Nel 2017 gli spot trasmessi durante il Super Bowl sono costati agli sponsor locali 175.000$ al secondo. Feste private in cui sono stati consumati 1,33 miliardi di ali di pollo e quasi 30 milioni di fette di pizza soltanto da Domino’s e Pizza Hut, oltre a 2,4 miliardi di dollari in alcool. Combinando questi numeri con gli stratosferici prezzi dei biglietti, ogni osservatore ragionevole concluderebbe che il Super Bowl rappresenta il consumismo capitalista ai suoi massimi livelli.
I conservatori nell’ambito del gioco hanno sostenuto con orgoglio che il football forma gli spettatori in queste virtù capitaliste. Jack Kemp, quarterback diventato membro del Congresso, ha celebrato il football come «capitalismo democratico» in azione; Fran Tarkenton, che ha fatto di se stesso un business e ha pubblicato tre libri all'età di 30 anni, ha definito il gioco «parte del nostro sistema di impresa libera».
Ma questo non è mai stato vero. Come ha osservato una volta l'ex proprietario dei Cleveland Browns, Art Modell, la NFL è gestita da «un gruppo di repubblicani grassi che votano socialista nel football». Secondo Rosabeth Moss Kanter della Harvard Business School, poche associazioni del settore hanno esercitato in modo più efficace il potere del vantaggio collettivo. In realtà, non è stata la competizione, ma piuttosto la capacità storica della NFL di organizzare la competizione – con l'incoraggiamento del governo e dei fan – che ha permesso la creazione del Super Bowl.
Nella primavera del 1966, Tex Schramm, direttore generale dei Cowboys della NFL, e Lamar Hunt, proprietario dei Chief della American Football League, concordarono che il libero mercato stava uccidendo il calcio professionistico. I migliori giocatori dei college hanno potuto mettere le due leghe l'una contro l'altra, scatenando la competizione per accaparrarsi talenti che ricevevano guadagni stellari, particolarmente noto il contratto di Joe Namath con i Jetz allora firmato per 427.000 dollari. I giocatori veterani hanno potuto aumentare i loro compensi passando da una lega all’altra o semplicemente minacciando di farlo.
Una fusione, decisero Hunt e Schramm, avrebbe salvato i proprietari da se stessi privando i giocatori del vantaggio contrattuale: con una sola lega, non ci sarebbero più stati accordi come quelli di Namath perché i giocatori avrebbero dovuto accettare i termini della proposta invece di valutare un’offerta competitiva dall’altra lega. E senza la fusione, «squadre deboli come Denver e Boston così come, probabilmente, Kansas City, Pittsburgh e Miami non sarebbero potute sopravvivere a lungo a una guerra monetaria», ha ammesso un portavoce della NFL.
A giugno Hunt, Schramm e il commissario della NFL Pete Rozelle, hanno rivelato pubblicamente il loro piano di incorporare l'AFL nella NFL, pagare indennità ai Giants e ai 49ers (che subivano la competizione locale con i Jets e i Raiders) e giocare un campionato. Sfortunatamente, questo piano aveva un problema: la fusione proposta violava chiaramente lo Sherman Antitrust Act.
Ma nel giro di tre mesi, un disegno di legge che ha dato il via libera al progetto è arrivato attraverso il Senato degli Stati Uniti. Il rapido passaggio di questa legislazione ha rivelato come i membri del Senato avidamente, sperando di attirare il football professionistico nei loro Stati, abbiano fatto l'offerta della NFL. Secondo l'assistente speciale per le relazioni legislative del presidente Lyndon B. Johnson, Lawrence O'Brien, l’interesse pubblico, «alimentato dai media», ha creato una forza legislativa schiacciante.
Fu l'ultima delle modifiche legali sancite a livello federale che, secondo un economista, potenziarono il football professionistico nel porsi «in netto contrasto con il capitalismo americano». Tra queste, il decreto sui giocatori universitari dopo il 1935, che negava loro il diritto di scegliere i loro datori di lavoro; il divieto di trasmettere le partite in casa del 1953, che impediva alle emittenti televisive di trasmettere il programma che il proprio pubblico desiderasse di più; e contratti televisivi per tutto il campionato nel 1961, che trattavano il campionato come una singola entità piuttosto che come imprese concorrenti. Su suggerimento del presidente John F. Kennedy, il Congresso legittimò in fretta questi contratti per garantire la sopravvivenza del football professionistico, purché «tale accordo aumentasse anziché diminuire il numero di squadre di football professioniste che operano in questo modo».
La corsa alla fusione si arrestò a causa del repubblicano Emanuel Celler di Brooklyn, presidente della sottocommissione antitrust e monopolio della Camera. Il Senato aveva firmato senza nemmeno tenere un'audizione pubblica. Ma Celler sospettava che la nuova entità, che godeva di «potere virtualmente illimitato su un gruppo di dipendenti», non avrebbe portato benefici alla forza lavoro della lega.
Rozelle, il commissario del football, usò le solite argomentazioni con Celler, attestando che «sarebbe esistita sostanzialmente la stessa base di opportunità economiche» e un progetto comune avrebbe favorito la parità tra le squadre e rallentato la crescita dei salari. Produsse più di quattro pagine a interlinea singola di dichiarazioni di supporto da parte di giornali e giocatori, la maggior parte dei quali veterani che sostenevano che gli enormi bonus ai principianti prodotti dalla competizione tra le leghe stavano danneggiando il morale della squadra. Con la fusione delle leghe, i principianti avrebbero perso il loro potere contrattuale e questi bonus sarebbero calati. Il legale della NFL aggiunse che la legge antitrust proteggeva i consumatori e, «in questo caso, il consumatore finale [interesse] favorisce questa transazione».
Dubbioso, Celler accettò.
Ma c’erano forze potenti dietro la NFL. Gran parte del comitato di Celler sostenne il disegno di legge. Democratici e repubblicani allo stesso modo convennero che fermare la fusione avrebbe deluso milioni di persone. La promessa della competitività futura delle loro squadre locali motivò in gran parte questo supporto. Byron Rogers del Colorado sottolineò che i Broncos avevano vinto solo una partita in quella stagione, ma «avrebbero avuto più possibilità di competere con altre franchigie» con l'aiuto della legge, e Clark MacGregor del Minnesota, un «fan accanito» dei Vikings senza vittorie, concordò sul fatto che la legislazione avrebbe aiutato la sua squadra del cuore.
Stuart Symington del Missouri fece emergere il lato più sconveniente della pressione politica su Cellar. Nel 1965, Symington aveva inviato a Hunt, il proprietario dei Chiefs, un ringraziamento per aver spostato la sua squadra da Dallas a Kansas City e aver promesso assistenza se Hunt ne avesse mai avuto bisogno. L’estate successiva Hunt gli chiese aiuto per l’approvazione del decreto sulla fusione.
Ancor prima della nota di Hunt, Symington sosteneva la lega, inoltrando a Celler un telegramma da parte dei suoi «elettori importanti e buoni amici» che possedevano i St. Louis Cardinals, chiedendo che tenesse le audizioni il prima possibile. Due mesi dopo, inviò a Celler un editoriale del Kansas City Star a sostegno della fusione con una nota nella speranza che «possiamo risolverlo. ... Qualsiasi cosa tu possa fare per accelerare questa legislazione sarebbe molto apprezzata da ogni cittadino del Missouri».
Rozelle espresse preoccupazione per il ritardo del Congresso che metteva in pericolo "il super game" (come lo soprannominò il commissario AFL Milt Woodard) il gennaio successivo. Schramm, dei Cowboys, aggiunse che Celler non era riuscito a capire che «la natura della nostra attività rende essenziale mantenere un equilibrio competitivo tra le squadre». La stragrande maggioranza dei cittadini che scrissero a Celler concordava che, in qualche modo, alla maniera della Guerra fredda, questo tipo di comportamento anticoncorrenziale in realtà definisse i valori americani. «Dato che questo sport eccellente è apprezzato da così tanti e incarna la nostra meravigliosa America quasi più di qualsiasi altra cosa io conosca», implorò un uomo di Dallas, nella speranza che il commissario avrebbe riconsiderato le sue posizioni.
La maggior parte dei giocatori delle NFL e AFL non erano d'accordo. I giocatori dei Browns e degli Oilers votarono all'unanimità per opporsi alla fusione e disperati telegrammi da giocatori dei Giants («la paura di ripercussioni ci impedisce di firmare coi nostri nomi»), dei Raiders, dei Chargers, degli Eagles, dei Redskins, dal presidente dell’Associazione Giocatori del NFL, dal consiglio legale dell’Associazione e dal consiglio generale dell’Associazione Giocatori dell’AFL bombardarono il capogruppo di maggioranza della Camera Hale Boggs, chiedendo tempo per chiarire la loro opposizione. Nessuno ne ebbe la possibilità.
Invece, «Pete trovò il modo, come al solito», di battere Celler, come un proprietario di una squadra notò con ammirazione. Rozelle sventolò astutamente l’offerta di una squadra di fronte ai politici desiderosi di portare il football nelle loro città. Soprattutto, la NFL placò i potenti politici della Louisiana – tra cui Boggs – che avevano esercitato pressioni per una franchigia per New Orleans da più di un anno.
Per ricambiare il favore alla lega che aveva esaudito il loro desiderio, l’originario di New Orleans Boggs e un altro cittadino della Louisiana, il capogruppo di maggioranza del Senato Russel Long, sconfissero l'opposizione di Celler e dei giocatori allegando l'approvazione della fusione a una proposta di bilancio sostenuta dall'amministrazione Johnson. Il saggio Boggs si assicurò che non sarebbe stato ingannato bloccando il passaggio del disegno di legge finché non ebbe la garanzia di una franchigia per New Orleans; suo figlio ha successivamente confermato tale quid pro quo.
La manovra funzionò. L'ultimo tentativo di Cellar di bloccare la fusione fallì e fu lanciata la NFL – e il Super Bowl – come li conosciamo oggi.
Rozelle ha esaltato le virtù delle misure non competitive della NFL. In testimonianza del Congresso, ha ripetutamente sottolineato il fatto che i Packers, «da una comunità con circa 78.000 persone», avevano comunque prodotto «una delle migliori squadre di football nella storia del football professionistico», come prova nel Super Bowl I, la schiacciante vittoria 35-10 dei Green Bay sui Chiefs di Hunt, lo ha indubbiamente testimoniato.
Successo o fallimento, tuttavia, è utile ricordare che fino ad oggi la NFL, nonostante rappresenti una delle più grandi miniere d’oro capitalistiche annuali d'America, è in realtà – se possiedi una squadra – un'utopia socialista sancita dal governo.
Dal Washington Post