Dopo la sosta per le nazionali, l’Europa League vivrà una delle sue fasi più emozionanti, con le ultime due giornate dei gironi e i verdetti in molti casi ancora da scrivere. E in uno dei gironi, il B, il timore è che il destino possa essere scritto un po’ a tavolino. Ma andiamo con ordine. La Red Bull, multinazionale pioniera delle bevande energizzanti, ormai da molti anni è fortemente impegnata nel calcio, e ad oggi possiede ben quattro squadre (oltre alle due europee, New York Red Bulls e Red Bull Brasil). In Europa ha iniziato dalla propria nazione d’origine nel 2005, rilevando la proprietà e il palmares dell’Austria Salzburg, che nel frattempo aveva già cambiato un paio di volte nome. Inizialmente la città ha praticamente disertato gli spalti ed è stato rifondato dai tifosi l’Austria Salzburg, coi colori bianco-viola e una dura risalita dai dilettanti. Negli anni va detto che la Red Bull Salzburg, anche grazie ai successi (9 scudetti e 5 coppe d’Austria) e ai tanti soldi investiti, ha ricostruito un seguito di pubblico notevole e si è affermata come solida realtà europea.
Ma non finisce qui, perché nel 2009 la multinazionale sbarca ambiziosamente nel campionato tedesco, dove rilevare una squadra top è decisamente più difficile. Dopo un po’ di sondaggi su possibili mete, specie nella parte orientale del paese, la scelta è ricaduta sulla città di Lipsia, priva da tempo di squadre competitive, e in particolare sul SSV Markranstadt, squadra di un villaggio limitrofo iscritta alla quinta divisione regionale, che cambia nome in RB Leipzig nonostante anche qui ci siano forti proteste. In Germania (vivaddio!) è vietato avere nel nome un marchio pubblicitario (a meno che non sia ormai storicamente assodato e legato alla città come nel caso del Bayer Leverkusen), e quindi RB sta per Rasen Ballsport, ma la pretestuosità dell’escamotage è fin troppo evidente. La squadra galoppa e in soli sette anni, nel 2016, è già in Bundesliga, e da neopromossa arriva seconda e va in Champions.
Insomma, senza dilungarsi troppo la vicenda Red Bull sintetizza molti dei mali del calcio contro i quali quotidianamente proviamo a batterci. Tra questi, quello che dà fastidio a pelle è l’insulto a ogni senso d’appartenenza. La mega azienda che piomba sul territorio e nei campionati, senza conoscere il gioco, senza amarlo, usando i soldi come una clava per farsi strada, cambiando nome e colori sociali. Tanto, a forza di sborsare, qualcuno che capisce di calcio e viene a lavorare per te lo trovi. I gruppi imprenditoriali con molteplici proprietà calcistiche sono un cancro che purtroppo si diffonde sempre più, e il nostro paese non ne è esente, basti pensare ai Pozzo divisi tra Udinese e Watford, o a De Laurentiis che ha fatto il passo ulteriore comprando il Bari, che un giorno probabilmente si ritroverà ad incontrare. Per ora il magnate confida che sia sufficiente intestare il Bari al figlio, vedremo come andrà avanti. Il problema di avere due squadre della stessa proprietà nello stesso torneo, in ogni caso, si pone. Oltre a far contrarre dallo schifo lo stomaco di chi ama il calcio, ci sono delle chiare questioni aperte a livello di regolarità dei tornei. Le istituzioni del calcio devono affrontare la questione.
E la affrontano: i regolamenti UEFA prevedono in modo chiaro che due club con la stessa proprietà non possano giocare nella stessa competizione. Ma stiamo parlando della UEFA. Alla fine del 2017 la questione non può più essere evitata: il Lipsia scende dalla Champions all’Europa League, ed è nel tabellone dei sedicesimi dove c’è anche il Salisburgo. Bisogna decidere, e cosa c’è di meglio di una “approfondita indagine”, la quale porta alla bizzarra conclusione che la cosa si può fare, perché in fondo il Salisburgo non è poi così tanto della Red Bull: sono cambiati il presidente e alcuni membri del CdA, e sono stati un po’ ridotti i fondi erogati in modo diretto dall’azienda, tanto da potersi considerare un semplice sponsor e non un proprietario. Insomma, la Red Bull Salzburg secondo l’UEFA non è di proprietà della Red Bull, si può procedere.
Poi, in questa stagione, ci ha pensato anche la sorte a rendere il problema ancora più vergognoso: entrambe le compagini si ritrovano in Europa League, e l’urna le assegna entrambe al gruppo B. D’altra parte, se gli permetti di fare la stessa competizione, poi va così. E in un girone a quattro la cosa è grave, potenzialmente determinante. A maggior ragione perché incontrano una delle squadre a cui più siamo affezionati, il Celtic Glasgow, baluardo irlandese e socialista in casa britannica. E adesso, a due partite dalla fine, la situazione si fa intrigante: il Salisburgo è a punteggio pieno, 12 punti, Celtic e Lipsia a 6 e il povero Rosenborg a 0. Alla prossima Salisburgo-Lipsia, all’ultima Celtic-Salisburgo. La cosa buona è che in nessun modo il biscotto può garantire le due squadre al 100%, perché se il Salisburgo dovesse regalare tre punti al Lipsia ci sarebbe ancora la possibilità che si ritrovino tutte e tre a 12, con gli scontri diretti a decidere. Ma l’atteggiamento in campo del Salisburgo sarà comunque fondamentale, visto che è la squadra più forte del girone: se vedremo ad esempio un blando pareggio in casa col Lipsia, e poi un furioso assalto all’ultima partita al Celtic Park (quando gli austriaci in questo scenario sarebbero già qualificati come primi), avremo l’ennesima riprova che questo calcio fa davvero troppo schifo. Ma tanto non ci servirà a niente. Prima, possiamo provare a tifare Celtic, che ancora non è detta l’ultima parola.
Matthias Moretti