Com’è ampiamente immaginabile, la quarantaseiesima edizione della Maratona di Berlino in programma domenica prossima attirerà tutti gli appassionati e intenditori che potranno soffermarsi sulle principali stelle, sia in campo maschile con Kenenisa Bekele, l’etiope tre volte campione olimpico, i suoi connazionali Birhanu Legese, Leul Gebrselassie e Sisay Lemma e il keniota Felix Kandie, che in quello femminile come Gladys Kerono e Meseret Defar.
Tuttavia, anche chi non è esattamente un appassionato del podismo potrebbe trovare dei motivi di interesse per seguire la gara, magari adottando alla lettera i dettami di De Coubertin, quindi senza il bisogno di doversi necessariamente concentrare sulla testa della corsa e sui probabili vincitori, ma sui partecipanti e in particolare su uno di essi che porterà sulle proprie spalle il dolce peso di dover rappresentare un intero popolo, o più prosaicamente una bandiera della Palestina.
Ci riferiamo a Mohammad Alqadi il maratoneta originario di Silet al-Thaher, un villaggio vicino Jenin nella parte occidentale della West Bank occupata e che ora vive in Francia, a Lione, dove si è trasferito per studiare la cucina francese.
Alqadi, che ha completato dodici maratone internazionali negli ultimi due anni, corre l’intero percorso di ogni sua gara con una bandiera palestinese sulle spalle e una canotta blu con la scritta “Palestine”, a voler rimarcare l’orgoglio di far parte di un popolo e di una terra che lotta quotidianamente anche solo per affermare la propria identità; in ogni caso il suo attivismo non si limita alla semplice esposizione della bandiera. Infatti, pur cercando di tenere separati l’ambito sportivo da quello prettamente politico, abbraccia iniziative ben più concrete che mirano ad aiutare le associazioni che operano in Palestina: ad esempio ha corso la Maratona di Londra dello scorso aprile per riuscire a fornire acqua potabile agli abitanti della striscia di Gaza, insieme all’organizzazione di beneficenza Penny Appeal. Ma soprattutto, è stato fondatore dell’associazione “Runners for freedom”, un movimento che include svariati corridori e differenti cause, accomunate dalla prospettiva di utilizzare lo sport come mezzo di diffusione per messaggi umanitari di pace e libertà per i popoli oppressi.
Paradossalmente, ma neanche tanto per chi ha una certa dimestichezza con quanto avviene in quel lembo di terra, pur avendo avuto sin da piccolo una passione per la corsa, la sua carriera agonistica è iniziata proprio dal suo trasferimento all’estero, data la cronica penuria di infrastrutture in Palestina (dove era un brillante studente di ingegneria delle telecomunicazioni).
Ovviamente, per questa sua coraggiosa presa di posizione, ha subito diverse provocazioni e aggressioni, ad esempio recentemente ha dovuto rinunciare alla Maratona di Chicago poiché soggetto a un divieto di sbarco negli Stati Uniti su pressione della potente lobby sionista, ma siamo sicuri che episodi come questo non faranno altro che aumentare la sua tenacia e l’orgoglio nel portare avanti questo ruolo di ambasciatore informale del popolo palestinese, come ormai lo identifica la sua gente, quella stessa gente che compie vere e proprie trasferte per andare a vederlo correre e lo applaude lungo le strade che percorre e che ci auguriamo tutti condurranno prima o poi alla libertà e alla dignità per tutto il popolo palestinese!
Giuseppe Ranieri