Che il mondo del pallone attuale abbia più di qualche problema da affrontare lo abbiamo imparato da parecchio tempo oramai. Sono stati infatti molti i casi in cui anche noi abbiamo messo in luce lati del mondo calcistico che si scontravano inevitabilmente con la realtà sociale e politica circostante.
Tra questi sicuramente ci sta il fatto che, in determinate situazioni, non si riesca a garantire lo svolgimento di una singola partita per questioni di ordine pubblico. L’ultimo caso, in ordine cronologico, risale solamente a poche ore fa quando la Liga spagnola ha deciso che il clasico Barcellona-Real Madrid, in programma il prossimo 26 ottobre al Camp Nou, deve essere spostato a data da destinarsi.
A spingere il massimo organo calcistico iberico ad una decisione così drastica è stata la sentenza della Corte Suprema Spagnola che ha elargito pesanti condanne per i leader politici catalani che organizzarono il referendum per l’indipendenza della regione autonoma della Catalogna nell’ottobre 2017.
A seguito di queste condanne sono scoppiati violenti scontri per le strade di Barcellona tra i manifestanti indipendentisti e le forze di polizia. Inoltre, proprio per il pomeriggio del 26 ottobre, a poche ore dal match, è stata convocata una grande manifestazione di protesta per le strade del capoluogo catalano.
Questi eventi hanno spinto i vertici della Liga a prendere una decisione che non ha precedenti nella storia del calcio spagnolo.
Oltre a ciò bisogna prendere in considerazione la forte rivalità, non solo calcistica, tra le due tifoserie che rende ancora più difficile il controllo della situazione. Non è infatti una novità che la maggior parte dei tifosi blaugrana sono a favore dell’indipendenza da Madrid mentre quelli delle merengues sono filo-monarchici e con forti simpatie verso l’estrema destra.
All’inizio si era pensato ad un’altra opzione: spostare il match del 26 ottobre a Madrid e giocare il ritorno, a marzo 2020, a Barcellona. Ma questa proposta aveva trovato la forte opposizione di entrambi i club per questioni logistiche.
Non è la prima volta che il calcio si trova coinvolto in una situazione in cui a dettare legge è quell’ambito che può rientrare, a pieno titolo, nel campo della cosiddetta sicurezza. Già lo scorso dicembre si decise di giocare al Bernabeu un’altra partita di vitale importanza: la finale di ritorno della Copa Libertadores sudamericana.
A scendere in campo, per aggiudicarsi il più importante trofeo calcistico del continente latino-americano, dovevano essere River Plate e Boca Juniors, le due squadre più importanti di Buenos Aires, che da sempre danno vita ad uno dei derby più spettacolari del mondo. Il match di andata, giocato in casa del Boca, la mitica Bombonera, era stato caratterizzato da forti scontri tra le due tifoserie che, anche in questo caso, sono divise da una storica rivalità.
Anche in quell’occasione la federazione calcistica locale, l’AFA, non era stata in grado di assicurare un degno servizio d’ordine al fine di evitare contatti tra i supporters rivali. Alla fine la Copa la alzò il River ma non furono poche le polemiche per una decisione del genere. A far levare le maggiori voci di protesta fu soprattutto la scelta di disputare la partita decisiva in un altro continente e in una città distante più di 10.000 km da Buenos Aires.
È buffo vedere come, in un mondo del pallone in cui il concetto di sicurezza detta legge in lungo e in largo, le stesse istituzioni non riescano poi a garantire lo svolgimento di una partita non appena questa si deve giocare in una condizione non proprio ottimale, condizionata dagli eventi sociali o politici che la circondano.
Evidentemente, nonostante siano molti i proclami fatti in merito dai vertici del calcio mondiale, sono ancora parecchie le falle nel sistema. Nonostante ci raccontino che la politica deve restare lontana dagli stadi, e che il calcio debba essere uno spettacolo a sé, avulso dal contesto delle città e delle regioni dove le squadre militano, questo semplicemente non è possibile: un fenomeno di massa come il calcio non si può imbrigliare in una sorta di realtà virtuale pacificata.
I padroni del calcio mondiale fanno i miliardi proprio perché è una passione che coinvolge tantissima gente. Dovranno farsene una ragione: vuoi per rivalità profonde che sfociano in violenza, vuoi per eventi politici che sconvolgono la quotidianità delle persone, ogni tanto la massa di quelli che loro ritengono semplici “consumatori” verrà a bussare alle loro porte, con intenzioni niente affatto concilianti.
Roberto Consiglio