(Flavio Pagano, Senza paura, Giunti, 2014)
Se non pretendesse di offrire una narrazione, e quindi inevitabilmente una serie di giudizi, su un fatto di cronaca così delicato e controverso come quello dell'omicidio di Ciro Esposito, Senza paura sarebbe un libro come molti altri: una storia familiare caratterizzata dalla perdita e dalla sofferenza, narrata dalla voce di un nonno reso duro e a suo modo saggio dalla vita, non privo di una spiccata tendenza moralista. Una madre che muore prematuramente, un padre scellerato e un rapporto intenso e particolare tra nonno e nipote, che segna profondamente la crescita del ragazzo. Gli ingredienti-base per un libro semplice e scorrevole, non certo un capolavoro ma neanche qualcosa su cui spendere giudizi troppo negativi, se non fosse per un approccio troppo didascalico in cui l'autore tramite la voce narrante del nonno dispensa giudizi su come sia giusto o meno comportarsi nella vita. Ma fin qui, poco male.
Non si capisce invece il motivo per cui l'autore non si limiti a produrre un racconto di fiction, ma si senta in dovere di ispirare il suo lavoro alla tragica vicenda di Ciro Esposito. O meglio, ad essere maliziosi un motivo lo si può trovare nel fatto che ispirare un romanzo ad un fatto del genere a pochi mesi dagli avvenimenti può aiutare almeno un po' sugli scaffali delle librerie. Ma nel leggere il libro, una riflessione sorge spontanea: l'autore poteva benissimo inventare tutta quanta la storia, alla fine non è così complicato inventare uno scontro di strada in cui qualcuno perde la vita. Ma il rischio sarebbe stato a quel punto quello di produrre un romanzo del tutto anonimo. Il fatto è che la storia di Ciro è raccontata con un mix di realtà e finzione che lascia piuttosto interdetti: Ciro (Bruno nel romanzo) ha perso la madre in tenera età, mentre nella realtà la madre non solo è viva ma è assoluta protagonista della vicenda; Ciro muore la sera stessa in cui viene ferito; Ciro è sostanzialmente alla prima trasferta della sua vita, e vi partecipa soprattutto per prendersi una rivincita sul padre, capo ultrà che però non lo vuole a fianco a lui sulle gradinate. Ma tutto ciò convive con elementi di cronaca: la morte avviene prima della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina giocata a Roma, lo scontro fatale è con ultras della Roma e avviene sul viale di Tor di Quinto presso un circolo appartenente ad alcuni di loro. Anche il racconto della dinamica dello scontro unisce elementi veri, verosimili, versioni giornalistiche né confermate né smentite ed elementi di fiction come il padre di Bruno/Ciro che tiene testa da solo ad un manipolo di romanisti assatanati. Vicina alla realtà è anche la descrizione dell'ambiente fascio-malavitoso da cui provengono i romanisti coinvolti nello scontro, mentre è decisamente edulcorata la visione che viene data dei napoletani: in sostanza una gita di parrocchia in cui l'unico ultrà è il padre di Bruno/Ciro, insomma una lettura buonista (vista per la verità troppo spesso anche nella vicenda “vera”) che non rende secondo noi giustizia alla figura di Ciro, caduto in prima linea in uno scontro duro, dove certo però uno non si immaginerebbe di trovarsi di fronte ad un'arma da fuoco. Ma non stava aiutando anziani ad attraversare la strada. Insomma in tutta la narrazione della vicenda c'è un continuo rimbalzo tra realtà, verosimiglianza e pura invenzione, volutamente confuse e mischiate tra loro. Il risultato non può che lasciare perplessi. In un'intervista l'autore dice di aver modificato molto la storia, specie quella familiare, per non addentrarsi nel dolore di una famiglia, insomma per non mettere il dito nella piaga. Ci permettiamo allora un'osservazione: così è troppo facile. Se ci si addentra in una storia vera perché ha un forte appeal, è necessario prendersi delle responsabilità di fronte a quella realtà che si vuole narrare. Altrimenti, che sia pura fiction.
Due parole vanno infine spese sul modo in cui Pagano rende del tutto stereotipata la figura dell'ultrà, riassunta in Antonio, il padre di Bruno/Ciro: sostanzialmente una bestia, un violento, un analfabeta dei sentimenti buono solo a seminare delusioni intorno a sé nella sua vita privata, e a seminare feriti negli scontri da stadio. Traspare chiaramente tra l'altro il fatto che per l'autore questo sia il ritratto dell'ultrà, di qualsiasi ultrà. Non è ammessa la varietà in questo mondo, non è ammesso che le curve siano uno spaccato della società, in cui convivono personaggi come Antonio, criminali e gente losca, persone dal cuore grande e piene di ideali e valori, comitive di amici, gente senza una lira e stimati professionisti. Non è ammesso che nelle curve si verifichino episodi violenti così come gesti di amicizia e solidarietà, non è ammesso che possa esistere una socialità piena e vera nelle curve, ma solo odio e pulsioni da uomini primitivi. Non è ammesso nella mentalità di Pagano che le stesse persone che vanno a spalare il fango durante le alluvioni o raccolgono fondi per mille iniziative di solidarietà siano spesso gli stessi che la domenica si picchiano allo stadio. Non ci sono sfaccettature, non c'è dialettica, è tutto o bianco o nero: tutti gli ultras sono incapaci di crescere un figlio; tutti gli ultras hanno in testa solo il calcio e se ne fottono di tutto il resto; tutti gli ultras sarebbero capaci di sparare durante uno scontro.
Per questo ci sembra giusto che si parli di un libro come questo: perché è indice di una mentalità molto infida (proveniente tra l'altro, manco a dirlo, dall'intellettualità “di sinistra”), che distribuisce giudizi morali in modo totalmente piatto e tagliato con l'accetta, ma non manca certo di “approfittare” di episodi di cronaca per acquisire la giusta visibilità. Insomma, il contrario di come si fanno le cose secondo noi.
Matthias Moretti