Venezuela, Cile, Ecuador e adesso Bolivia. Sono molti gli Stati del continente sudamericano interessati negli ultimi mesi da una situazione di grave crisi interna dal punto di vista politico e sociale, benché siano sommovimenti di segno politico molto diverso tra loro. Ciò che sta succedendo dalle parti di La Paz rappresenta solo l’ultimo esempio, in ordine cronologico, che si può fare in tal senso. A far scoppiare la “rivolta”, o per meglio dire le manovre golpiste delle forze di destra, nella terra di Evo Morales, il presidente indigeno in carica dal 2006, è stata la discussa vittoria dello stesso Morales durante le ultime elezioni nazionali tenutesi lo scorso 26 ottobre.
Secondo l’opposizione tale tornata elettorale sarebbe stata caratterizzata da più di un broglio che avrebbe permesso all’ex leader del movimento dei cocaleros di tornare ad abitare nelle stanze del Palacio Quemado di La Paz. Per far sentire la propria rabbia i militanti del partito di opposizione dell’Unidad democratica (Ud) hanno dato il via ad una serie di manifestazioni, appoggiate anche dall’esercito nazionale e dall’ultra-destra locale, per chiedere le dimissioni del presidente boliviano.
Queste serie di scontri, che hanno portato il paese sull’orlo di una vera e propria guerra civile, hanno raggiunto il risultato sperato. Pochi giorni fa lo stesso Morales è stato infatti costretto a fuggire in Messico e ad indire nuove elezioni a cui non si presenterà.
A capo del governo “ad interim”, che sostiene che cercherà di guidare il paese verso una nuova tornata elettorale nel minor tempo possibile, è stata messa la leader dell’Ud, e finora seconda vicepresidente del Senato boliviano, Jeanine Anez, una rappresentante della classe dominante locale e degli interessi delle grandi multinazionali verso le ingenti quantità di materie prime di cui la Bolivia è ricca, litio in primis, che oltretutto non ha mai mascherato le sue idee razziste e classiste.
Tale situazione ha spaccato la società locale in due fazioni: chi è a favore del golpe e chi invece vorrebbe mantenere il percorso di riforme sociali intrapreso in questi anni. Tra chi ha preso una posizione netta non poteva mancare qualcuno che ha un rapporto diretto con il mondo del calcio locale.
Poche ore fa, per la precisione, il portiere della nazionale del piccolo paese andino Carlos Lampe ha scritto un tweet emblematico sulla sua pagina social personale. Il messaggio, difatti, diceva: «Abbiamo già il presidente! Grazie a Dio, pregheremo affinché tu prenda le migliori decisioni. Speriamo che la pace ritorni, che non ci saranno più morti, che non ci sarà più sangue, che nessuno esporrà la propria vita e che impariamo le lezioni che ci hanno lasciato in questi 21 giorni: siamo tutti fratelli, tutti vogliamo il bene del paese».
Tale messaggio rappresenta una vera e propria presa di posizione riguardo la situazione politica a La Paz. Il fatto che colpisce di più è che, fino a pochi mesi fa, l’estremo difensore dei Los Altiplanicos era stato “benedetto” dallo stesso Evo Morales.
Per la precisione, nell’ottobre 2018, il presidente boliviano aveva augurato nuova fortuna allo stesso Lampe dopo il suo approdo presso la squadra argentina del Boca Juniors, una delle più famose e titolate dell’intero continente latino-americano. «Fratello Carlos Lampe, vai avanti con umiltà, disciplina e sacrificio. Sei un grande esempio per le nuove generazioni. Congratulazioni e successi nelle tue decisioni future. Siamo sicuri che continuerai a onorare il nome della nostra amata Bolivia»: era stato questo il messaggio recapitato al giocatore dal numero uno del governo di La Paz.
Inoltre, lo stesso governo della Bolivia aveva difeso l’estremo difensore che, durante la partita di qualificazione con il Brasile dello scorso giugno, era stato insultato dai tifosi verdeoro con dei cori omofobi. Lampe non era rimasto indifferente a questo supporto e, una volta che gli fu concesso di incontrare lo stesso Morales, gli aveva regalato una maglia firmata degli xeneizes.
Insomma ancora una volta, in Sud America, politica nazionale e calcio vanno a braccetto. Abbiamo visto, sia nei decenni precedenti sia nelle ultime settimane, come siano stati, dal Cile all’Argentina passando per il Brasile, molti i casi di calciatori che hanno preso posizione riguardo determinate situazioni politiche interne ai loro paesi. Anche in questo caso sembra che Carlos Lampe abbia seguito la strada dei suoi colleghi e abbia deciso di schierarsi da una parte politica ben precisa.
D’altronde in Stati in cui i giocatori, a volte, sono visti come dei veri e propri idoli e modelli da seguire anche fuori dal campo, non ci sorprende che ci sia anche in Bolivia chi cerca di mettere insieme due ambiti che secondo alcuni dovrebbero essere totalmente indipendenti tra loro, cosa che sappiamo essere quasi impossibile. Lampe non sarà l’ultimo calciatore che decide di giocare ad un gioco del genere, stavolta purtroppo dalla parte dei più potenti.
Solo il tempo ci darà quale sarà il prossimo. Noi dobbiamo solo aspettare che avvenga qualche altro esempio di questo tipo per poterlo raccontare e trarne le dovute considerazioni. Nel frattempo ci teniamo stretta la nazionale cilena che ha sospeso le proprie attività in solidarietà a chi si sta ribellando contro il governo di ultra-destra: praticamente l’esatto contrario rispetto alla vicenda che abbiamo raccontato stavolta.
Roberto Consiglio