Alle estati costellate di fallimenti e ripescaggi, ricorsi e tribunali, eravamo ormai tristemente abituati da tempo. Il nostro amato e odiato calcio italiano martoriato in modo quasi folkloristico da cialtroni, arraffoni, truffatori, bancarottieri. Che con la passione dei tifosi giocano come maldestri equilibristi, pronti a promettere sorti magnifiche mentre rischiano a ogni passo di cadere nel baratro, trascinando tutto con sé. E con quell’equilibrio marcio tra istituzioni, sportive e non, di vario ordine e grado, che dispensano penalizzazioni e ripescaggi con logiche e dinamiche che a noi ignari abitanti della terra non verranno mai chiarite. Si è perso il conto di quanti anni siano che, dalla Serie B in giù, i playout e i playoff si disputano come un puro esercizio di stile: partite che per loro natura sono l’emblema del pathos, che nascondono tra le loro pieghe le lacrime di folle esultanza o di irreversibile disperazione, esprimono verdetti che non arrivano quasi mai fino a settembre.
Adesso però si sta scrivendo una pagina che sfida i limiti del buonsenso. E il problema di chi ama una squadra è proprio che il buonsenso non è previsto come parametro. E si continuano a prendere schiaffi, a venire insultati. Il 21 settembre, dopo tre giornate già disputate, la Serie B potrebbe essere sospesa e riformulata. Dopo che il TAR del Lazio ha deciso di sospendere il campionato, sarà il Collegio di Garanzia del CONI (presieduto dall’ex Ministro degli Esteri Frattini, tanto per ribadire con che logiche vengano spartite le cariche di potere sportive) a esprimersi e decidere se la Serie B sarà composta da 19 squadre e potrà proseguire con il suo calendario, o se sarà a 22 squadre (con 6 squadre che pretendono la legittimità del loro ripescaggio) con un nuovo calendario. Non interessa a chi scrive entrare nel merito della questione, del resto come può coinvolgere l’ennesima battaglia in punta di cavillo? Noi sappiamo solo che se la tua squadra retrocede ai playout, il ripescaggio falsifica le ultime settimane di vita. Certifica che quell’emozione altro non era che una somma presa in giro. Che quella vittoria sfumata tra le lacrime sarebbe stata comunque un monumento all’inutilità. Nessuna persona che ami la propria squadra è interessata a simili dinamiche, al massimo il tifoso da tribuna che gioca a ragionare come se fosse lui il Presidente.
La cosa che conta è che venerdì, il giorno della sentenza, è il giorno prima della partita. Della quarta di campionato. E ci sono squadre che si stanno allenando senza sapere se sabato giocheranno, e contro chi. Tifoserie che non sanno se organizzare la trasferta oppure no. Interi campionati, quello di B e i gironi di C, che ormai per quest’anno non hanno più senso. Si aspetta il primo fenomeno che dalle colonne di un giornale si chiederà il perché degli spalti vuoti che così tanto ci fanno sfigurare rispetto agli altri paesi europei.
A proposito di stadi vuoti, sabato scorso a vedere Napoli-Fiorentina c’erano 15.000 spettatori, in un San Paolo spettrale, acceso solo dai cori degli ultras. Sappiamo bene come la gestione De Laurentiis abbia diviso, in una modalità che ormai conosciamo a memoria, ultras e tifosi “borghesi”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso l’acquisto del Bari, appena fallito, preferito al rafforzamento della squadra partenopea. Il tifoso borghese si inalbera a difesa della proprietà, che ha riportato il Napoli ad alti livelli e quindi può fare quello che vuole. Dal canto loro gli ultras denunciano la volontà dell’imprenditore romano di voler solo fare profitti sulla passione dei tifosi, con il mercato avaro e un caro biglietti insopportabile per il livello di ricchezza di una città come Napoli. Poi, il risultato è che il tifoso da poltrona, coerentemente, resta in poltrona, e l’ultras, che se vede quella maglia scendere in campo dimentica tutto e torna ubriaco d’amore, riempie la propria fetta di stadio. E pretende di dire la sua, e ci mancherebbe. L’ultima trovata del “pappone”, ormai in un’aperta guerra di provocazioni, è stata annunciare che avrebbe voluto far svolgere le partite interne di Champions del Napoli a Bari. Una cosa che lascia senza parole. Una cosa che non succederà, anche perché il grand’uomo non si era nemmeno preoccupato di verificare il fatto che il San Nicola non ha le luci omologate per l’UEFA. Ma è il classico esempio di proposta che viene buttata lì così, che ancora è forse prematura, ma che vedremo tornare fuori negli anni.
Sembra che non succederà nemmeno l’altro abominio che era stato proposto in queste settimane, ovvero lo svolgimento del derby catalano Girona-Barcellona, partita di campionato, a Miami. Stessa dinamica della boutade di De Laurentiis: la sparo grossa, per ora le polemiche sono troppe, ma ci riproverò. Il presidente della FIFA Infantino ha frenato, dicendo che forse per adesso non è il caso. Comunque, nel frattempo il tifoso del Girona ha avuto il tempo di immaginare la partita più attesa dell’anno che gli sfugge tra le dita nel nome degli incassi televisivi e del divertimento moderato di qualche migliaio di yankees che in realtà preferirebbero essere sugli spalti della NFL, ma alla fin fine, se gioca Messi, si fanno prendere dalla curiosità del turista. Il tifoso del Girona avrà anche avuto tempo di pensare “ma che cazzo lo faccio a fare l’abbonamento?”. Questo sarebbe un salto di qualità terribile in quella logica, ormai già in uso, di far disputare partite in posti che non c’entrano nulla. Il fastidio di veder giocare Supercoppe Europee in Cina o in Qatar è già notevole, così come la prospettiva che lo stesso destino tocchi in futuro alle finali di Champions. Ma sono comunque eventi che riguardano pochissime grandi squadre. La prospettiva che da questa logica vengano toccati anche i campionati rasenta l’agghiacciante.
Agghiacciante tanto quanto leggere i listini prezzi dei vari settori di uno stadio di Serie A. Quello del caro biglietti è un problema su cui non ci stancheremo di accendere la luce. Più ancora della repressione, dà il colpo di grazia alla passione popolare. Anche perché, fatte salve alcune piazze molto sensibili, si fatica a intravedere la possibilità di un movimento che possa combattere attivamente questa deriva. Ci sono società che ancora fanno politiche degli abbonamenti molto favorevoli, e gliene va reso merito. Ma il costo di un singolo biglietto è qualcosa che lascia allibiti. Del resto, se c’è chi come la Juventus, col suo Stadium, traina la dinamica dei prezzi, a cascata tutti si adatteranno al rialzo, anche offrendo stadi fatiscenti e inadatti. Fatto sta che un mese di abbonamento a DAZN (tre partite a turno più la B) costa meno della metà del biglietto del settore ospiti di Empoli-Cagliari. Non serve aggiungere altro.
Dopo un’estate in cui hanno provato a spacciare una brillante operazione di mercato della Juventus FC come un successo del sistema-calcio italiano, il ritratto che ci troviamo davanti è questo. Mandare tutto affanculo sembrerebbe l’unica scelta razionale. Appunto. Si torna sempre lì.
La redazione