Anche in questa edizione dei Mondiali, la solita schiera degli "yugo-nostalgici", della quale rivendichiamo apertamente di far parte, si è dilettata a immaginare la formazione che potrebbe avere oggi la Yugoslavia, il Brasile d'Europa, se fosse ancora unita. Come quasi sempre, sarebbe tra le grandi favorite per la vittoria finale. Ma come ben sappiamo, questo è uno sterile volo di fantasia, perché la Yugoslavia si è dissolta, o meglio disintegrata in mille pezzi, con tracce di sangue che non accennano ad andarsene. Serbia e Croazia stanno partecipando, anche con formazioni di tutto rispetto. È probabile che torneremo ancora a parlarne. Per adesso vi proponiamo la traduzione di questo articolo, che racconta un processo storico che mette tanta tristezza, ma che allo stesso tempo è interessante e utile conoscere: la trasformazione da socialismo multietnico a nazionalismo sciovinista nella mentalità degli sportivi, che sono parte importante della società balcanica.
Quando la ex-Yugoslavia iniziò a dissolversi durante le guerre balcaniche degli anni '90, molti atleti importanti iniziarono ad abbracciare apertamente il nazionalismo.
Si è trattato di un grande voltafaccia per le star sportive yugoslave, visto il fatto che gli sportivi antifascisti che avevano preso posizione contro il fascismo supportato dai tedeschi prima e durante la Seconda Guerra Mondiale erano prima adorati dagli yugoslavi.
Uno di questi sportivi apertamente antifascisti era Bozidar "Bosko" Petrovic. A metà degli anni '30, Bosko giocava per lo Yugoslavia Football Club, ma gli giunse la voce che il Belgrado Sports Club, BSK, stava per giocare un match in Francia. Immediatamente rescisse il suo contratto e si unì al BSK. Ma la stella nascente del calcio, che aveva anche giocato per la nazionale del Regno di Yugoslavia, non aveva in mente l'attività sportiva quando decise di andare in Francia nel dicembre del 1936.
La guerra civile spagnola era scoppiata nell'estate precedente e Petrovic era più che un semplice atleta, era visceralmente antifascista, oltre che addestrato pilota. Non appena arrivato a Parigi, disse addio ai suoi stupefatti nuovi compagni e fece ingresso in Spagna usando un passaporto falso sotto il nome di Fernando Garcia. Dopo che fu ucciso in battaglia l'anno successivo, l'immagine di Petrovic iniziò a essere usata nei manifesti per il reclutamento delle Brigate Internazionali, stando a quanto dice l'Associazione dei veterani di guerra della Serbia.
Petrovic fu uno dei tanti atleti yugoslavi che si impegnarono nella lotta contro la nascente estrema destra europea. Ma i loro successori nei paesi nati dopo la dissoluzione della Yugoslavia sembrano preferire le ideologie destrorse.
Nel 2013 il calciatore croato nato in Australia Josip "Joe" Simunic guidò circa 20.000 tifosi nel cantare l'inno del movimento fascista croato degli Ustascia, Za dom spremni (Pronti per la patria). Non è stato punito dal suo allenatore né dalla Federazione calcistica croata ed è soltanto stato criticato in modo isolato da alcune testate giornalistiche. L'appoggio a Simunic ha nettamente polarizzato il pubblico croato. La FIFA lo ha sospeso per 10 partite in modo da impedirgli di partecipare al Mondiale in Brasile del 2014. Un tribunale croato lo ha multato di 660 euro, ma più per aver causato disordini pubblici che per incitamento all'odio.
L'umore attuale nello sport croato è in netto contrasto con le storiche azioni dello sprinter Boris Hanzekovic, che rischiò la vita per aver supportato l'illegale movimento Partigiano antifascista a Zagabria dopo la presa del potere degli Ustascia, appoggiati dai Nazisti, nel 1941. Hanzekovic, che prima aveva rappresentato la squadra nazionale del Regno di Yugoslavia e deteneva svariati record, rifiutò di gareggiare per la squadra nazionale dello stato indipendente della Croazia, fantoccio nazista. Per questo motivo, e per i legami con i Partigiani, Hanzekovic fu arrestato e spedito nel campo di concentramento di Jasenovac nel 1944, dove fu colpito a morte durante un tentativo di evasione.
L'influenza dei presidenti
Il sociologo Bozidar Jaksic, già direttore dell'Istituto belgradese di Filosofia e Teoria Sociale, dice che la crescita del nazionalismo tra gli atleti non è stata solo influenzata dalla società circostante, ma anche dai leader delle società e delle associazioni sportive. "Ti puoi aspettare di tutto quando gente come Milorad Vucelic (presidente del Partizan) detiene il potere", ha detto Jasic a BIRN (Balkan Investigative Reporting Network).
Durante le guerre yugoslave degli anni '90 Vucelic era membro del Partito Socialista del Presidente Slobodan Milosevic e direttore generale della tv nazionale serba RTS, nota in quegli anni per disseminare propaganda guerrafondaia contro le altre nazioni. Nel 2012 il potere è stato occupato in Serbia dal Partito Progressista, derivazione dell'alleato ultranazionalista di Milosevic, il Partito Radicale Serbo. Questi hanno stabilito una coalizione con i Socialisti, governando la Serbia da allora in avanti. Durante il loro mandato Vucelic ha fatto stabilmente ritorno sulla scena pubblica, diventando nel 2016 presidente del Partizan, squadra di proprietà statale.
Il collegamento tra sport e politica negli stati ex yugoslavi è forte, con gruppi di hooligans che regolarmente causano incidenti basati sul nazionalismo. Alla fine degli anni '80 e all'inizio dei '90 il nazionalismo è diventato l'ideologia dominante di vari gruppi di tifosi, inclusi quelli dei principali club serbi e croati, Stella Rossa, Partizan, Dinamo Zagabria e Hajduk Spalato. Inoltre il nazionalismo si diffuse ugualmente tra gli atleti, cosa del tutto evidente durante la guerra in Bosnia Erzegovina tra il 1992 e il '95. Il noto criminale di guerra Veselin Vlahovic, pugile professionista prima della guerra, è stato condannato da un tribunale bosniaco a 42 anni di carcere per aver commesso numerosi crimini, inclusi omicidi, molteplici stupri, e tortura. Soprannominato "il mostro di Grbovica", Vlahovic uccise Goran Cengic, un ex giocatore di pallamano di Sarajevo membro della nazionale yugoslava, che aveva provato senza successo a salvare il vicino di casa bosniaco dall'essere ucciso proprio da Vlahovic nel 1992.
La Corte dell'Aia e i tribunali bosniaci hanno emesso oltre 10 verdetti di colpevolezza contro ex atleti professionisti per crimini di guerra, e le corti locali stanno ancora perseguendo numerosi calciatori e karateki accusati di aver picchiato e torturato civili e prigionieri di guerra, stando a quanto dice il sito Bosnapress.
La guerra ha avuto un impatto anche sulle società di calcio bosniache. Nella città di Mostar nel 1993 i croato-bosniaci "sfrattarono" la locale squadra del Velez, permettendo al club di etnia croata dello Zrinjski di sostituirla. I giocatori del Velez erano stati esplicitamente antifascisti nella Seconda Guerra Mondiale, settantasette giocatori e impiegati del club morirono in guerra e nove furono decorati con l'Ordine degli Eroi del Popolo di Yugoslavia. Nello stesso periodo il croato-bosniaco Zrinjski giocava nella prima serie del campionato dello Stato indipendente di Croazia alleato dei nazisti. Oggi i tifosi dello Zrinjski rimangono legati a posizioni politiche di estrema destra e in molti recentemente hanno reso omaggio al criminale di guerra Slobodan Praljak, che si è suicidato dopo che il verdetto di colpevolezza è stato confermato durante un'udienza di appello al Tribunale dell'Aia nel novembre 2017.
"Pressione ambientale"
Gli atleti con visioni politiche di destra sembrano rimanere a proprio agio nell'atmosfera post-guerre balcaniche degli anni '90. L'allenatore di basket ed ex capitano della nazionale serba Milan Gurovic ha un tatuaggio raffigurante Draza Mihailovic, leader nella Seconda Guerra Mondiale degli ultra-nazionalisti serbi detti Cetnici, cosa che lo ha portato ad essere bandito nel 2004 dal poter entrare in Croazia. I Cetnici erano un movimento nazionalista serbo che collaborò con i nazisti durante la guerra (definizione che taglia con l'accetta, in realtà i Cetnici erano schierati contro l'invasore tedesco e il suo alleato croato, ma essendo di destra avversavano anche i partigiani comunisti di Tito ed ebbero quindi una posizione sempre ambigua; ma più che con i nazisti collaboravano in primis con gli Alleati, inglesi su tutti. NdT), Mihailovic fu giustiziato nel 1946 dopo essere stato giudicato colpevole di collaborazionismo e crimini di guerra dalle nuove autorità yugoslave. Il verdetto è stato rovesciato dalla Corte Suprema di Belgrado nel 2015.
Un altro ex giocatore della nazionale di basket serba, Darko Milicic, un autoproclamato nazionalista che continua a sostenere di non odiare nessuno, esibisce i tatuaggi dei leader cetnici Nikola Kalabic e Momcilo Djujic. Nel 2013 Milicic ha partecipato a un evento organizzato dall'ultra-nazionalista Partito Radicale Serbo e ha espresso appoggio al suo leader, Vojislav Seselj, che era a quel tempo in carcere mentre sosteneva il processo al Tribunale dell'Aia con le accuse di aver commesso presumibilmente crimini di guerra, per i quali è stato successivamente assolto.
In ogni caso, non proprio tutti i principali atleti o ex atleti hanno promosso idee nazionaliste dagli anni '90 in poi. Il pugile medio-massimo croato Mate Parlov, medaglia d'oro alle Olimpiadi, considerato uno dei più grandi sportivi della storia yugoslava, diede la sua celebre opinione sul nazionalismo in un'intervista del 2004: "Come posso essere nazionalista se sono il campione del Mondo?". Sia come sia, nel mondo dello sport sono in molti a dire che gente che abbraccia una visione del mondo aperta come Parlov sia una ristretta minoranza, e che il clima generale scoraggia molti dal prendere posizione contro il nazionalismo di estrema destra.
L'ex calciatore serbo Ivan Ergic, la cui carriera si è sviluppata dal 1999 al 2011, dice che il "nazionalismo folcloristico" è presente sia tra i giocatori che tra i tifosi. "È un meccanismo per legare le persone tra loro attraverso l'euforia collettiva", ha detto a BIRN Ergic, che ha giocato per la nazionale serba ai Mondiali del 2006. Lui pensa che il nazionalismo tra i giocatori derivi generalmente da una carenza di coscienza politica, perché iniziano ad allenarsi a un'età molto giovane e rimangono chiusi in un'atmosfera di "conformismo". "Quando sei dentro questa situazione collettiva, c'è una certa pressione ambientale, ed è molto dura distinguersene in ogni senso", ha detto Ergic.
Alla domanda su cosa succederebbe oggi a un atleta con idee antifasciste, Ergic ha risposto che incontrerebbe "grossi problemi", perché "ogni forma di dissenso è complicata".
Il sociologo Jaksic ha detto che un giocatore del genere sarebbe trattato come il giocatore di basket Alen Omic, un bosniaco, cui è stato dato il "benvenuto" nella squadra di basket della Stella Rossa - parte della polisportiva della Stella Rossa - da tifosi del proprio stesso club che mostravano uno striscione con insulti etnici contro i bosniaci in un match contro il club greco dell'Olympiacos. "C'è da aspettarsi che ogni antifascista oggi verrebbe segnalato nel suo paese", ha detto Jaksic.
L'articolo è stato pubblicato sul giornale bisettimanale del BIRN "Belgrade Insight".
da balkaninsight.com
traduzione e introduzione a cura di Matthias Moretti