Ricorre proprio in questi giorni la settimana mondiale dedicata alla salute mentale, e mi son sentita di scrivere qualche parola su di un libro che ho letto recentemente e che ha attirato la mia attenzione, e che colpisce particolarmente già fin dalla copertina, perché “La trappola del fuorigioco” (Edizioni Alpha Beta, 2017) è si un libro che parla di calcio, ma soprattutto è inserito in una collana a cui sono particolarmente legata, “La collana 180 - archivio critico sulla salute mentale” e ancor più accattivante è il connubio fascinoso, che l’autore individua, con un altro gran tema: il comunismo.
Mi son chiesta da subito: come fa l’autore, Carlo Miccio, a “mettere in campo” queste tre tematiche?
La risposta mi arriva automaticamente a fine lettura, una lettura che si presenta nonostante tutto leggera, perché chi scrive affronta questi temi caparbiamente, con una modalità sapiente e giocosa, andando incontro con uno schema fluido e mai scontato agli attacchi e contrattacchi che la vita, intesa come degno avversario, a volte può offrire.
Infatti il calcio descritto da Miccio, visto attraverso gli occhi di un bambino che deve affrontare le dinamiche relazionali di una famiglia affetta da patologie di disturbo mentale, è un calcio che ha come icona Cruyff, ma … cosa c’entra Cruyff, il fuoriclasse olandese che fu interprete del calcio totale? Cruyff fu un giocatore per il quale “il collettivo è tutto”, ci si muove compatti a centrocampo tutti insieme, e ci si scambia di ruolo, il giocatore non è ancorato ad un ruolo rigido e può e deve nel corso della partita essere attaccante, centrocampista, difensore.
Eccolo il comunismo di Cruyff! Eccolo lo squarcio di una società in cui c’è qualcosa di sbagliato, di “patologico” nella maniera in cui è stata programmata la vita di questo paese, nel modo in cui attraverso gli occhi inesperti, ma allo stesso tempo lucidi, di un bambino che diventa ragazzo attraversando la malattia mentale, la droga, un’Italia in cui chi, per mestiere o per incarico degli elettori, dovrebbe proteggerti, ti gioca contro una società in cui la malattia di uno dovrebbe essere la malattia di tutti, e non si dovrebbe creare uno psicotico individualismo sfrenato.
Ecco il comunismo del compagno Cruyff, in un bel racconto che riesce ad essere lieve, delicato, ironico e commovente, pur affrontando temi esplosivi e dolenti, come quello di una diagnosi di disturbo depressivo bipolare schizzoaffettivo, gli stereotipi e le paranoie di un’avanzata elettorale del PCI in una Sicilia commovente che costruisce un campetto in poche notti per non cadere nella “trappola del fuorigioco” come a ricordare che siamo tutti complici all’interno di un grande possibile gioco di squadra, tutti responsabili di vittorie e sconfitte.
E da psicologa posso dire che troppe ne conosco di queste trappole, silenti e fuorvianti, e da amante dello sport, soprattutto del calcio popolare, posso dire che un altra modalità di affrontare alcune partite è possibile.
“Ed ero sicuro che in quel momento in quel preciso momento, dal cielo si sarebbe sciolta una pioggia di pane e rose per tutti. E il mondo, grazie a me ed al compagno Cruyff sarebbe diventato un posto migliore, dove si mangia meglio e di più, si lavora meglio e di meno, e tutti sono felici, liberi e realizzati”.
Alessia Tino