Ce n’eravamo già occupati l’anno scorso in occasione dei nostri approfondimenti speciali per i mondiali in Russia, auspicando un repentino cambiamento in grado di garantire l’accesso agli stadi per le donne iraniane, ma le cose stanno andando diversamente. Infatti, è notizia proprio di questi giorni che Sahar Khodayari, una ventinovenne attivista per i diritti delle donne, nonché tifosa dell’Esteghlal, uno dei club più prestigiosi del Paese persiano, è morta in seguito alle ustioni su oltre il 90% del suo corpo che si è procurata il primo di settembre gettandosi addosso una gran quantità di benzina. La tragedia è avvenuta davanti al tribunale di Teheran dove la donna era chiamata a difendersi dalle accuse nei suoi confronti di «insultare il pubblico sfidando il codice di abbigliamento per le donne» essendosi travestita da uomo (stratagemma diffuso tra le donne iraniane per poter entrare negli stadi) per poter assistere a una partita della sua squadra del cuore, l’Esteghlal, e per «aver partecipato a uno scontro fisico con le forze di sicurezza» avendo resistito all’arresto, ma più in generale per la sua opera di sensibilizzazione su questa situazione spinosa.
Sahar è stata arrestata lo scorso 12 marzo per aver tentato di varcare i cancelli dello stadio Azadi (che, oltre al danno la beffa, significa “libertà”) in modo da assistere alla partita tra l’Esteghial e l’Al-Ain Fc, squadra degli Emirati Arabi Uniti; dopo aver passato tre giorni e tre notti in cella è stata rilasciata dietro il pagamento della cauzione e successivamente avrebbe affrontato un processo che le avrebbe dovuto far scontare sei mesi di reclusione, nonostante la sorella avesse dimostrato che lei fosse in cura perché soffriva di disturbo bipolare, senza che ciò venisse valutato come una valida attenuante. Ed è stato proprio al termine di un’udienza del processo che la giovane attivista ha commesso il gesto estremo non prima (almeno stando a quanto riportano le agenzie) di aver invitato il giudice a rinviare l’udienza successiva in modo da poter partecipare al suo funerale.
Com’era facilmente preventivabile, la tragica fine di Sahar ha dato il là a un nuovo giro di accuse da parte della comunità internazionale nei confronti dell’Iran, già finito al centro di accuse e minacce (a volte parse eccessivamente strumentali) di ulteriori sanzioni nelle scorse settimane: infatti, occorre ricordare che è dal 1979, anno della rivoluzione khomeinista, che il regime confessionale istauratosi nel Paese persiano ha interdetto l’accesso agli stadi alle donne, poiché guardare uomini praticare sport le indurrebbe alla promiscuità; non è un caso infatti se negli scorsi mondiali ci fosse molta curiosità e interesse sulla partecipazione delle tifose iraniane. Nonostante tali disposizioni una rete di attivisti e attiviste sta conducendo una battaglia che ha portato qualche miglioria seppur parziale, quantomeno per altri sport, ad esempio adesso le donne possono assistere ai match di pallavolo, ma a patto che siano accompagnate dai loro coniugi e in settori appositi.
Tuttavia una censura così rigida va contro il regolamento della FIFA che al punto 4 stabilisce che ogni tipo di discriminazione nei confronti di un Paese, persona o gruppo di persone si basa su razza, colore della pelle, origine etnica, nazionale o sociale, genere, disabilità, lingua, religione, opinione la politica o qualsiasi altra opinione, ricchezza, luogo di nascita, orientamento sessuale o qualsiasi altra ragione è severamente vietata e punibile con sospensione o espulsione».
E infatti il massimo organismo calcistico, grazie anche al supporto di diversi protagonisti del calcio internazionale, ha fatto e continua a esercitare (più o meno blandamente, a seconda delle contingenze) pressioni nei confronti dell’Iran, arrivando a minacciare una sua esclusione da tutte le competizioni internazionali, frenando lo sviluppo di un movimento calcistico che dal punto di vista prettamente agonistico si sta rivelando davvero interessante. Lo stesso Infantino nel marzo 2018 vi si è recato per assistere al sentitissimo derby della capitale tra l’Esteghlal e il Persepolis, proprio a voler dimostrare l’attenzione e il costante monitoraggio della FIFA sulla vicenda, ma nonostante la sua presenza quel giorno furono arrestate trentacinque donne che volevano assistere alla partita.
D’altro canto, giusto per usare un eufemismo, è difficile aspettarsi dalla FIFA un atto così coraggioso capace di dare seguito ai proclami e che vada in controtendenza con le sue bisettrici storiche, infatti da un lato e dall’altro ci si è limitati alle promesse: quelle della FIFA di restituire un sorriso alle donne iraniane e quello delle autorità locali di consentire loro l’accesso, seppur con diverse limitazioni, ma a rimarcare quanto queste siano state entrambe vacue, il gesto estremo di Sahar e il commento intriso di amaro sarcasmo da parte dell’organizzazione Open Stadium che dal suo account twitter ha scritto: «Nel caso in cui l'umiliazione, la detenzione e la prigione non fossero sufficienti per la FIFA per agire, ora bruciamo per mostrare al mondo che anche le donne iraniane vogliono guardare il calcio».
Del resto si sa che per quanto possa essere tragico, soltanto un gesto estremo come questo è in grado di rompere gli stalli conclamati e infatti sembrerebbe che ora la FIFA abbia dato un ultimatum alla federcalcio iraniana per eliminare questo divieto entro il prossimo 31 agosto, con la speranza che finalmente anche in Iran così come altrove, andare allo stadio possa essere un diritto inalienabile per chiunque!
Giuseppe Ranieri