Allora sia chiaro, come realtà sportiva non le si può dire niente: un paese che ha all’incirca gli abitanti di Firenze (poco più di 300mila) manda la squadra ai Mondiali, e anche una squadra competitiva, e non potrebbe essere altrimenti, perché se ti qualifichi da europea, conquistarsi i Mondiali sul campo non è facile. Panama può anche capitare per caso, l’Islanda no. Una cultura sportiva diffusissima a livello sociale, di grande accessibilità a tutti, fa sì che a dispetto del bacino di atleti molto ristretto questa isoletta mandi ai Mondiali una squadra capace di pareggiare con l’Argentina, difendendosi in modo arcigno e dignitoso. A seguire la nazionale nella sua prima (ed è sempre comunque possibile che rimanga l’unica) partecipazione mondiale, circa 40mila persone, più di un abitante su 10, con l’isola semi-spopolata. Per loro, è senza dubbio una cosa bellissima ed emozionante.
Il problema arriva poi. L’operazione-simpatia, maledetta lei. La favola, che viene tirata fuori dal giornalismo mainstream e dalla galassia di blog e pagine di calcio “simpatiche” (come un calcio nei coglioni) ogni volta che esce fuori una squadra a sorpresa, possibilmente che sia simpatica in modo del tutto innocuo, come il compagno di classe scemo che però gli devi voler bene. Quella retorica dell’uno su mille che ce la fa che è una perfetta stampella dello status quo. Il Leicester su tutti, con tanto di gente che si è messa a “tifarlo” (!), cioè non solo a seguirne le vicende con legittima curiosità calciofila, ma a perdere completamente il senno e la dignità.
L’Islanda è sì una piccola isola, ma ha tutte le carte in regola per essere il cucciolo preferito del sistema in cui viviamo. Ricca ed educata, bianca e civile. Giocatori dai piedi ruvidi ma tanto generosi e, sia mai il contrario, correttissimi. Una tifoseria a suo modo calda e partecipe, ma anch’essa civile e corretta “come nelle favole”. Lascia davvero basiti il modo in cui viene trattato l’applauso ritmato che fanno a fine partita insieme ai giocatori: ogni fine settimana, nel mondo, si assiste ad almeno un migliaio di scene più spettacolari ed emozionanti negli stadi, ma stando agli adulatori gli islandesi si sono inventati la trovata del decennio. Chi scrive non può sapere bene quanto l’Islanda stessa abbia responsabilità in tutto ciò, se questo codazzo fastidioso di simpatizzanti fa in qualche modo tutto da solo, oppure se è la nazionale islandese stessa a ricercare questo ruolo. Forse un mix ben dosato di entrambi gli aspetti.
Resta il fatto che a noi i “buoni” non sono mai piaciuti. Non siamo neanche noi immuni alle simpatie e alle realtà immaginifiche, anzi. Tutto il contrario, questo non vuole certo essere un inno alla freddezza e alla disillusione. Solo che il nostro immaginario si nutre di storie meno carine e favolose. Ci esalta di più il lato cattivo, la rivincita dei dannati della terra, anche quando non ci può essere un vero sostegno politico, ma solo un immaginario di rivincita che si materializza. Rimanendo in ambito di Mondiali, l’Iran che batte gli USA nel ’98. La mano de Dios che vendica le Malvine. Venendo a oggi, la Serbia, a cui chi scrive augura di arrivare più avanti possibile. La faccia sporca, gli occhi vivi. E fanculo ai buoni.
Matthias Moretti