Una delle cose che il nuovo millennio (ma le radici affondano ben prima) ha appurato è che il calcio, il raccontare il calcio e la speculazione faziosa su entrambi, come ad esempio quella che ha riguardato l’idealizzazione del derby di Berlino che è andato in scena sabato 2 novembre, possono essere uno straordinario strumento di propaganda politica.
Era sicuramente il derby più atteso dell’anno nel vecchio continente e non sarebbe potuto essere altrimenti: dalla caduta del Muro, per la prima volta nel massimo campionato tedesco si affrontavano due squadre berlinesi, la neo-promossa Union e l’Hertha, così vicine e così lontane per una serie sterminata di motivazioni. Principalmente per i campionati in cui hanno militato per gran parte della loro storia: l’Hertha disputava quello della Germania dell’Ovest, mentre l’Union quello della Germania orientale; ma anche il background d’appartenenza sia delle squadre che di conseguenza quindi anche quello delle rispettive tifoserie: i biancoazzurri risiedono nel quartiere borghese di Charlottenburg con una tifoseria piuttosto freddina, mentre i biancorossi dal quartiere operaio di Kopenick, il che lo ha reso il club per antonomasia vicino agli operai, principalmente metallurgici, da qui l’epiteto di Eisern Union (Unione di ferro) per il club, mentre i suoi tifosi sono da sempre chiamati Schlosserjungs, i ‘ragazzi metalmeccanici’.
Inoltre Lo stadio dell’Hertha è il rimodernato Olympiastadion, costruito per le Olimpiadi del 1936, capace di contenere 75.000 spettatori, mentre invece lo stadio dell’Union, che può ospitare 22.000 spettatori, di cui solo 3.500 a sedere è salito recentemente agli onori della cronaca perché, oltre a trovarsi in una foresta, è stato ristrutturato nel 2008 grazie al lavoro volontario dei propri tifosi: si calcola che circa 2000 tifosi biancorossi ci abbiano lavorato per un totale di 14.000 ore, e circa 300 giorni di lavoro. Fuori dall’Alte Försterei c’è un monumento raffigurante un caschetto da operaio per omaggiare gli autori dell’impresa e simboleggiare il connubio tra la classe operaia e il club, che da parte sua ricambiò mettendo in vendita 4141 azioni dello stadio, a 500 euro ciascuna (rendendolo di fatto parzialmente di proprietà dei tifosi, caso unico in Germania e comunque molto raro anche nel resto d’Europa), non prima di aver messo in piedi una campagna mediante l’affissione di manifesti coi volti di Blatter, Platini e di altre “eminenze” del calcio moderno (sembrerebbe esserci stato anche Berlusconi) con su scritto “Stiamo vendendo la nostra anima, ma non a chiunque!”.
Va da sé che la simpatia tra le due tifoserie, paradossalmente (ma neanche tanto) sviluppatasi quando i due club in pratica appartenevano a due mondi diversi e contrapposti, non poteva sopravvivere a lungo una volta che le due squadre si sarebbero rincontrate e potute affrontare in maniera ufficiale, finendo per rappresentare due delle tante anime che Berlino, che probabilmente è la capitale calcisticamente meno fortunata d’Europa, trattiene nel suo ventre.
La narrazione che avrebbe voluto dipingere questo incontro, che non è comunque il primo derby della capitale tedesca in Bundesliga (che giova ricordare è il campionato storico dell’allora Germania Ovest allargato dopo il 1989 pochissime squadre della DDR, declinando nel calcio quello che è più un inglobamento di tutte le attività della Germania orientale che una riunificazione), come uno dei picchi delle celebrazioni del trentennale della caduta del Muro, dell’unità e della fratellanza ritrovata tra i berlinesi, paventando addirittura l’ipotesi di designare la partita il 9 novembre, giorno in cui nel 1989 cadde il muro (ma la politica non doveva restare fuori dal calcio? E tutti i corifei del romanticismo avulso dal calcio nel 2019 sono andati tutti in vacanza per il ponte dei morti?) si è infranta contro i disordini sugli spalti tra le due tifoserie con tanto di invasione dei tifosi della Union nel tentativo di raggiungere gli avversari e nel reciproco lancio di torce e fumogeni. Francamente, pur essendo tutt’altro che ammiratori o solidali con la tifoseria del Verona, fa sorridere paragonare la differenza di trattazione sulla stampa nostrana del comportamento dei fans gialloblu contro Balotelli, rispetto ai momenti di disordine all’Alte Försterei, visto che il messaggio che doveva passare è che il derby rappresentava il contributo dello sport alle suddette celebrazioni e ci si incaponiva nel voler definire la rivalità tra le due tifoserie, come “non sentita” e “quasi forzata”.
Non che ci scandalizzino queste cose, per carità, anzi continueremo sempre a preferire un clima elettrico e pieno di adrenalina rispetto a quelle asettiche riproduzioni dei salotti che vorrebbero propinarci, ma l’esaltazione della Union Berlin e della sua storia a tratti splendida, ci sembra l’ennesimo espediente di chi utilizza tutti i modi possibili (compresi il calcio e lo sport più in generale) per ridefinire le coordinate storiche, influenzando il presente e tentando così di predeterminare il futuro. Anche l’identità dell’Union Berlin sembra venire manipolata per questi fini, un po’ ad esempio quando si trasforma l’ostalgie in un prodotto commerciale per hipster e non in un fenomeno sociale di ripensamento sull’eredità della Germania dell’Est, e questo derby ne è stato un triste esempio: dal continuo rimando alla Dinamo Berlino (che annaspa in quarta serie) che era il club prediletto e protetto dalla Stasi e da tutto l’apparato statale della DDR anche a costo di farle ottenere vittorie torbide, della quale l’Union sarebbe diventata non solo l’antagonista sportiva cittadina, ma anche politica e sociale. Salvo omettere che al giorno d’oggi, a differenza proprio di quanto accade per la Dinamo (e in parte minore anche per l’Herta), la tifoseria biancorossa ha una forte base antirazzista e antifascista e la società mantiene un codice etico con un tetto abbastanza modesto agli acquisti, e che quindi l’antagonismo all’establishment della DDR era più la rappresentazione di quella incomunicabilità che purtroppo a un certo punto si venne a creare tra la classe politica e la popolazione, che di quella voglia matta di repulisti della tradizione socialista che anima le cancellerie europee al giorno d’oggi.
Così come ci fa strano leggere l’esaltazione della storia dell’Alte Försterei in un periodo in cui siamo circondati dai corifei degli stadi multifunzionali “che possano massimizzare i profitti ed espandere al massimo le proprie potenzialità”, ma pur di poter orchestrare una narrazione immacolata si è disposti a questo e ad altro, un po’ come, visto che siamo in tema di trentennale della caduta del Muro, tutti citano le numerose fughe da Est verso Ovest, ma quasi nessuno racconta di come una buona parte dei fuggiaschi tornasse dopo poco tempo oltrecortina, una volta resisi conto che il prezzo da pagare per la libertà occidentale era, la negazione delle garanzie sociali e dei rapporti di solidarietà alla base della vita quotidiana nella DDR, e il discorso potrebbe essere allargato a tutta l’epopea post-1989, ma non è questa la sede più adatta per un discorso in cui andrebbe messo in discussione proprio il ruolo della storia e degli interessi di parte a cui essa viene quotidianamente piegata. Qui ci limitiamo semplicemente a invitare tutti gli appassionati di fiabe calcistiche dal retrogusto liberal a tenersi strette storie come il Sassuolo, il Chievo Verona, il Basakshehir, il RedBull Salisburgo ecc… ma di togliere le mani dall’Union Berlin!
Giuseppe Ranieri