La Conmebol, la Confederazione sudamericana del calcio, organismo equivalente alla nostra UEFA, ha deciso di sanzionare con una multa di ben 30.000 dollari (che verranno detratti dai successivi introiti derivati dai diritti televisivi) il Deportivo Palestino.
La sanzione è stata comminata perché durante la partita di Copa Libertadores dello scorso 2 aprile giocata al Monumental contro i peruviani dell’Alianza Lima, il club avrebbe veicolato dei messaggi politici, trasgredendo così il regolamento della stessa confederazione, che proibisce di mescolare la politica al calcio, riferendosi nello specifico all’articolo 7.2 comma E in cui viene affermato che non si può “utilizzare un evento sportivo per eseguire dimostrazioni di carattere extra-sportivo” e il 13.2 comma D che punisce “l'uso di gesti, parole, oggetti o altri mezzi per trasmettere qualsiasi messaggio inadeguato ad un evento sportivo, soprattutto se si tratta di natura politica, offensivo o provocatorio”.
Nello specifico, i funzionari della Conmebol imputano allo speaker della formazione cilena la trasmissione di messaggi a sostegno della causa palestinese, poi ripresi da tutto il pubblico che ne chiedeva la libertà e a nulla sono valse le rimostranze della società che rappresenta la comunità palestinese in Cile (la più numerosa del mondo al di fuori dei paesi arabi) che gridare “Palestino y Palestina” è una consuetudine da tempo immemore oltre che parte fondante del rapporto tra la squadra, la tifoseria e la terra d’origine che, per quanto possa sembrare superfluo ricordarlo, proprio nelle ultime settimane ha subito una violenta aggressione a suon di missili e incursioni via terra, l’ennesima, da parte di Israele.
Nonostante il club abbia deciso di non presentare ricorso contro questa decisione, poiché nei regolamenti della Conmebol la responsabilità è oggettiva e quindi di conseguenza si rivelerebbe semplicemente un’ulteriore spesa non prevista per le casse della società, la dirigenza si dice comunque molto contrariata e parla apertamente di decisione iniqua e unilaterale da parte dei vertici della Conmebol e noi, d’altro canto, non possiamo certo dissentire, visto che senza andare a pescare casi celebri nel passato, basterebbe pensare all’aquila franchista presente sullo stemma dell’Union Española, altra squadra cilena, agli endorsement di diversi club brasiliani per Bolsonaro e per rispetto della decenza non ritorniamo sugli scandali che hanno colpito diversi dei suoi dirigenti che affrontammo nell’articolo successivo alla finale di Copa Libertadores di Madrid, altro capolavoro della Conmebol; tutte circostanze che non solo smentiscono in maniera perentoria che il calcio non abbia nulla a che fare con la politica, ma che anzi vi sia strettamente intrecciato là dove conviene alle varie classi dirigenti, dispensando in maniera del tutto ipocrita patenti di liceità a loro discrezione, senza tenere minimamente in conto la passione dei ceti popolari e più in generale di chi popola le gradinate.
Giuseppe Ranieri