Il 9 dicembre è una data ad alto contenuto simbolico per il subcontinente latino-americano, infatti nel 1824 si disputò la battaglia di Ayacucho che, oltre a essere l'ultima combattuta dagli spagnoli in Sudamerica (addirittura, il viceré spagnolo fu catturato e imprigionato dagli insorti), si rivelò determinante per la fine della dominazione iberica sconfitta da un esercito misto di peruviani, colombiani e venezuelani.
Corsi e ricorsi storici.
È davvero paradossale infatti che poco meno di duecento anni dopo, questa data sia stata designata per l'abdicazione dei “libertadores” e per fare rientrare dalla finestra quegli stessi “conquistadores” sbattuti fuori dalla porta, perché in qualsiasi modo la si voglia vedere, la designazione del Bernabeu e soprattutto di Madrid quale sede della finale di ritorno del più importante evento calcistico del Sudamerica avrà fatto rivoltare nella tomba Simon Bolivar e tutti coloro che diedero la vita per la causa dell'indipendenza e della libertà dall'impero spagnolo, e dovrebbe spingerci a qualche riflessione che vada oltre il semplice e preconfezionato biasimo della violenza calcistica.
Sia chiaro, nessuno intende fare una difesa d'ufficio di quanto accaduto, né tanto meno delle barras bravas argentine che comunque non sono certo nate in occasione di questa finale, visto che se ne parla da almeno 60 anni.
Lo diciamo senza se e senza ma, quanto accaduto due settimane fa è gravissimo e vergognoso, ma probabilmente non è la cosa più vergognosa di questa finale. Ci riferiamo a quel triste mercimonio che ha riguardato l'assegnazione e che ha visto coinvolte Miami, Genova, Doha, Belo Horizonte e che ha visto vincere la capitale spagnola, capace di presentare la migliore offerta, potendosi permettere di sovvenzionare per intero la spedizione dei due club finalisti, e di cedere gratuitamente lo stadio alla Comenbol (l'unione delle federazioni calcistiche sudamericane e detentrice dei diritti della coppa). Con buona pace di quel poco di credibilità che restava al calcio sudamericano (immaginate se dopo la tragedia dell'Heysel, la successiva finale di Coppa dei Campioni si fosse giocata in un altro continente), del portato simbolico dato dal vedere quella che è stata ribattezzata come “la partita più importante della storia dell'intero continente” giocarsi nella capitale storica dell'impero che fino all'ultimo ne avversò la nascita e la liberazione e, soprattutto, di tutti quei tifosi che non si sono potuti permettere un viaggio così costoso con così poco preavviso, quando sarebbe bastato giocare la partita in un altro Stato affiliato alla Comenbol; certo sarebbe bastato, ma non convenuto...
Doveva essere una finale unica, epica, un momento catartico e così senza dubbio è stato, ma non soltanto per quanto fatto vedere in campo.
Non ce ne vogliano i “Millionarios” che giustamente staranno esultando e festeggiando per quella che è la vittoria più importante nella storia del loro club, ma ci riferiamo al definitivo scollamento tra il calcio sudamericano e la sua gente, sull'esempio di quanto viviamo anche noi in Europa, a una finale ceduta, o sarebbe il caso di dire delocalizzata “in nome della sicurezza e dell'ordine pubblico” e trasformata in una sorta di “Superbowl all'asado”, una finale snaturata, come quei cuccioli selvatici cresciuti negli zoo. Quello che doveva essere il trionfo del sentimento popolare e del legame viscerale tra il calcio e il suo popolo è diventato uno spot per i suoi detrattori, quelli che ancora parlano di “22 uomini che corrono dietro una palla”, una trasformazione avvenuta a suon di milioni che alla fine ingrasseranno i profitti dei padroni del vapore del calcio sudamericano, non molto diversi dai loro omologhi europei, basti pensare alla condanna a Juan Angel Napout, ex presidente della Comenbol, e di un altro alto papavero come José Maria Martin, all'interno dello scandalo “Fifagate”, per aver creato e gestito un sistema triangolare di tangenti sui diritti TV. Senza neanche menzionare quel grosso buco nero delle squadre-lavatrici, utili cioè a ripulire i soldi sporchi su cui non si è mai voluto fare chiarezza.
Certo, indubbiamente in questi due secoli il subcontinente in ogni suo aspetto ha vissuto problemi ben più gravi, e a dirla tutta, anche adesso che i venti del neoliberismo e della reazione provenienti da Washington spirano a tutta velocità verso di esso travolgendo tutte le conquiste sociali e le speranze costruite con tanta fatica in questo angolo del pianeta ci sarebbero ben altri motivi di preoccupazione per la sorte del Sudamerica e dei suoi singoli stati, come ad esempio il prestito di 57 miliardi erogato dal FMI proprio all'Argentina di Macrì, impantanata tra recessione e disoccupazione galoppante e vicina al nuovo, ennesimo default (ah, il neo liberismo!... ) e già immaginiamo lo scenario che si andrà delineando e di cui forse la “Copa Conquistadores” (così com'è stata polemicamente ribattezzata dagli appassionati sudamericani) è stato un antipasto di quelli piuttosto indigesti.
Giuseppe Ranieri