La Strage di Genova: il crollo del ponte sull'autostrada metafora tragica della crisi della società italiana contemporanea, tra neofascismi al potere e la decadenza del calcio italiano.
Indomita Zena
Le lacrime d’agosto
Impregnano
Macerie
Madide
Di horror vacui incredulo e colpevole
L’asfalto dei ricordi dell’infanzia
Che
Conduceva al blu del cielo e mare
L’asfalto dei ricordi delle volte
Che tornavo per lottare fuori e dentro al Marassi
L’asfalto dei ricordi della lotta
Insanguinata di quel Luglio quando andammo per cambiare
L’asfalto dei ritorni in Alimonda che facevano
Indignare
Non c’è più
Come fotogramma ritoccato dal computer
Per imitare quel terrore
Oggi vero come il tempo che corrode
Il cemento di pilastri d’alabastro
Indomita Zena
Le lacrime d’agosto
Sono mie
Sono nostre
In un bar di Sampierdarena a Genova, quartiere operaio che ha ancora l'orgoglio di esserlo, nel pomeriggio di un plumbeo martedì di metà agosto in cui un ponte di cemento armato di un chilometro è caduto sopra le teste delle persone del quartiere trascinando con sé decine di automobili cariche di famiglie dirette al mare, giovani e lavoratori, camion e altri mezzi, si discute dell'opportunità di raccogliere fondi per aiutare le vittime e le loro famiglie. "E' il caso che lo facciamo?" chiede perplesso un ragazzo con i pantaloni mimetici e una T-Shirt nera con su scritto in giallo Gradinata Nord Genoa FC ad un altro che indossa una maglietta bianca con scritto Ultras Tito Doria "non sembrerà che vogliamo farci pubblicità su una tragedia così assurda?".
Negli stessi minuti, l'imbarazzante ministro italiano dell'Interno, il leghista/neofascista Matteo Salvini, twitta per dire che "in una giornata così triste, la notizia positiva" è che i migranti a bordo della nave Aquarius “sono sbarcati a Malta e non arriveranno in Italia” (sic!). Le persone del quartiere sono solidali, nei piccoli gesti. Sono composte. Anche le parole dei testimoni che raccontano di avere visto il ponte cadere non hanno nessuna retorica. Il contrario della bieca ondata di propaganda e strumentalizzazione politica fatta sulla strage da parte dei politici al governo e all'opposizione. I social media impazziscono ma nel quartiere operaio sotto al ponte nessuno ci fa caso. In un circolo al cui ingresso campeggia una bandiera anarchica listata a lutto, tre pensionati sono seduti a fianco di un televisore acceso su una tv all news che trasmette le immagini del ponte. Nei sottopancia, le parole della polemica. L'audio è abbassato e nessuno guarda.
Le case popolari dove vivono i lavoratori del porto, quelli dell'Ilva, dell'Ansaldi e delle altre fabbriche convivono con il manufatto di cemento armato da 51 anni. Glielo hanno letteralmente costruito sopra. A uno degli edifici hanno dovuto tagliare via un pezzo di tetto perché il ponte altrimenti non ci stava e un pilastro si appoggia al palazzo. Adesso però il ponte è pericolante e 450 persone non potranno rientrare in casa. Per sempre.
Due tronconi, due nastri d'asfalto sorretti da piloni dalle architetture ardite ma fragili, separati dal vuoto e dalle macerie. La fotografia di quel che resta del viadotto Morandi, a Genova, già vanto dell'ingegneria italiana del '900, è una metafora.
Il viadotto Morandi negli anni '60 fu il simbolo dello sviluppo industriale del cosiddetto Miracolo Italiano, quel Boom Economico meravigliosamente descritto dal grande cinema italiano degli anni '60 di Scola, Monicelli e Fellini, durato un quinquennio e di cui oggi rimangono gli imponenti serbatoi di petrolio aggrappati alla collina appena lì a fianco. Ora le macerie, cemento sbriciolato e pezzi di autostrada, sono talmente grandi che formano come degli enormi, nuovi edifici. Al centro del fiume, i resti afflosciati dei piloni. Sembrano le immagini dei ponti fatti saltare durante la guerra. Le persone guardano, scattano foto, telefonano, fanno video. "Speriamo ci sia qualcuno ancora vivo" mentre un vigile del fuoco si cala a terra sorretto da una fune trasportando una barella su cui, da lontano, si vede il bagliore d'oro delle coperte termiche.
All'ora dei Tg della sera arriva il presidente del Consiglio, in elicottero, dopo che per tutto il giorno avevano volato quelli dei soccorsi. Giungerà anche il ministro degli Interni, ma solo il giorno dei funerali di Stato: prima un selfie con i fans scatenati irregimentati dalla clacque di partito e aizzati dai contemporanei tweet di Rocco Casalino, poi digrignerà qualcosa davanti le telecamere spianate sull'inflessibilità della giustizia alla ricerca dei colpevoli, infine andrà a mangiare il pesce in Toscana.
Un ponte che crolla è l’espressione del fallimento per un architetto o un ingegnere ma anche del fallimento di una società. E il viadotto sul Polcevera dell’autostrada A10 era troppo audace. Il ponte crollato non è un ponte qualsiasi: il viadotto di Genova è uno dei principali progetti di Riccardo Morandi, assieme a Pier Luigi Nervi il più importante ingegnere italiano del Novecento. Se crolla un ponte di Morandi, crolla tutto: crolla una visione del lavoro, un’idea di innovazione e ricerca, crolla un’estetica e quindi anche un’etica. Se crolla un ponte di Morandi, a essere chiamata in causa è tutta la cultura architettonica e ingegneristica italiana dell’ultimo secolo, ma anche la filosofia capitalistica che l'ha edificata. Nel caso del viadotto di Genova, Morandi ha esplicitamente provato a costruire, oltre che un ponte, un monumento, un simbolo. Il viadotto viene progettato nel 1962 e costruito nel 1963-67 e nasce in un contesto internazionale che si inserisce poi nella grande opera che negli anni '50 e '60 porta a realizzare le autostrade italiane. L’autostrada A1 viene progettata da una società partecipata da Agip, Fiat, Italcementi e Pirelli: l’industria petrolifera, automobilistica, cementiera e chimica italiana è tutta coinvolta in un progetto che a una dimensione infrastrutturale e produttiva unisce da subito una visione politica ed economica e una chiara vocazione simbolica. Il sogno di bellezza dell’ingegnere corrispondeva a un progetto condiviso. Se Morandi aveva diritto al suo azzardato tentativo di bellezza è perché la società che lo faceva lavorare aveva un progetto, una visione, un’idea del futuro. In questo stava la giustificazione della forma esagerata del ponte. Il ponte di Morandi infatti crolla oggi mentre sta andando letteralmente in disfacimento il progetto di modernità dell’Italia degli anni '60: l'Italia che voleva emanciparsi definitivamente dall'eredità scomoda del fascismo, impegnata nelle lotte per i diritti sociali e civili nelle fabbriche e nelle università, per la laicizzazione della politica e della cultura, per guardare all'Europa ed al mondo con un impeto di aggregazione e condivisione. Nelle rovine del viadotto genovese siamo così chiamati a contemplare oggi la putrefazione di un progetto di cinquanta anni fa: la decadenza ed il nulla. O meglio, il peggio che si poteva immaginare. Oggi la società italiana è attraversata da razzismi e xenofobia amplificata dal populismo del governo nato dall'alleanza demagogica della Lega e del M5S, ed anche il calcio italiano moderno, di cui Genova è stata luogo natale, con il Genoa FC 1892 prima società italiana, è in crisi. La mancata qualificazione della Nazionale Azzurra ai Mondiali russi, la prima del dopoguerra, è solo la sovraesposizione decadente di un calcio oberato dai debiti, dai fallimenti di gloriose società, dalla repressione verso chi non si adegua alla normalizzazione, come gli ultras delle curve, dove solo la Juventus riesce a massimizzare guadagni, inflazionando vittorie di scudetti e ponendosi come unico Top Team di livello internazionale grazie alle sinergie con FCA e all'affaire CR7. Ma se i ponti crollano, la colpa non è dell’ambizione dei tecnici di cinquant’anni fa, ma della mancanza di coraggio di oggi. Non era il progetto di Morandi a essere sbagliato, è che nessuno si è preso la responsabilità di dire che dopo cinquant’anni era il caso di demolirlo. Il ponte, molto semplicemente, non funzionava più. Invece si è preferito ignorare il problema, spaventati per l’impatto mediatico di una simile demolizione, convinti che ci si potesse mettere una pezza, all'italiana. Così come a molti ha giovato politicamente e culturalmente questa frantumazione individualista che ha condotto alla crisi di valori contemporanea, alla salita al potere di razzisti, xenofobi e qualunquisti, alla mercificazione definitiva del calcio, come valore collettivo e popolare, in favore di una ristretta lobby di imprenditori e procuratori. Così come il suo ponte, altra illuminante metafora, Genova ha visto negli ultimi decenni crollare e ridimensionare le sue due gloriose società calcistiche, incapaci di rinverdire i fasti rossoblù dell'inizio del '900 e poi della fine del XX secolo, e la Sampdoria galleggiare lontana anni luce dai bagliori dell'epopea di Vialli&Mancini che condussero i blucerchiati a sfidare il Barcellona a Wembley per la Champion's League. Mancanza di coraggio, incompetenza, massimalizzazione dei guadagni, speculazioni le cause. Come per il viadotto dell'autostrada.
Quando un ponte crolla, non trascina con se solo la vita di decine di innocenti, ma costringe tutti noi italiani a guardarci dentro l'anima e capire che bisogna ricominciare a ricostruire tutto, da principio. Per non aver mai più paura del vuoto.
Domenico Mungo
Crediti:
“Quel ponte era bello” - Il Foglio 22 agosto 2018 di Pier Paolo Tamburelli, docente di Composizione architettonica Politecnico di Milano.
"Le polemiche dei politici distanti dalla realtà" di Luigi D’Ambrosio, Radio popolare.it, 16 agosto 2018.