Quando il Presidente del Consiglio ha firmato il Decreto del 9 marzo (allargando di fatto la “zona arancione” e le restrizioni che questa porta con sé a tutto il territorio nazionale) le nostre attività erano già sospese da quasi una settimana.
Sembra passata una vita eppure risale solo a due settimane fa l’ultimo allenamento della squadra.
Sportivamente stavamo vivendo una stagione esaltante che, non senza qualche passo falso, ci vedeva terzi con un occhio alle prime della classe e uno alle dirette inseguitrici per la zona play-off (dal 2° al 5° posto per chi, per fortuna sua, non fosse pratico di Terza Categoria).
Anche i nostri creditori, altrettanto solerti nell’inseguimento, ci imponevano un fitto calendario di iniziative di autofinanziamento per pagare l’affitto dei campi (ultimo enorme debito che ci restava da saldare).
Nel bel mezzo di questo marasma, da un giorno all’altro, tutto finito.
Niente allenamenti. Niente partite. Niente iniziative.
Niente assemblee per organizzare tutto questo.
Niente di niente.
Allo stesso tempo, pur non essendo ancora Roma oggetto di nessun decreto, tra scuole e università chiuse, settore turistico in ginocchio già da qualche tempo e impossibilità di allenarci, erano già in diversi tra giocatori e tifosi ad avere più tempo libero del solito.
Non abbiamo dovuto aspettare il Decreto del presidente Conte (annunciato in diretta televisiva la sera del 9 marzo ed entrato in vigore il mattino seguente) per mettere insieme i pezzi e decidere di dedicare quel tempo libero a chi era più a rischio di noi per l’avanzata dell’epidemia.
Non serviva un decreto a farci mettere a disposizione di chi vive situazioni di difficoltà più grandi delle nostre nel nostro quartiere.
Nasce in quel momento l’idea della spesa solidale.
La mattina del 9 marzo (ignari di cosa sarebbe stato annunciato a reti unificate dodici ore dopo) abbiamo affisso sotto ogni portone in quartiere il volantino che più tardi abbiamo pubblicato sulle nostre pagine.
La sera è arrivato il discorso di Conte.
Da quel momento anche Roma era “zona arancione”.
Da quel momento anche a Villa Gordiani arrivava la quarantena.
Il primo giorno le uniche chiamate che abbiamo ricevuto ai numeri sul manifesto sono state di persone che volevano collaborare con noi all’iniziativa “Solidarietà in quartiere” e abbiamo attivato un gruppo whatsapp per coordinarci.
Da mercoledì il telefono ha iniziato a squillare.
Spesa, ricette, medicine, bollette. Serve un po’ tutto.
Chiamano persone diverse. Soprattutto anziani. Ma anche giovani che hanno difficoltà a reperire ciò che le stesse istituzioni raccomandano di utilizzare (mascherine, guanti, gel igienizzante).
Noi non facciamo gran che. Andiamo a fare la spesa prendendo tutte le precauzioni del caso e la portiamo a casa. Lasciamo spesa e scontrino sul pianerottolo e riprendiamo i soldi.
È tutto abbastanza surreale. Dal quartiere deserto ai sorrisi dietro le mascherine scambiati sulle scale con chi riceve la spesa.
Sappiamo che tutto questo passerà.
Il quartiere tornerà a essere quello di un tempo e toglieremo queste maledette mascherine, su questo non c’è alcun dubbio.
Il dubbio che resta è che prezzo dovranno pagare i quartieri popolari prima che tutto questo passi.
Vivono qui quelli che sono costretti a lavorare a rischio contagio nonostante l’epidemia.
Vivono qui quei lavori delle municipalizzate che continuano a girare in città per garantire servizi.
Vivono qui tanti di quelli che hanno aperto un’attività che oggi sono costretti a tenere chiusa e che non sanno se riapriranno mai.
Vivono qui, soprattutto, quei lavoratori a nero che non rientrano nelle statistiche istituzionali e che da settimane sono senza stipendio.
Saranno queste categorie (in cui rientrano anche tanti di noi) quelle chiamate a pagare per questa crisi. Lo sappiamo.
Per questo oggi c’è bisogno di riscoprirsi comunità. C’è bisogno di riscoprire meccanismi di autorganizzazione nei quartieri. È necessario individuare bisogni comuni ed elaborare risposte collettive. Perché nessuno resti indietro. Perché ad oggi è impossibile prevedere quanto durerà tutto questo e quali bisogni vivremo da qui a qualche settimana ma tutto deve andare bene davvero. Anche qui.
La nostra iniziativa “Solidarietà in quartiere” è solo questo che vorrebbe provare a fare: creare gli anticorpi necessari a tutelare la nostra comunità, il nostro quartiere, la nostra gente.
Per farci trovare pronti qualunque sia il nemico che ci attaccherà in futuro.
Un virus o uno Stato che non tutela tutti i cittadini allo stesso modo.
In questo quartiere siamo nati e cresciuti. In questo quartiere viviamo. In questo quartiere abbiamo iniziato a sognare il nostro progetto. Questo quartiere ci ha dato la possibilità di esistere.
Senza il nostro quartiere, senza questi legami, senza questa gente saremmo solo una squadra di Terza Categoria.
Vogliamo restituire al quartiere una parte di tutto quello che il quartiere ci ha dato in questi anni.
Niente di più.
Borgata Gordiani