Molto più che per una partita agonisticamente intensa, ma dal coefficiente tecnico non eccelso, l’incontro di calcio disputatosi nello stadio “Poljud” a Spalato, tra Croazia e Italia, verrà ricordato per la svastica scavata nel campo e per i maldestri tentativi di cancellarla operati nell’intervallo dagli addetti al campo.
Uno spettacolo grottesco che ha attratto verso di sé il biasimo e le critiche generali da parte di tutte le autorità sportive e politiche nonché dell’opinione pubblica croata.
Dalla compagine governativa, guidata dal partito socialdemocratico croato (SDP), fino alla minoranza che fa perno intorno all’HDZ, il partito nazionalista fondato da Tudjman, passando per la presidentessa della Repubblica Kolinda Grabar Kitarovic, la condanna è stata unanime ed ha visto prendere posizione tutte le principali personalità politiche di entrambi gli schieramenti: i primi esprimono forte disappunto, invocando sanzioni esemplari per gli autori del gesto e scagliando caustiche note contro la negligenza dei responsabili dell’ordine pubblico, ma ribadendo la correttezza e la calorosità del pubblico croato che non può essere tenuto in ostaggio da frange minoritarie, mentre i secondi esigono una risposta immediata e forte da parte delle autorità. Da parte sua, il portavoce della questura spalatina Zeljca Radosevic, abbia detto che le autorità hanno già avviato le indagini e che il gesto con ogni probabilità è stato compiuto tra le 24 e le 48 ore prima della partita.
Anche le testate giornalistiche più autorevoli si sono schierate contro questo gesto, dal moderato e tendenzialmente di sinistra “Jutarnji”, a “Slobodna Dalmacija” il quotidiano più venduto nella regione che non ha esitato a rimarcare il background antifascista della città di Spalato.
Nonostante tutto, almeno per il momento l’indirizzo principale sembra quello di non speculare su quanto accaduto, ma di voler buttarsi tutto alle spalle minimizzando.
Forse ciò, più che a una dimostrazione di forza da parte delle istituzioni, è come ammette a denti stretti il Presidente della HNS, la Federcalcio croata, Davor Suker, indimenticata stella della nazionale e del Real Madrid a metà strada tra l’impotente e il costernato, che evidentemente in Croazia c’è un problema con una frangia di ultrà contro la quale al momento le autorità si dimostrano impotenti; infatti sembra abbastanza scontata una sanzione da parte della Uefa nei confronti della Federazione croata.
Non va dimenticato infatti che il match che si giocava nella città dalmata si disputava a porte chiuse a causa del comportamento, ritenuto razzista, dei supporters croati nella precedente partita contro la Norvegia, valida per le qualificazioni ai campionati europei di Francia 2016.
Tuttavia il rapporto preferenziale che ha il calcio col nazionalismo croato non è iniziato affatto in questa stagione calcistica, anzi probabilmente è uno dei miti fondanti della rinascita del nazionalismo croato, o quantomeno è stato uno dei principali detonatori, a partire dall’ormai celeberrimo calcio (o sarebbe più opportuno parlare di ginocchiata in bocca) sferrato da un giovane Zvominir Boban ad un agente di polizia, che stava percuotendo dei tifosi croati, a margine di Dinamo Zagabria- Stella Rossa di Belgrado del 13 maggio 1990, uno dei prodromi di quella spaventosa carneficina che sarebbe accaduta di lì a poco nei Balcani. Ma senza volere entrare nello specifico di un argomento che probabilmente meriterebbe una trattazione sistematica, ci limiteremo a ricordare episodi in una cornice internazionale che confermano questo infausto trend all’interno del calcio croato: dalla svastica umana fatta dai tifosi croati nell’agosto del 2006 a Livorno, per la prima partita ufficiale del C.T. Roberto Donadoni alla guida dell’allora nazionale campione del mondo, agli scontri coi supporters turchi durante gli Europei del 2008 fino ad arrivare alla squalifica di dieci turni comminata al difensore Josip Simunic, per la quale fu costretto a saltare i campionati del mondo dello scorso 2014 in Brasile, per aver cantato al microfono un inno ustascia, quello “Za dom sprenmi”, ovvero un inno con cui questa formazione fascista si vantava delle persecuzioni nei confronti di ebrei, serbi, zingari e anti-fascisti croati.
Pertanto il binomio che in Croazia affianca il calcio al neofascismo è tutt’altro che oscuro, ma rientra a pieno titolo nell’adesione ideologica al revisionismo storico portato avanti dalla classe dirigente croata, che già da diverso tempo ha virato verso una riabilitazione senza colpo ferire dell’esperienza dello stato ustascia in contrapposizione con la liquidazione di tutto quanto possa ricordare il passato all’interno della Jugoslavia socialista che avrebbe limitato la libertà e le aspirazioni nazionali croate. Tendenze queste, che purtroppo appartengono sempre più indistintamente all’Europa Orientale (basti pensare alla riabilitazione in Serbia del leader cetnico e collaborazionista Draza Mihajlovic e a tutto quello che sta accadendo ancora più ad Est, in Ucraina) e che proprio per quello che il mondo ha dovuto vedere in occasione della guerra civile in Jugoslavia, dove i gruppi ultras divennero unità paramilitari, non devono mai essere prese sottogamba.
Giuseppe Ranieri