Trentatré anni dopo la caduta del regime, lo spettro della dittatura militare aleggia nuovamente sul Brasile, dove i cittadini andranno alle urne il 7 ottobre per eleggere il loro nuovo presidente. Questo spettro ha una faccia, un nome - Jair Bolsonaro - e già un soprannome, il “Trump brasiliano". Soprannome meritato e non poco per quest’uomo cresciuto nell’esercito, le cui intenzioni di voto (circa il 32%) hanno contribuito notevolmente all'aumento del 140% del valore delle azioni del maggior produttore nazionale di armi da fuoco Forjas Taurus alla fine di settembre.
Pro-armi (sebbene sia stato oggetto di un attentato il 7 settembre), ma anche omofobo, razzista, misogino, ai confini del negazionismo (“non ci fu alcun colpo di stato nel 1964”, dichiarò alla TV Cultura), Bolsonaro spaventa le classi popolari allo stesso modo di come seduce certe élite, tra cui quella dei calciatori professionisti. Secondo un sondaggio condotto da UOL, il candidato del Partito Social Liberal (PSL) riceve il 20,72% di opinioni favorevoli all'interno della casta, 15 punti in più rispetto a Lula, a cui comunque è vietato concorrere. Supporto che sta prendendo forma da oltre un anno sulla rete e nello spazio mediatico.
Supporto sul web, da Lucas Moura a Felipe Melo
Il 10 settembre su Twitter, l'ex PSG Lucas Moura dedica un po’ di tempo ai suoi seguaci. Il tono è meno chiaro del solito. “Vuoi affrontare i banditi con cosa? Lui [Bolsonaro] non promuove la violenza, promuove la giustizia e i teppisti hanno paura della polizia. Ma se hai una soluzione migliore ...” risponde il giocatore a chi gli ha fatto notare che il programma pro-armi del candidato del PSL era incompatibile con il contenuto religioso del suo discorso. Gli scambi di tweet si moltiplicano, e con essi anche le risposte maldestre. Lucas finirà per difendersi nella zona mista dopo una partita del Tottenham: “Non devo parlare solo di calcio. Sono anche preoccupato per il mio paese”.
Una settimana dopo il controverso Lucas – che lui stesso si era premurato di difendere furtivamente sulla rete - il centrocampista Palmeiras, Felipe Melo, è andato oltre i titoli dei giornali: in un'intervista flash post-partita, trova il modo di infilare un “questo risultato è per il nostro futuro presidente Bolsonaro” nel bel mezzo di un'analisi tattica. Si era già dichiarato a favore del candidato del PSL un anno prima.
Nel 2017, il giocatore del Corinthians Roger aveva cancellato il suo account Instagram dopo aver posato con Bolsonaro senza conoscere veramente le sue intenzioni politiche. Per il suo compagno di squadra Jadson la situazione era molto più chiara: lo stesso anno, ha detto: “Ho visto le interviste con Bolsonaro su Youtube, mi ha fatto apparire come un ragazzo corretto. Se parteciperà alle elezioni presidenziali, voterò per lui”. La confusione aumenta se conosci la storia politica del club Paulista.
Una parentesi democratica in un calcio conservatore
Corinthians, trentacinque anni fa. L'ultima stella, Socrates, approfitta della sua fama per compattare una squadra al fine di condurre una lotta ideologica contro una dittatura in declino. Inserito nel PT (Partito dei Lavoratori), così come i suoi compagni di squadra, come ad esempio Wladimir Casagrande, è attivamente coinvolto nel 1983 e ‘84 nel movimento di “Diretas Ja” a favore di elezioni democratiche dirette - a fianco di Lula - e partecipa con la sua squadra a un esperimento sportivo-sociale senza precedenti, la “democrazia corinthiana”. Un mondo in cui delegare è vietato, dove ogni decisione è presa per alzata di mano e l'amministratore del club ha lo stesso potere decisionale del suo capitano. In breve, la sinistra hippy, la sinistra che sogna. Anche la sinistra finisce per essere dimenticata. La colpa è di un ambiente circostante già ostile.
Ricardo Gozzi, autore di Democracia Corinthiana, a utopia em jogo dice: “in realtà [Socrates] era già un’eccezione. Quindi sì, i giocatori sono probabilmente più alienati oggi, ma [i filo-reazionari] erano già in maggioranza. All’apice della democrazia corinthiana, nessun altro club era entusiasta del movimento. Li chiamavano comunisti, anarchici ... Il calcio brasiliano è sempre stato molto conservatore”. Non è quindi sorprendente vederlo entrare oggi in assonanza con gli ideali di un candidato molto discutibile, nel peggiore dei casi pericoloso. Marcel Diego Tonini, sociologo brasiliano specializzato nel calcio, aggiunge: “La questione della religione è molto presente in Bolsonaro, e i giocatori attribuiscono molta importanza ad essa, si identificano con questo tipo di discorso. Ha anche un programma machista che incontra un grande successo in un ambiente molto “virile”, dove la sua violenza verbale è anche molto ben vista. Infine, afferma di avere la soluzione per ridurre la violenza diffusa in cui altri hanno fallito per 30 anni. È normale che la difesa della proprietà privata sia parte delle loro preoccupazioni dal momento in cui hanno un certo reddito”.
Di qui l’appoggio di Lucas Moura all’incremento degli armamenti per la polizia sostenuta da Bolsonaro, nonostante i dati parlino di una situazione già ultra-repressiva (5.072 persone uccise dalle autorità nel 2017, il 19% in più rispetto all’anno precedente) senza che ciò abbia procurato impatti positivi per la sicurezza del paese. “Nessuno qui si alza per dire che questo autoritarismo della polizia è cattivo. Al contrario”, si preoccupa Gozzi. La paura portata all’esasperazione ti rende cieco. L’esasperazione politica anche. In un articolo per GQ Casagrande ha concordato su un punto – senza per questo scusarli – con Melo e Jadson, con i quali comunque non si riconosce: “i politici brasiliani non hanno alcuna credibilità”, dal momento che i casi di corruzione hanno minato la figura Dilma Rousseff al potere, hanno mandato Lula dietro le sbarre e in gran parte hanno annientato la reputazione del PT. Il leader del PSL - il cui nome è apparso solo furtivamente nel 2017 nello scandalo chiamato Lava Jato - non è ufficialmente corrotto. Quindi la gente lo supporta per partito preso. “Nessun candidato è il salvatore della patria, ma penso che dobbiamo cambiare”, ha scritto Lucas Moura su Twitter. La teoria per cui “abbiamo provato tutto tranne lui”.
Quando i club applicano la politica dello struzzo
Nella terra del Joga Bonito, la parola del calciatore è sacra. Quando Felipe Melo dichiara il suo amore per Jair Bolsonaro su un campo di calcio dopo una partita del Palmeiras, la conseguenza è che migliaia (forse più) di persone vadano in quella scia. “Inoltre, il prestigio del club in cui giocano conferisce loro una legittimità ancora maggiore. In realtà ci sono persone che dicono “se lo ha detto Felipe Melo, la penso come lui, perché è palmeirense come me. Non importa se si tratta di odio contro i gay, i neri, ecc., abbiamo lo stesso stemma, quindi voto come lui”. È spaventoso. I seguaci di questi giocatori sono influenzati”, si lamenta Tonini. “Il problema è che Felipe Melo usa lo spazio mediatico del suo club per influenzare le elezioni. Può farlo su Twitter, Instagram, senza nessun problema. Ma qui, il Palmeiras avrebbe dovuto sanzionare il suo atteggiamento. Invece, il club si è limitato a scrivere una dichiarazione”.
Il calcio brasiliano è benevolo con il populismo di destra? Il 16 settembre, i tifosi dell’Atlético MG intonano cori omofobi di rara violenza contro i dirimpettai del Cruzeiro (“Cruzeirenses fate attenzione, Bolsonaro vi ucciderà tutti, checche”). In risposta, il club si è scusato tramite i propri canali, mentre la Corte suprema di giustizia sportiva ha attribuito una multa irrisoria (1.096 euro). Tonini commenta: “Chiaramente avrebbero dovuto bandire queste persone dello stadio. Non c’è nulla che provi che il club sia schierato seriamente riguardo a questa violenza”. Il lassismo è tanto più sorprendente in quanto contrasta con il trattamento dei sostenitori dell’altra parte. “Un sostenitore disabile di Recife è stato arrestato e spinto verso l’esterno dello stadio del Corinthians [definitivamente] perché nel suo zaino aveva una maschera con la faccia di Lula ... È chiaro che una fazione politica è più tollerata dell’altra qui in Brasile”, dice Ricardo Gozzi.
Gli ultras (quasi) soli contro Jair Bolsonaro
La sinistra del calcio si batte per riuscire ancora quanto meno a esistere. L’ex giocatore del Le Mans Paulo André ha recentemente firmato un manifesto per la democrazia (e contro Bolsonaro). “È bello, ma Paulo Andre gioca nell’Atlético Paranaense, le cui partite non sono sempre in televisione, questa firma ha molto meno peso di una presa di parola di Felipe Melo”, raffredda così gli entusiasmi Diego Tonini. Parallelamente, una voce più forte, quella degli ultras del Paese, proclama il suo “anti-bolsonarismo”. A partire dal Gaviões da Fiel (Corinthians, circa 100.000 soci, il cui presidente ha fatto appello a opporsi al candidato PSL in nome dell’opposizione contro la dittatura condotta dai loro predecessori negli anni ‘70-‘80, prima di vedere i leader di altre tifoserie (Santos, Flamengo e Palmerias) seguirne le orme. “Gli ultras possono essere criticati sotto molti aspetti, ma di sicuro parliamo di gente che appartiene alle classi povere del Paese”, sostiene Tonini.
La rivolta degli ultras è all’interno di un contesto di protesta globale caratterizzato da un hashtag - # EleNão (non lui) - e da diverse manifestazioni di migliaia di donne in tutto il paese la scorsa settimana. Ma per quale risultato? Al 2 ottobre, il rifiuto nei confronti di Jair Bolsonaro è passato dal 46 al 45% quando quello del candidato PT Fernando Haddad è balzato invece al 41%. “Il Brasile potrebbe non essere più in una democrazia dopo”, conclude Ricardo Gozzi. E il calcio sarà stato complice.
www.20minutes.fr
traduzione a cura di Giuseppe Ranieri e Matthias Moretti