Provare solo a immaginare una storia delle arti marziali in Unione Sovietica potrebbe sembrare un progetto troppo ambizioso. Ancora poca studiato e sistematizzato, il sistema sportivo sovietico rimane un oggetto non identificato, ancor di più il comparto relativo alle arti marziali e agli sport da combattimento, già di per sé marginale. Anche dopo la caduta della cortina di ferro, il binomio sport e socialismo reale rimane confinato nelle “riserve accademiche” in madrepatria come nei paesi anglosassoni e in Europa, eletto al massimo a curiosità da appassionati o da “smanettoni” ossessionati dai forum di arti marziali. Tuttavia un tentativo parziale, in grado almeno di individuare alcuni passaggi fondamentali, utili per abbozzare qualcosa che somigli a una breve storia delle arti marziali nel paese del socialismo, non è un’operazione impossibile.
È utile ricordare come uno dei terreni di lotta in cui si cimentano i bolscevichi all’indomani della Rivoluzione d’ottobre sia quello sportivo. Non è infatti un mistero che uno degli obiettivi della rivoluzione rimane quello di creare l’“uomo nuovo” e lo sport diventa uno dei mezzi con cui concretizzare quest’idea. Nella pratica marziale, così come nell’arte e nella cultura si radica l’idea di un sistema ad hoc per il proletariato, che ha ovviamente una stretta connessione con la storia della neonata Armata Rossa.
L’Armata Rossa e le arti marziali
Come da etimologia le arti marziali nella Russia rivoluzionaria prima e in Unione Sovietica poi, prendono piede all’interno dell’Armata Rossa. La pratica marziale si sviluppa dapprima nell’esercito figlio della rivoluzione, che diventa il banco di prova per immaginare poi un più generale metodo di combattimento adatto al cittadino sovietico. Nell’esercito zarista non esisteva un sistema di combattimento corpo a corpo e di difesa personale unificato e codificato, così uno dei primi provvedimenti del nuovo governo bolscevico è proprio quello di creare e uniformare i precedenti metodi in uso sia in ambito di difesa personale, sia di arte marziale destinata all’addestramento militare. Nonostante questo la tradizione marziale russa era molto ricca anche nel periodo pre-rivoluzionario, con una grande mole di stili di lotta libera tradizionali e un’antica tradizione di combattimento a pugni nudi simile al bare-knuckle boxing (il pugilato a mani nude praticato nell’ex impero britannico), le cui tracce sono riscontrate già nel Decimo secolo d.C.
Nel 1918 dunque durante il VII Congresso del Partito bolscevico (quello in cui compare per la prima volta nel nome del Partito la dicitura «comunista»), Lenin in persona evoca la necessità di creare una modalità univoca di addestramento militare. Nasce così il Vsevobuch, acronimo traslitterato dal cirillico che significa «Addestramento militare generale», affidato a N. I. Podvoyskiy, già membro del Comitato militare rivoluzionario (Organizzazione bolscevica militare). Una parte del Vsevobuch è relativa al combattimento corpo a corpo e a mani nude e a essere incaricati di sviluppare un’arte marziale moderna, capace di fondere diversi stili lottatori e praticità, sono Vasili Oshchepkov e Viktor Spiridonov, due esperti di arti marziali. È Klement Vorosilov in persona, uno dei leader bolscevichi più eminenti, ad affidare a Oshchepkov e Spiridonov questo compito. I due lavorano a questo progetto in maniera indipendente, ognuno secondo la propria metodologia e con la propria visione. Difatti le personalità di questi due uomini, le loro esperienze di vita e le loro biografie costituiscono la base di partenza per gli sviluppi futuri che saranno paralleli e solo occasionalmente si intersecheranno. Solo a distanza di oltre un decennio, gli sforzi di questi due maestri troveranno il loro compimento nella creazione del sambo (acronimo di SAMozashchita Bez Oruzhiya, ovvero «Difesa personale senza armi»). Bisognerà attendere però il 1938 per il riconoscimento ufficiale del sambo come pratica marziale e sportiva, quando questo viene ufficialmente riconosciuto dal Comitato generale sportivo dell’Unione Sovietica, grazie all’impegno di Anatolij Charlampiev. Di fatto quindi la genesi dell’arte marziale del proletariato è collettiva.
Il sambo: una creatura collettiva
Come anticipato sono quindi in tre a contribuire alla nascita del sambo, Vasili Oshchepkov, Viktor Spiridonov e Anatolij Charlampiev. Mentre i primi due possono essere considerati dei pionieri, è ufficialmente il terzo a codificare e a dare una sistematicità al sambo, sia come pratica marziale che come sport da combattimento. Di conseguenza non è corretto stabilire una paternità univoca per la creatura marziale sovietica ma è piuttosto corretto stabilire una sorta di “plurigenitorialità”.
Vasili Oshchepkov nasce a nel 1893 nell’Estremo oriente russo, precisamente sull’isola di Sakhalin, contesa fra il Giappone e l’impero russo. Una terra di confine in cui l’influsso propriamente russo e quello orientale si uniscono e Oshchepkov ben rappresenta questa fusione. La vita di Vasili non è semplice: proviene da una famiglia povera e alla morte dei genitori viene inviato in seminario ortodosso gestito da missionari desiderosi di esportare il cristianesimo ortodosso in Oriente. Dopo un breve periodo passato nel seminario, viene inviato al seminario “centrale” di Tokyo nel 1907 gestito da Ivan Dimitrovich Kasatkin, il futuro San Nicola, l’esportare del credo ortodosso in Giappone.
In questa struttura gli studenti adottano uno stile di vita “giapponese”, si vestono all’orientale, studiano la lingua e la cultura del Sol Levante. All’interno del programma di insegnamento sono anche previste lezioni di judo. Oshchepkov dimostra tutta la sua bravura al punto da venir invitato a partecipare ai corsi al Kodokan Judo Institute in Tokyo, fondato nel 1911 da Jigoro Kano, il “padre” del judo moderno. Già nel 1913 Oshchepkov guadagna la sua cintura nera: è uno dei primi russi a ottenere questo importante risultato. In seguito finiti gli studi in seminario viene inviato nell’esercito russo come interprete, destino comune a molti seminaristi dell’istituto. Nonostante la situazione disastrosa della Russia, Oshchepkov continua la pratica marziale iniziando anche ad avere un certo seguito. Organizza dei tornei e contribuisce alla diffusione dell’arte marziale giapponese in Russia. Dopo la Rivoluzione continua il suo lavoro come interprete militare ma inizia anche a insegnare judo e karate all’interno dell’Armata Rossa. Tuttavia negli anni Trenta l’astro di Oshchepkov inizia a oscurarsi. Le tensioni interne allo stato sovietico lo inghiottono e nel 1937 viene accusato di essere una spia giapponese e muore in prigione.
Viktor Spiridonov invece è l’altro uomo cui viene affidata l’arduo compito di creare un’arte marziale sovietica. Spiridonov è un militare dell’esercito zarista, partecipa alla guerra russo-giapponese e dopo essere stato inviato in Manciuria, per la prima volta entra qui in contatto con le arti marziali orientali, in particolare il jiu-jitsu. Oltre a quest’arte marziale Spiridonov aveva un discreto background di lotta libera, greco-romana e alcune forme di lotta tradizionali di origine turca. Combatte anche nella prima guerra mondiale, dove viene ferito in modo grave da una baionetta al braccio sinistro, il cui uso non recupererà mai completamente. Quando scoppia la Rivoluzione d’ottobre è un riservista, ma manifesta il suo appoggio alla causa bolscevica e viene richiamato in servizio. Nel 1919 diviene istruttore di arti marziali e autodifesa nel distretto militare di Mosca.
A partire dal 1921 Spiridonov inizia a sistematizzare la sua pratica marziale. Prende forma il samoz, una versione più “leggera”, di quello che successivamente diventa noto come sambo, incentrata sulle leve e sulla lotta.
Nel 1923 viene fondata la Dinamo a Mosca, una polisportiva sotto il controllo diretto del Commissariato del popolo per gli affari interni, quello che negli ’30 diventa l’Nkdv e che dopo la seconda guerra mondiale e diversi cambi di nome diventa il Kgb, semplificando i servizi segreti sovietici. La polisportiva ha l’obiettivo anche di diffondere il nuovo sistema pensato per il mondo militare ed è qui che viene raffinato. Il samoz è di fatto un sistema di difesa personale piuttosto che un’arte marziale propriamente detta, che sfrutta i principi della biomeccanica. A partire dal 1927 Spiridonov pubblica una serie di testi che diventano la base per l’insegnamento futuro: Manuale di difesa personale senza armi nel sistema del Jiu-Jitsu (1927), Difesa personale senza armi. Allenamento e competizione (1928), Difesa persona senza armi. Fondamenti di autodifesa. Allenamento e metodo di studio (1933). Il contributo di Spiridinov è quindi maggiore nella costruzione di un sistema di difesa personale piuttosto che nell’ambito dello sport da combattimento.
Solo nel 1938 il sambo diventa ufficialmente una disciplina marziale e uno sport da combattimento grazie al terzo protagonista di questa storia Anatolij Charlampiev, discepolo di Vasili Oshchepkov. Charlampiev si laurea nel 1936 all’Università di Stato russa in educazione fisica ed è ufficialmente lui a creare il sambo e a diventare il presidente della neonata federazione. Produce due saggi-rapporto che sono presentati ai massimi organismi sportivi sovietici: Fondamenti della lotta libera sovietica, Tassonomia del grappling libero sovietico, e che rappresentano le basi metodologiche per la diffusione del sambo. Anche Charlampiev fa una carriera militare, partecipa alla Grande guerra patriottica come volontario e favorisce la diffusione del sambo all’interno dell’Armata Rossa, contribuendo a farlo diventare una parte essenziale dell’addestramento militare.
Charlampiev proviene da una famiglia di sportivi: il nonno era un pugile (di un pugilato ancora rudimentale combattuto a mani nude), un ginnasta e un esperto di arti marziali, il padre Arkady Georgievich invece, un raffinato ma squattrinato artista che si guadagnava la pagnotta nella Parigi di fine Ottocento tirando di boxe. Ma non era un figurante del ring, bensì è considerato uno dei fondatori della scuola russa di pugilato.
Nonostante sia stato un discepolo di Vasili Oshchepkov, Charlampiev quando decripta il sambo insiste sulla sua natura “autoctona” – facendone risalire l’origine negli stili lottatori russi arcaici – negando di conseguenza la connessione e origine con gli stili orientali. Elimina quindi almeno dal punto di vista teorico, gli influssi del judo e del jiu-jitsu, stabilendo invece un rapporto diretto con gli stili tradizionali di lotta russi.
Nonostante gli orientamenti di Charlampiev però, è innegabile la connessione con le arti marziali orientali, soprattutto per il lavoro svolto da due pionieri Oshchepkov e Spiridinov, fortemente influenzati da un background di judo e jiu-jitsu.
Sotto Charlampiev il sambo diventa quindi un’arte marziale ufficialmente riconosciuta e viene codificata anche nel vestiario: è introdotto la kurtka – una sorta di giacca simile a un kimono da judo (di colore rosso o blu per i due contendenti) – i pantaloncini corti, l’uso di scarpe da ginnastica simili a quelle della lotta libera. Inizia però a differenziarsi anche nella pratica, dove sostanzialmente emergono tre diversi “stili”: il sambo sportivo (Borba sambo), il combat sambo (Boyevoye sambo) e il sambo militare. Il sambo sportivo è molto simile alla lotta libera e al judo, non prevede colpi ed è sostanzialmente una disciplina lottatoria che permette proiezioni, prese alle gambe (non come la lotta greco-romana), lotta a terra ma non gli strangolamenti. Il combat sambo invece è molto simile a una versione russa delle mma (mixed martial arts): sono permessi anche i colpi (sia calci che pugni), oltre che la lotta, ed è introdotto anche l’uso del caschetto. Il sambo militare è invece piuttosto un sistema di difesa personale e combattimento a mani nude.
Oggi il sambo vive una seconda “primavera” e gode di una discreta fama nel mondo delle mma: molti atleti provenienti dallo spazio ex-sovietico, diventati famosi in competizioni internazionali come la Ufc e il Bellator – per fare alcuni esempi Fedor Emilianenko, Andrei Arlovski, Khabib Nurmagamedov e Ali Bagautinov – sono praticanti e campioni di questo sport ed essendo fra i migliori atleti di arti marziali miste, hanno contribuito a una nuova diffusione dell’arte marziale creata dei bolscevichi.
Filippo Petrocelli
Fonti
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