrerebbe quasi una sorta di “Anti-Mondiale”, anche perché la FIFA vieta ai suoi affiliati di sfidare queste rappresentative (e forse è anche per questo che all’appello mancano ospiti “illustri”, Catalogna e Paese Basco su tutti).
Infatti, i giocatori sono nella stragrande maggioranza semi-professionisti che giocano nelle categorie minori dei grandi campionati europei, anche se in casi come la rappresentativa tibetana nemmeno in quelle: per loro non c’è bisogno che siano “etnicamente” di quella nazionale, ma basta solo viverci da qualche anno e condividere i valori della loro nuova patria; essi alloggeranno quasi tutti nel medesimo ostello, ben lontano dagli standard delle cittadelle dei ritiri-mondiale e, pur disputando questo torneo nella capitale del football, a loro saranno preclusi tutti i principali stadi delle big londinesi, nazionale inclusa, per ripiegare su impianti ben più modesti, ma che forse proprio per questi avranno qualche possibilità di essere riempiti degnamente. La finale, per esempio si disputerà allo stadio Queen Elizabeth II di Enfield. Come accennavamo precedentemente, sono pochissimi gli sponsor per quella che il presidente della CONIFA, Per-Anders Blind, ha definito “un’esperienza di filantropia senza fini di lucro”.
Probabilmente a parte la visione romantica del presidente, a gravare su questa scelta sono stati principalmente gli stati nazionali che non hanno piacere a vedere quelli che reputano pezzi del loro territorio poter usare vetrine simili per propagandare i loro messaggi, nello specifico, soprattutto la Cina ha ostacolato ripetutamente la partecipazione del Tibet anche col ricatto (mai accolto dai vertici della CONIFA) di ingenti finanziamenti qualora la terra dei monaci fosse stata estromessa; infatti l’unico sponsor della kermesse è l’agenzia di scommesse Paddy Power che mette in vendita anche i biglietti per le partite (per ogni tagliando, l’acquirente potrà destinare una sterlina del costo al sostegno di una federazione a scelta tra le partecipanti).
In ogni caso, nonostante sul sito della CONIFA si possa leggere che questa ”mira a costruire ponti tra i popoli, le nazioni, le minoranze e le regioni isolate in tutto il mondo attraverso l'amicizia, la cultura di giocare a calcio e lavora per lo sviluppo dei membri affiliati e si impegna al gioco pulito e lo sradicamento del razzismo”, sarebbe fuorviante pensare che essa abbia anche un ruolo prettamente politico o anche solo sociale per propugnare le battaglie politiche dei suoi membri, bensì questa si limita “solo” a promuovere il calcio e ad organizzare dei tornei, dando voce a queste nazioni che racchiudono in totale oltre 300 milioni di persone e che altrimenti avrebbero poche opportunità di essere ascoltate.
E, a ben vedere, non potrebbe essere altrimenti, poiché anche per chi ha fatto delle infatuazioni a prescindere per indipendenze e autonomie nazionali (altrui) un tratto imprescindibile della propria identità politica, almeno nei primi approcci come verosimilmente lo è stato la gran parte della nostra tribù, sarebbe veramente difficile trovare un filo conduttore.
All’interno ce n’è infatti per tutti i gusti: da cause che hanno diviso come quelle del Tibet o come quella dei campioni in carica dell’Abhkazia, a rivendicazioni di stampo “hipsteriano” come Cascadia (lo stato che si snoderebbe tra gli Stati Uniti del Nord-Ovest e il Canada occidentale includendo città come Portland, Vancouver e Seattle), ci sono anche istanze indipendentiste quasi ancestrali, come quelle del Punjab (finalisti dell’ultima edizione), la regione che si estende tra India e Pakistan, o il Tamil. Esperimenti a cui tutti guardano con simpatia come la selezione dei calciatori delle due Coree emigrati in Giappone, vale a dire quei coreani fuggiti dalla guerra di Corea e stabilitisi in Giappone, che pur restando in quel paese hanno perso la nazionalità giapponese. Si stima che ci siano circa 500.000 di questi casi in Giappone, dove vivono tra di loro, studiando in scuole specifiche. Ci sono ferite ancore da rimarginare, come il caso della nazionale della Repubblica turca di Cipro (che per uno scherzo del destino disputa le sue partite nello stadio dello stesso quartiere del console della parte greca dell’isola…) oppure, di contro, l’Armenia occidentale; ci sono posti sperduti come Tuvalu nel profondo Pacifico tra Nuova Caledonia e Tahiti e c’è anche chi per poterci arrivare ha avviato una campagna di crowdfunding come il Metabeleland (a cui tra l’altro la CONIFA ha dovuto inviare un allenatore designato di creare ex-novo la selezione), ci sono situazioni tutt’ora off-limits come la Kabilya che per paura di ritorsioni del governo algerino ha dovuto tenere nascosta la lista dei propri calciatori e situazioni che potrebbero sembrare quasi paradossali come le due selezioni ungheresi: la Transkarpatia (la minoranza ungherese nell’Ungheria sudoccidentale) e i Paesi Siculi che fanno riferimento alla Transilvania e non tragga in inganno il nome, perché l’unica selezione italiana è proprio la Padania.
Sono lontani i tempi in cui il team manager era Renzo Bossi, il Trota, il figlio del senatùr, infatti anche per via della nuova vocazione nazionale del Carroccio, la selezione, per bocca dei suoi atleti, è stata un po’ abbandonata a se stessa (e vista la fine che ha fatto il resto del corollario della grandeur bossiana, dalla radio al quotidiano, entrambi falliti, forse è meglio così!), a simboleggiare il distacco, anche il cambio dei colori sociali dal bianco-verde di chiara ispirazione leghista a una maglietta bianca con croce di San Giorgio e la scritta Padania in rilievo e come ulteriore riprova, a dispetto del diktat del nuovo leader leghista “Prima gli italiani” [ricchi n.d.r.], la stella della selezione è il lituano ex Brescia e Lazio Stankevicius, un paradosso che potrebbe diventare beffa se la selezione che nel momento in cui terminiamo di scrivere quest’articolo è in semifinale, dovesse laurearsi campione del mondo, proprio nell’anno in cui l’Italia non ha centrato nemmeno la qualificazione per la fase finale, ma forse proprio il paradosso e l’ironia sono le caratteristiche che racchiudono meglio questo mondiale!
Giuseppe Ranieri