Per gli appassionati di calcio che abbiano più di 25 anni, sentire il nome Castel di Sangro genera un piacevole sussulto. Come dimenticare infatti quella squadra giallorossa che dal ’96 al ‘98 si affacciò per due stagioni in Serie B, e nel ’99 arriva agli ottavi di Coppa Italia con tanto di match di Coppa Italia contro l’Inter? Questo piccolo paese di confine tra Abruzzo e Molise, dotato da allora di un paradossale stadio da 8.000 posti per un totale di 6.000 abitanti, rappresenta oggi una delle realtà emergenti più interessanti nella galassia del calcio popolare.
Il Castel di Sangro Cep 1953 nasce nel 2012 riprendendo il nome della più vecchia squadra del paese, dato che la denominazione precedente non si poteva riutilizzare causa fallimento. Dopo quell’epoca gloriosa durata tutti gli anni ‘90, che sembra quasi avvolta in un alone di nebbia da fiaba nordica, iniziò infatti una dolorosa colata a picco: le retrocessioni prima in C1 e poi in C2, alla quale ci si riuscì ad aggrappare per qualche anno, e poi la deriva nelle serie dilettantistiche. Il tutto accompagnato da un progressivo disimpegno dello storico presidente Gravina, che non ha avuto sostituti in grado di tenere botta a livello economico e gestionale. Nel 2012 arriva il fallimento, e gli innamorati della maglia giallorossa si trovano a un bivio: arrendersi all’evidenza o prendere in mano la situazione, a costo di sembrare dei folli.
I giallorossi ripartono così dalla Seconda Categoria molisana: pur trovandosi in Abruzzo infatti il paese è a due passi da Isernia, e le trasferte in Molise sono molto più vicine di quelle nella propria regione. La Lega del Molise è stata ben felice di accoglierli, anche in virtù del nome e della prestigiosa storia recente. Si riparte da un manipolo di coraggiosi, che ricostruisce la squadra organizzandola sulle basi dell’azionariato popolare, rafforzato economicamente in questi sei anni da qualche piccolo sponsor locale. Il campo invece è messo a disposizione gratuitamente dal Comune, il che risulta molto importante per le casse societarie. Del resto a Castel di Sangro ci sono ben quattro campi sportivi, per adesso non si utilizza lo stadio, riservato alle attività della FIGC, in particolare ai settori giovanili, anche con iniziative e stage di alto livello su scala nazionale.
La ricostruzione di una squadra competitiva è passata attraverso quattro stagioni a sgomitare in Seconda Categoria con risultati crescenti, poi la svolta con la doppia promozione conseguita negli ultimi due anni, che ha portato con sé anche un ritorno di entusiasmo e un risveglio della tifoseria, composta oggi da una nuova generazione di ragazzi che ai tempi della B erano, al massimo, all’asilo. Parlando con qualche membro dello staff tecnico e dirigenziale emerge chiaramente l’orgoglio per quello che si è fatto, per una rinascita dalle ceneri che non ha nulla da invidiare a quella della mitologica Fenice. Ma ben presto emergono anche le difficoltà, che coincidono in gran parte con quelle di tutti i progetti di calcio popolare: la sostenibilità economica innanzitutto, che si riesce a mantenere fino al livello ora raggiunto, la Promozione, ma che se si guarda ancora più in alto sembra lasciar intravedere soltanto nubi nere. Tutte le concorrenti, anche quelle di paesi ancor più piccoli, hanno molte più risorse a disposizione, pagano stipendi, fanno mercato. Sarebbe necessario estendere in modo molto più ampio l’azionariato popolare, ma l’entusiasmo delle persone è vincolato a una spirale: se la squadra vince la seguo e la sostengo, altrimenti mi pesa anche fare 15 euro di tessera. Una complicazione in più è legata proprio alla specificità della storia del Castel di Sangro, e le persone con cui parliamo la sottolineano spesso: i giallorossi sono stati in B, e comunque sono stati 16 anni di fila nel calcio professionistico, e “la gente” ormai ha assunto quello come il livello a cui la propria squadra deve puntare. Di conseguenza è naturale che la Promozione, che per molti versi è una conquista entusiasmante, per chi la pensa così sia ancora ben lontana da pretese che a ben pensarci sembrano veramente esose.
Una spinta fondamentale potrebbe venire da una novità di quest’anno: il riallacciamento di una continuità tra scuole calcio, settori giovanili e prima squadra, che in questi anni non c’era stata. In sostanza si è arrivati finalmente al riconoscimento della Cep come la vera squadra della città, che può raccogliere degnamente il testimone della gloria giallorossa. Oltretutto in Promozione è obbligatorio avere una Juniores. In questi anni scuole calcio e settori giovanili sono stati portati avanti da un’altra società del paese, la Pro Calcio Junior, mentre con l’azionariato popolare pian piano si ricostruiva la prima squadra. Da quest’anno Allievi e Juniores vestiranno la maglia giallorossa, mentre le fasce d’età inferiori resteranno con la vecchia denominazione, ma comunque in una relazione di totale continuità. Questo negli anni può rappresentare il vero salto di qualità, può consentire di costruire una squadra forte anche senza un grande dispendio economico, e può garantire alle future generazioni di sentirsi legate in modo forte a una comunità. Un altro dei problemi che ci sono stati sottolineati è infatti quello dell’emigrazione giovanile, una questione a cui purtroppo al Centro-Sud nessuno sfugge.
Tutte queste cose ci vengono raccontate prima, durante e dopo la presentazione ufficiale della squadra. Ma come ci siamo finiti? E perché parlo al plurale? È presto detto: ospite d’onore della manifestazione è l’Asd Villa Gordiani, realtà romana di calcio popolare che ha appena concluso la sua prima stagione di attività, io semplicemente mi aggrego alla comitiva. La presentazione, gestita da un vero e proprio presentatore all’interno del Teatro Comunale, e interrotta a tratti dai cori di un drappello di ultras sistematisi sulla balconata, vede i saluti iniziali delle autorità: il sindaco, il presidente della Lega Calcio del Molise, lo storico presidente Gravina, attualmente presidente della Lega di Serie C, che con una certa umiltà fa i suoi auspici al nuovo Castel di Sangro e sottoscrive l’abbonamento (non può tesserarsi per incompatibilità con il ruolo). Si prosegue poi con il passaggio in rassegna di tutte le squadre, da quelle dei bambini, sottolineando di nuovo l’importanza di questa nuova sinergia tra scuola calcio e prima squadra, fino ai ragazzi che affronteranno il campionato di Promozione.
Infine è la volta del Villa Gordiani, che con la voce di tre suoi esponenti racconta brevemente la propria storia, con la lotta per la riapertura del campo, il lavoro in un quartiere popolare, l’intenzione di aprire in futuro una scuola calcio. Del resto l’intenzione degli organizzatori nell’invitarli era proprio quella: mostrare alla cittadinanza che il calcio popolare non è una follia di pochi visionari, ma è una forma organizzativa presente in molti angoli d’Italia, dai piccoli paesi ai quartieri delle metropoli, e può portare molti tipi di soddisfazioni. Si conclude affermando l’intenzione di mantenere e rafforzare un rapporto di amicizia nel tempo, anche con l’organizzazione di un’amichevole tra le due squadre non appena sarà possibile.
La sensazione che rimane dopo questa giornata è che l’autogestione e l’azionariato popolare abbiano molto da dire e da dare nelle migliaia di piccoli paesi della provincia italiana, dove il senso di comunità è forte, così come la passione per il calcio, e negli anni ci si può davvero stringere ai destini della squadra come se si fosse un unico organismo. Tutto ciò facendo i conti con mille problemi e difficoltà, specie in un paese che ha avuto una parentesi così gloriosa e fatica ad accontentarsi di qualcosa in meno. Ma la scommessa ha tutta la validità per essere portata avanti.
Matthias Moretti