Sicuramente sarà un giudizio soggettivo dovuto al fatto che la squadra del cuore (se non dell’anima) del sottoscritto vi abbia passato quasi ininterrottamente l’ultimo trentennio, ma sono cresciuto acquisendo la consapevolezza che la serie C fosse la dimensione ideale per vivere il calcio nel nostro paese.
In fin dei conti essa ha rappresentato una via di mezzo, il giusto compromesso tra il calcio mainstream fagocitato dallo show-business e dagli ingaggi spropositati di serie A e serie B e il calcio (semi) dilettantistico con tutta la sua miriade di squadre sconosciute o quasi, e poi la suddivisione per aree geografiche e l’alta densità di “nobili decadute” regalava partite spesso più avvincenti sugli spalti che in campo, con cornici di pubblico che erano il vero punto di forza della categoria incarnando la vera essenza popolare di questo sport e il campanilismo, tratto distintivo del nostro paese. E anche negli ultimi anni, a parte le sfide da bollino rosso, con un po’ di “creatività” si riusciva ad aggirare i vari divieti e limitazioni. Inoltre il fatto di passare di domenica in domenica dall’impianto che fino a poco tempo addietro aveva ospitato la serie A e le sue stelle, al campo in terra battuta della neopromossa di turno, poteva rappresentare benissimo quel passaggio da miseria a nobiltà andata e ritorno, metafora inossidabile della vita.
Certo, personaggi viscidi e poco limpidi come i vari Gaucci e Preziosi si sono fatti le ossa proprio in C e ci sono sempre stati, al pari delle “squadre-lavatrici” usate dalla malavita per ripulire i soldi, ed è altresì innegabile che, puntualmente, arrivati nei mesi primaverili, soprattutto per quel che riguarda il girone meridionale, i risultati strani, per non dire “aggiustati” si moltiplicavano come funghi, ma in fin dei conti che siano esigenze di classifica, di bilancio o… degli scommettitori, poco cambiava anche nelle leghe superiori, come in quei rapporti insani in cui vengono concesse certe libertà e varianti al protocollo, ma che forse ci piacciono proprio per questo.
Tuttavia a tutto c’è un limite e nel corso degli anni da “paradiso fantastico” come recita un coro cantato goliardicamente da quelle curve che non riescono a schiodarsi dal terzo gradino del calcio italiano, la serie C è diventata l’emblema del fallimento del sistema-calcio italiano e soltanto una persona faziosa o disattenta potrebbe limitarsi allo scempio avvenuto a Cuneo la scorsa domenica, senza rendersi conto che quello non è nient’altro che la classica punta dell’iceberg o, a volerla dire tutta, la cima di una montagna di merda.
Come altro definireste un torneo di cui si viene a conoscenza del format definitivo e del numero di promozioni e retrocessioni soltanto il 30 gennaio, a girone di ritorno ampiamente cominciato, e che ancora fino alla fine di ottobre rinviava partite su partite perché c’erano squadre interessate a quell’altra farsa dei ripescaggi, col risultato di trovare ancora oggi dopo i tre quarti del torneo le classifiche monche con diverse partite da recuperare e ben 67 punti di penalizzazione già comminati? Che termine usereste voi per un torneo che consente a una squadra, nello specifico la Viterbese, di non scendere in campo per diversi mesi solo perché voleva cambiare girone e si ritroverà a fare l’ultimo recupero contro una squadra verosimilmente impegnata fino all’ultimo per accaparrarsi il miglior posto possibile nei piani alti della classifica, come il Catanzaro? Pensate che esistano altri campionati europei di prima fascia (ma anche di seconda e, perché no, di terza) in cui delle squadre che vincono i ricorsi presso i tribunali amministrativi si ritrovano a non poter giocare il campionato di pertinenza, perché c’era fretta di cominciare e non si poteva aspettare un sacrosanto ricorso (è il caso della Vibonese l’anno scorso e dell’Entella quest’anno)? E ancora, è mai possibile che la città designata capitale europea della cultura, Matera, non riesca a far finire la stagione alla propria squadra cittadina falsando così ancora ulteriormente un campionato, come se la farsa del Modena dello scorso anno non fosse bastata, visto che ci sono altri casi che appaiono disperati come Lucchese e appunto Pro-Piacenza? Si potrebbe continuare a iosa, partendo dalle oltre centoquaranta formazioni fallite negli ultimi quindici anni, tra cui diverse piazze di un certo spessore e tradizione, ma paradossalmente il principale problema riguarda quelle che in un modo o nell’altro sono riuscite a scamparla, anche a costo di presentare documentazioni incomplete con fidejussioni irregolari e col concreto rischio di arrivare nel giro di pochi mesi al punto di non ritorno, cioè la messa in mora della società da parte dei tesserati, una condizione infernale che gran parte degli appassionati e dei tifosi di serie C ha provato almeno una volta sulla propria pelle.
Non si cerca di sminuire la tragicommedia di Cuneo, sia chiaro, ma probabilmente è un bene che sia accaduto per esasperare questo malcostume e portare alla luce quanta approssimazione e marciume ci sia nella terza serie. Un marciume che non può essere certo risolto dalla vendita dei diritti televisivi con tutto il carrozzone di turni infrasettimanali e orari improponibili, e non serve neanche una tardiva presa di posizione da parte dei vertici della Lega Calcio, Gravina in primis, che promette il pugno duro e si appella alla sensibilità dei tifosi come se egli non fosse stato proprio il presidente della Lega di serie C fino allo scorso ottobre, per la serie “non mi dà fastidio che il coccodrillo mi mangi la gamba, quanto che dopo pianga” e fare la voce grossa, non serve ad altro che a distogliere l’attenzione dalle proprie responsabilità e dalla radice dei mali che affliggono il calcio minore, a partire dall’insostenibilità dei suoi costi e dalla scarsa considerazione di cui gode. Non sarà l’aumento delle così dette “squadre B” l’antidoto a questa malattia terminale, così come non può essere l’arrivo di stelle di prim’ordine in serie A, anzi ciò non farà altro che aumentare il divario e far disamorare l’intera nazione della sua passione.
Senza scadere nella retorica, soltanto un calcio a misura d’uomo in cui sarà possibile effettuare una sorta di controllo attraverso l’azionariato popolare per scongiurare gestioni truffaldine e sceneggiate come quelle di domenica potranno invertire il trend e ridare dignità al calcio e ai suoi folli e inguaribili amanti che sono rimasti gli unici di fatto a combattere l’indifferenza nella quale sta sprofondando.
Giuseppe Ranieri